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L’insegnamento di una lingua straniera differisce da quello della lingua seconda. A scuola, si studia
una lingua straniera per scopi comunicativi nelle relazioni con gli stranieri, invece lo studio della
lingua seconda ha anche fini cognitivi (come medium per il pensiero e per la conoscenza). Nel caso
dell’insegnamento di una lingua straniera, si necessita di una motivazione costantemente creata e
stimolata, invece la motivazione per studiare una lingua seconda è immediata e serve per entrare in
contatto con le persone che circondano lo studente straniero. Altra differenza riguarda i livelli di
partenza: gli studenti che affrontano lo studio di una lingua straniera partono da un livello pressoché
omogeneo, invece nel caso di una lingua seconda, gli studenti stranieri hanno difficilmente lo stesso
L’input linguistico in un insegnamento di lingua straniera è controllato
livello di partenza.
dall’insegnante, l’input è difficilmente controllabile e vario.
invece nel caso di una lingua seconda,
Nelle lezioni di lingua straniera, ancora, l’insegnante propone situazioni fittizie e scopi fittizi per
esercitare la lingua, mentre nel caso di una lingua seconda si hanno scopi reali, quotidiani, per
integrarsi nell’ambiente dove si parla la suddetta lingua. Quando si impara una lingua straniera, i
riferimenti culturali relativi al paese sono mediati dall’insegnante e dai materiali didattici (non c’è
un contatto diretto con la cultura straniera), a differenza di come accade per lo studio di una lingua
seconda.
L’insegnamento dell’italiano come lingua materna nella scuola si differenzia molto
dall’insegnamento della stessa lingua come seconda per vari motivi: gli allievi italiani arrivano a
scuola, a differenza di quelli stranieri, con un livello di base omogeneo, permettendo una
programmazione comune; le abilità strumentali di base (lettura e scrittura) con gli studenti stranieri
va rivisto dando priorità agli scopi funzionali della lingua; gli studenti italofoni entrano in contatto
una varietà linguistica ben precisa e libresca, mentre quelli stranieri devono innanzitutto imparare la
Una parte dell’insegnamento dell’italiano agli
lingua colloquiale, orale, informale. italiani sta
nell’insegnare la nomenclatura grammaticale, etichettando le parti del discorso; lo studente
straniero, invece, deve prima imparare ad usare le regole della lingua seconda, per poterle poi
individuare e descrivere. Inoltre, quando si insegna la lingua italiana come lingua seconda, va posta
maggiore attenzione e sensibilità agli elementi della cultura italiana.
Nella scuola italiana non è possibile ricavare spazi, strutture, tempi, professionalità in grado di
portare avanti corsi di lingua materna per gli stranieri; ci sono solo delle esperienze di sostegno allo
sviluppo della lingua materna degli studenti stranieri, svolte in collaborazione con enti locali o
associazioni private, in orari extra-scolastici. Alcune azioni, però, possono trovare spazio nella
realtà scolastica italiana:
la biografia linguistica dell’allievo straniero neo-arrivato
-tracciare (una forma mentis per il rispetto
e la valorizzazione di ogni singolo)
e stimolare le famiglie d’origine
-sostenere degli studenti affinchè usino la lingua materna a casa
(Cummins afferma che più tempo speso per lo sviluppo di una lingua implica meno tempo speso per
insegnarne un’altra; quindi, imparare a leggere in una lingua non porta a ricominciare da capo
quando si impara a farlo in una seconda lingua)
-reperire e far usare a scuola testi bilingui o nella lingua materna degli studenti stranieri
l’uso della lingua materna anche a scuola, incoraggiando contatti tra gli allievi che hanno
-favorire
la stessa lingua materna
-sfruttare la presenza di mediatori linguistici e culturali oltre la fase di prima accoglienza
-incoraggiare gli studenti stranieri a scrivere semplici testi bilingui, anche in collaborazione con uno
studente italiano.
Il concetto di multiculturalità, citando Cummins, è vuoto se non include la promozione della lingua
materna.
III Capitolo
La glottodidattica umanistica si caratterizza per la centralità che rivestono l’affettività, la fisicità, la
relazionalità, la personalità dell’individuo e la tensione all’autorealizzazione. Infatti, lo studente di
lingue, non ha solo bisogni pragmatici legati alla comunicazione, ma anche necessità legate alla
L’attenzione, ad esempio, si rivolge all’eliminazione delle
dimensione cognitiva, personali, emotivi.
fonti d’ansia, della competitività e si mira alla creazione di percorsi individualizzati per sfruttare le
capacità del singolo individuo.
Pichiassi ha riassunto, nel 1999, i tratti comuni dei metodi “umanistico-affettivi” in:
-discente come persona
cioè riprodurre le condizioni in cui l’individuo ha imparato la sua lingua madre
-infantilizzazione,
-primato della pedagogia, metodo sul contenuto linguistico
-multimodalità, coinvolgimento totale dello studente
-ruolo del docente, guida e programmatore delle attività
nell’umanesimo in glottodidattica, individua cinque componenti (richiamati dagli studi di
Stevick,
Porcelli):
-sentimenti, dove la forma più feconda di motivazione è il piacere di apprendere una lingua
-rapporti sociali, serve collaborazione nel gruppo
che comprende l’accettazione delle critiche
-responsabilità,
-intelletto
-autorealizzazione
Mettere al centro del processo di apprendimento lo studente, consente il passaggio da una visione
magistrocentrica ad una puerocentrica. Mettere al centro la persona significa focalizzarsi sulle
persone in un contesto sistemico, quindi persone che non sono isolate e sole ma inserite in un
contesto educativo in cui costruire relazioni educative.
