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Riassunto per l'esame di Istituzioni di diritto privato I, prof.ssa Teresa Pasquino, libro consigliato Codice civile e società politica, Natalino Irti Pag. 1 Riassunto per l'esame di Istituzioni di diritto privato I, prof.ssa Teresa Pasquino, libro consigliato Codice civile e società politica, Natalino Irti Pag. 2
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CAPITOLO II. IDEA DEL CODICE CIVILE

(§1-2-3-4)La codificazione è una forma storica di legislazione. L’affermarsi degli Stati assoluti ha

determinato per il sovrano la necessità di divenire egli stesso fonte del diritto; un diritto, per

l’appunto, che si esprime nella forma della legge. Tutto ciò si unisce necessariamente con quel

razionalismo filosofico e scientifico imperante nell’epoca della codificazione, adiuvato

dall’affermarsi della borghesia. L’ascesa della borghesia (quindi dei commercianti) ha imposto la

necessità di avvalersi di un «diritto calcolabile» (Max Weber), con il quale ciascuno possa essere

in grado con largo anticipo di prevedere le conseguenze (giuridiche) delle proprie azioni. Proprio il

sovrano è la figura che si fa carico di questa nuova e contingente necessità, attraverso la quale

persegue anche un fine politico: unificare il popolo sotto l’idea di un diritto eguale per soggetti

eguali. A ciò, dunque, corrisponde l’affermarsi del carattere di generalità ed astrattezza nelle leggi

emanate.

(§4) Da questo complesso di idee nasce l’idea di codice, come manifesto della «potenza e

dell’orgoglio del potere legislativo» e che quindi non consolidi semplicemente quanto già affermato

nel passato, ma stabilisca il diritto secondo una tavola di principi. Nell’epoca della codificazione si

colloca il celebre dibattito tra Thibaut e Savigny. Thibaut, fautore dell’ideale nazionalistico, vedeva

l’elemento unificatore del diritto nel codice: una «grande opera nazionale» di matematica del diritto,

un simbolo di quell’unità tedesca che nella realtà storica difficilmente la Germani riusciva a

raggiungere. Savigny, invece, vedeva l’elemento unificatore del diritto nella scienza giuridica,

chiamata sempre a «sorvegliare» e ad interpretare l’infinito mutare del diritto (soprattutto dal punto

di vista linguistico) che, in quanto scienza degli uomini, con gli uomini muta.

(§ 5) L’esperienza della rivoluzione francese ha invero messo in luce che il codice è, insieme, un

fatto politico e un fatto tecnico. Perché un codice nasca non è bastevole il vigore di un governo;

serve una altrettanto vigorosa collaborazione dei giuristi, i tecnici del diritto, i quali sono chiamati a

dare il «proprio tono all’opera codificatrice». In quest’ottica si capisce come mai l’esperienza di

Cambracèrés sia stata fallimentare, mentre non così fu per il codice francese del 1804.

(§6-7)Ciò che caratterizza i codici ottocenteschi è sicuramente l’autosufficienza, raggiunta

mediante l’equilibrio tra la completezza e la coerenza. I principi generali (uno su tutti l’analogia

legis e l’analogia juris) provvedono alla soluzione coerente delle antinomie che necessariamente si

vengono a creare in un codice che voglia dirsi completo. «Ogni domanda di diritto deve trovare

una e soltanto una risposta». Perché, poi, un codice sia sempre attuale e mai vecchio, deve

trovare dei dispositivi di flessibilità. Anche in questo senso vengono ad assumere significato i

principi dell’analogia e del divieto di applicazione analogica: l’uno è strumento evolutivo; l’altro è

strumento conservativo del diritto. Né il codice può fare a meno di un minimo di collegamento con

la realtà sociale esterna, che trova espressione (solo) allorquando il legislatore introduce nelle

norme i criteri di buona fede ed equità.

(§8-9-10) I codici civili dell’Ottocento assolvevano il compito di supplire alla necessità di carte

costituzionali perlopiù flessibili (si pensi ad es. allo Statuto albertino): per questo si facevano

custodi dei valori comuni. Il rapporto tra codice civile e costituzione, come è già stato chiarito nel

primo capitolo, è fortemente condizionato dall’evoluzione storica e potrebbe riassumersi, con le

parole dell’Autore, così: «il codice civile […] garantisce la quotidianità della vita sociale e offre

quella minima sicurezza di cui tutti abbiamo bisogno: pronto a cedere di nuovo il primato allorché il

sereno sia stabilmente tornato e la garanzia dell’unità assunta da una nuova costituzione». Se il

codice civile nacque come carta della borghesia, l’avvento e l’affermarsi della società dei consumi

ne ha fatto di sicuro lo statuto della società media. Al di là dei giudizi di valore su questo tipo di

società, non vi è dubbio che essa abbia permesso al codice civile di assurgere quale salvaguardia

degli interessi individuali e più profondi, quale «legge dei rapporti extra-politici», quale

«costituzione di tutte le classi». Il codice, d’altronde, non può che essere uno statuto delle leggi: se

si pensa al nostro codice vigente si troverà che preliminarmente esso presenta le “disposizioni

sulla legge in generale”, disciplinanti il diritto, per l’appunto, nella sua generalità. È pur vero che

però proprio la presenza di disposizioni generali all’inizio di un codice lo riducono a “legge tra le

leggi”. Si dirà allora che «la forza del codice è proprio nella distinzione tra ordinamento e sistema

[…]. Il codice è un sistema, anche se l’ordinamento complessivo dello Stato sia percorso da

impulsi contrastanti e da tensioni ideologiche».

