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NELLE BOTTEGHE
1 Mastri e garzoni
Il mondo degli artigiani medievali non è affatto un ambito marginale dato che essi hanno avuto un ruolo attivo
nella storia e ciò è dimostrato dal significato e dall’importanza che le Arti hanno assunto nelle vicende
politiche dell’ basso medioevo. Quello delle corporazioni artigiane fu infatti un settore di rilevante e
innovativo impegno economico che intrecciandosi con la storia politica dell’età comunale, ha modificato assetti
sociali e dato accesso al potere a quanti operano vantaggiosamente in esso.
Bisogna ricostruire la scena di un ipotetico mercato cittadino che brulica di persone per rispondere domande
quali: quante braccia occorrevano per fare un farsetto o un mantello, quanta gente nell’Italia del nord varcava la
soglia di una bottega in una settimana?, quanto era pagato un sarto?ecc.
La bottega era una sede di produzione ma anche un luogo di apprendimento, nella quale avveniva l’incontro
tra l’artigiano e il suo cliente, e uno scambio di oggetti con il denaro, ma anche di conoscenze e abilità
pratiche con desideri, gusti e disponibilità. Era spesso affacciata sulla strada e essa offriva allo sguardo di
uomini e donne merci, cinture, calze o farsetti, suscitando loro desiderio e inducendoli ad avvicinarsi.
La bottega (come quella dove si producevano pianelle) vi lavorava il titolare, ovvero il mastro calzolaio
insieme ai suoi garzoni, che però non erano necessariamente giovani apprendisti, ma erano (come poi avveniva
soprattutto alla fine del medioevo) artigiani rifiniti ma privi di mezzi economici sufficienti a lavorare in proprio.
Ovviamente la consistenza del materiale necessario variava notevolmente a seconda del mestiere. Nel caso di
un calzolaio, la sua attività richiedeva maggiori investimenti rispetto a un sarto.
I l 1200 fu un secolo di cambiamento nel rapporto di apprendistato. Infatti se prima questo rapporto
permetteva il raggiungimento delle conoscenze indispensabili al giovane artigiano per una concreta possibilità
ad un lavoro autonomo (e conseguentemente un ascesa sociale), nel 1200 non assicurò più un’autonomia, ma
solo a formare un prestatore d’opera subordinato. Quindi ciò comportò un decadimento delle prestazioni
d’opera artigianali, e fissò il privilegio dei titolari delle botteghe, che quindi potevano costruire vere e proprie
dinastie artigianali. All’interno delle quali non solo si tramandavano le abilità e i segreti della professione, ma
anche il vantaggio di una rendita di posizione economica e sociale di fatto preclusa agli altri.
La bottega era nel basso medioevo il punto di snodo di molteplici esperienze non solo tecniche ma anche
politiche e religiose. Negli statuti delle arti si può vedere come fossero determinati i materiali che si potevano
usare ( il cuoio separato dalla carne).
Negli ultimi secoli del Medioevo poi i mestieri esercitati nelle città erano ben 151 categorie (lo ritroviamo nelle
denunce catastali pisane 1428) : vanno infatti dal calzaiolo, al cucitore di borse, all’acconciatore di braghiere,
fino allo zoccolaio, sarti, tessitori di panni. Alcuni di questi mestieri erano esercitati da numerose persone (i sarti
erano circa 50 ). Mentre altri anche solo da una come il rigattiere (straccivendolo).alcuni lavoravano nella loro
casa, ,mentre altri avevano a disposizione una loro bottega.
Gli addetti al confezionamento delle vesti appartenevano alle arti maggiori o minori. Esempi:
Arti maggiori:
Arte della lana: berrettai e cappellai
Arte della seta: calzaiuoli, cinturai, farsettai, ricamatori e sarti
Arte dei medici: speziali,
Arti minori
Arte dei calzolai e correggiai: ciabattini, pianellai, zoccolai, borsai, suolai.
Quindi nell’univesrso delle vesti e degli ornamenti del’ medioevo ruotavano una miriade di artigiani.