Nell’insegnamento della lingua seconda per gli stranieri, l’approccio di tipo umanistico-affettivo è
fondamentale proprio per le sue caratteristiche:
allo studente come persona
-l’attenzione del rapporto con gli insegnanti, con i compagni, con le figure educative della scuola
-l’importanza
(persone capaci di guidare lo studente straniero, che si trova immerso in una realtà a lui
sconosciuta)
-la centralità del processo di autorealizzazione del soggetto, importante soprattutto per coloro che
scelgono di imparare l’italiano a seguito di un’esperienza radicale come l’emigrazione (esperienza
spesso subita, parlando di bambini)
-accento posto sul coinvolgimento di tutte le modalità di imparare e di fare esperienza a
disposizione dello studente, infatti studenti provenienti da altre culture possono avere difficoltà ad
approcciarsi ad una diversa metodologia di studio.
Nell’insegnamento dell’italiano come seconda lingua, ci si può riferire a due metodi che derivano
dalla glottodidattica umanistico-affettiva e che sono applicabili nel contesto scolastico, senza la
presenza di ambiente/materiali/docenti particolari:
Physical Response (T.P.R.), “Risposta Fisica Totale”, è un metodo ideato da James Asher
-Total
negli anni Sessanta. Il metodo elaborato dallo psicologo si rifà ai processi di acquisizione della
lingua materna: per lui l’apprendimento è un processo lento, basato su esperienze ricettive, basato
sul coinvolgimento di tutte le modalità esperienziali (audio-orali, affettive, motorie, visive).
L’allievo viene motivato, protetto dagli insuccessi e guidato all’autorealizzazione. Il TPR si
caratterizza perché collega la lingua da apprendere con il movimento, le azioni, la fisicità degli
studenti, che sono esposti a vari input linguistici che possono essere usati anche per la produzione.
Insegnare ad ascoltare e a comprendere i messaggi in lingua seconda è fondamentale, la scuola ha il
compito di esercitare le abilità di comprensione orale, soprattutto all’inizio del percorso di
apprendimento. Ogni individuo, davanti ad una nuova lingua, inizia a comprenderla attraverso la
fase del silenzio, non essendo in grado (o non sentendosi sicuro) di parlarla. In questa fase il
soggetto si sforza di identificare, nel flusso di suoni, parole ed espressioni e a dare loro un
significato. Rispettare la fase del silenzio, significa rispettare i processi di apprendimento del
discente senza forzature che potrebbero far decadere la motivazione e maturare un senso di
Il metodo TPR si basa sull’input verbale
inadeguatezza. ed è formato da comandi a cui lo studente
risponde fisicamente; il fine è di favorire le esperienze ricettive di comprensione della lingua.
L’input verbale può essere integrato da gesti, disegni, oggetti, immagini, per facilitarne la
comprensione.
-Natural Approach, metodo elaborato da Terrell alla fine degli anni Settanta, in base alle ipotesi di
Krashen su come l’uomo impari una lingua. Esso si basa sulle cinque ipotesi che formano lo SLAT
(Second Language Acquisition Theory) di Krashen:
1. Si può imparare una lingua grazie al processo di acquisizione spontanea (propria della prima
infanzia per imparare la lingua materna) e ad un processo di apprendimento razionale, lento
Si può passare dall’acquisizione
(tipico dello studio delle lingue straniere).
all’apprendimento, ma non viceversa.
L’apprendimento monitora, cioè controlla la lingua in modo lento
2. e razionale. Questo
monitor non agisce in tempo reale quando si parla in lingua straniera, perché penalizzerebbe
la fluenza, la scorrevolezza del discorso (un monitor troppo sviluppato ostacola il parlare in
lingua).
3. Esiste un ordine naturale di acquisizione delle strutture grammaticali sia della lingua
materna che di quella straniera, nei bambini e negli adulti; l’insegnamento linguistico deve
rispettare questo ordine naturale.
L’allievo va esposto ad un input comprensibile che rispetti l’ordine naturale,
4. la lingua cioè
deve essere comprensibile dal punto di vista del significato e deve contenere strutture che si
trovano nel gradino subito superiore a quelle già acquisite (nozione di i+1). Proporre allo
studente un input che contenga troppa lingua sconosciuta (o elementi linguistici troppo
complessi) compromette la competenza linguistica. Focalizzare il percorso didattico solo
sulla grammatica distoglie gli studenti dal significato; la centralità dell’input è fondamentale
per Krashen, secondo cui si impara a parlare comprendendo input, non conversando.
L’acquisizione di una lingua dipende da fattori psicologici dell’individuo, quindi alcune
5. situazioni fanno scattare un filtro affettivo che bloccano l’allievo che può apprendere ma
tra la mente dello studente e l’input
non acqui