(§11) Nell’opera di codificazione dell’Ottocento non di rado si assistette ad una divisione tra il

codice civile ed il codice dei commerci: lo stesso ordinamento italiano prevedeva tale divisione.

Tuttavia era già chiaro il prevalere della disciplina commerciale su quella “civile” propriamente

detta. Quando con il codice del 1942 venne meno questa distinzione con un unico codice civile, fu

chiaro che in realtà la disciplina commerciale appariva ancora vincitrice. Il rapporto dialettico tra

codice civile ed economia moderna, definito nella unificazione del 1942, si è riaperto con il

sopravvenire di leggi speciali ordinatrici del mercato; ma a ben vedere l’economia si giuridifica

proprio perché lo Stato divene ordinatore di essa: perciò si legifica all’esterno del codice.

(§12- Il linguaggio del codice civile si caratterizza per semplicità, sobrietà, incisività, razionalità ed

assiomaticità. Il linguaggio dei borghesi, ossia il linguaggio del commercio, deve essere tale

proprio perché sia stabile e possa quindi rendere calcolabili (in modo appunto inequivocabile) le

conseguenze delle azioni dei singoli. Il codice in sé non dà definizioni astratte: sono le stesse

norme nella loro costituzione ad essere definite. Un’attenta analisi non potrà che individuare due

diverse figure storiche di codici: l’una nasce come opera del legislatore (solitamente post-

rivoluzionario), e il suo valore intrinsecamente politico e poco tecnico costringe l’interprete alla

mera esegesi (così ad esempio il Code Napoleon); l’altra come opera della dottrina, che permette

dunque un «nesso di produttiva circolarità» tra codice e scuola, ossia un’interpretazione meno

chiusa, pur non pregiudicando l’autonomia dell’interprete e la fondamentale differenza tra legge e

dottrina. Invero, il fenomeno imperante delle leggi speciali (le quali come già detto sono opera del

legislatore) costringe l’interprete moderno ad un doppio compito: l’interpretazione del codice civile

e l’esegesi delle leggi stesse, che assurgono quindi a «micro-sistemi», con conseguenze non

sempre positive. Delle tre cause della decodificazione individuate da Wieacker (declino dello stato

nazionale; pathos della solidarietà che ha superato quello della libertà; carattere negoziale delle

leggi), l’Autore riconosce che invero proprio la fonte negoziale delle leggi sia causa primaria. Si

tratta, insomma, dell’analogo processo con cui lo Stato borghese (che decideva)ha ceduto il posto

allo Stato democratico (che registra le decisioni). Le leggi speciali, dunque, assurgono a micro-

sistemi quasi autonomi rispetto al codice civile che ha meramente un valore residuale rispetto a

queste ultime. In questo panorama torna ad avere il rilievo il ruolo di sistematizzazione a cui sono

chiamati i giuristi. Sembra, dunque, chiaro che oggi il diritto dei giuristi ha in sé il diritto del codice,

ma deve andare oltre ad esso. Oggi è vero che il ceto dei giuristi si trova da solo dinnanzi alla

legge.

CAPITOLO III. I CINQUANT’ANNI DEL CODICE CIVILE

(§1-2-3-4) Il codice civile fu approvato il 21 aprile 1942, nell’ultimo periodo del regime fascista,

ormai inesorabilmente in declino. Due anni prima il guardasigilli Grandi, presentando la

commissione che avrebbe riformato il diritto civile, si scagliava —in accordo con le posizioni del

romanista Piero De Francisci— contro quella parte (invero maggioritaria) di giuristi che

pretendevano di scollare il diritto dalla politica, facendo presumere che il riformato codice avrebbe

avuto una significativa impronta del regime. Non l’ebbe. L’ideologia fascista non è penetrata nel

codice civile, tanto che le poche voci che invocavano l’abrogazione della legge ordinaria con cui

esso fu promulgato nel secondo dopoguerra non trovarono ascolto. L’indipendenza del codice

dall’ideologia si deve al rifiuto culturale dei giuristi, troppo legati alle posizioni kelseniane per

lasciarsi piegare alle condizioni di uno Stato che più che totalitario era assolutista. Il codice civile

del 1942 recepiva i grandi cambiamenti che, dopo il 1865, avevano attraversato la società (si pensi

solo alle conseguenze apportate sul piano economico dalla Prima guerra mondiale). Anzitutto

degna di rilievo è l’unificazione tra diritto civile in senso stretto e diritto commerciale, confluiti in un

unico codice che vede, in accordo con la morfologia sociale dei tempi, il prevalere in più ambiti del

secondo. In particolare il legislatore del 1942 si preoccupò di riconoscere accanto alla persona

fisica come soggetto altre entità giuridiche di carattere più complesso, costituite da più persone

espressioni di un’unica volontà.

(§5-6-7) L’avvento della Costituzione nel 1948 come vertice tra le fonti del diritto non ha potuto

che mutare la concezione del diritto civile. Tuttavia, anziché rifiutare tout-court quanto stabilito nel

codice previgente si è preferito rileggere le sue norme alla luce dei principi costituzionali

sopraggiunti, anche a costo di introdurre nuovi significati delle stesse, estranei alla volontà del

legislatore del 42. Le norme del codice civile, dunque, sta

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Publisher
A.A. 2016-2017
6 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/01 Diritto privato

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher coluichenonsa di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di diritto privato I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Pasquino Teresa.