2 Il civil mestiere del tintore
Tommaso garzoni scrive a proposito dei tintori che questo loro mestiere aveva un che di riprovevole serviva
solo al diletto dell occhio un po come il mestiere dei pittori. Prima di garzoni era uscito a a Venezia il primo
trattato sulla specializzazione dei tintori. Il mestiere dei tintori si ricolocava al crocevia di molteplici questioni
concernenti il colore (dice Pastoureau) dalla chimica dei pigmenti, alla tecnica delle tinture, dalle costrizioni
finanziarie, alle implicazioni commerciali, alle preoccupazioni simboliche.questo però non significa che ogni
tintore era perfettamente consapevole di tutte le implicazioni della sua attività. Per essere tintore occorreva una
disponibilità finanziaria non indifferente, ponte tra capitale e lavoro. Avevano spesso l’esclusiva di essere tintori
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gli ebrei, che erano d3etentori di capitali liquidi. Verosimilmente si trattava di un occupazione alquanto
remunerativa eppure guardata con sospetto, in ragione dello sporco e degli scarti prodotti nella lavorazione, e
spesso anche nella segretezza dei procedimenti, in seguito alle quali si verificavano trasformazioni inquietanti
per i meno informati.
Spesso gli ebrei tintori pagavano una piccola tassa al re a condizione che in città non ci potessero essere altri
tintori al di fuori di loro.
Solo tra il 1000 e il 1200 l’atteggiamento nei riguardi dei tintori cambiò: solo infatti negli ultimi secolo del
medioevo fu superata la considerazione del tintore come mestiere sprezzante: ed essi furono ammessi alla
categoria della medesima fascia sociale dei calzolai dei mastri legnai, e dei cimatori. Anzi testimoniato da una
legge suntuaria bolognese del 1445 i tintori erano molto importanti. La kloro attività si applicava sia alla
produzione indigena sia straniera: riguardava lini, seta , cotoni, e impiegava, materie tintorie che venivano anche
da oltre mare come dal Brasile, come l’indaco e la porpora.
Nella tintoria avveniva operazioni diverse dalla tintura vera e propria: una poteva essere la sgommatura dei
materiali di seta, che si eseguiva facendoli bollire in acqua saponata; si trattava di una pratica che si occupata di
togliere la gommosità naturale e avveniva dopo la torcitura e l’addoppiatura.
Una volta bollite le matasse venivano sciacquate e appese ad asciugare, a questo punto la seta diventava soffice,
lucente ed assumeva un colore bianco perla; quando la volevi piu bianca la immergevi nell acido solforico.
Ovviamente influiva molto sui prezzi, il costo dei coloranti impiegati e la difficoltà dell’operazione.
Le tinture di minore costo erano il bigio il bruno e il nero non brillante. Mentre quelle di medio alto erano il
verde e l’ azzurro che costava abbastanza. Mentre il nero lucido molto difficile da ottenere non era affatto a
buon mercato.
1. Andrea bianchi ( tintore fiorentino)
Aveva a disposizione tre diversi tintori che operavano con le sue medesime tecniche in 3 diverse aree dell’arno
che a loro volta avevano i loro clienti. Nel loro caso per il rosso usavano il chermes grana e verzino che però
erano procurati dallo stesso cliennte che quindi aveva tutto l’ interesse a procurarsi dei buoni prodotti. Il
chermes derivava da un’insetto preso dall’oriente, mentre il grana era occidentale. Quando alla fine del
medioevo si scoprì l’america assieme ai nuovi mercati si scoprirono anche molti nuove esperienze per i tintori e
i clienti. Per ottenere un bel rosso si inizò ad usare infatti alla cocciniglià che veniva dal Messico.
2. I memoriali di bottega di Landoccio
Egli è un mastro tintore senese, attivo nel 1400, che ci introduce in tre registri compilati con sufficiente
contiguità fino al 1383. landoccio vi ci annotò il movimento di merci e di denaro in vista di una successiva e più
dettagliata registrazione.
Il materiale reperibile e utilizzato in bottega aveva diverse funzioni: serviva a tingere, oppure anche a fissare il
colore, oppure a sviluppare il calore necessario alle operazioni richiesti.
Per ottenere una scala di azzurri, dal piu vivace al piu chiaro, bisognava sciogliere nell’acqua bollente il guado,
unitamente ai fissanti: a seconda della tonalità e di colori che si voleva ottenere i tessuti da tingere venivano
immersi per un tempo variabile in un composto di guado alluminio e tartaro.
Il guado fu la più importante delle materie prime tintorie usate nel medioevo, e diede origine alla coltura
industriale: in enorme sviluppo dalla 1350 nelle aree tessili europee la produzione di guado per es in Lombardia
venne fortemente incoraggiata dalla grande richiesta di di panni e dal conseguente successo commerciale.
Il guado si ricavava da una pianta erbace, da dei piccoli fiori riuniti in pannocchie. In italia c’erano tre zone
principali: bologna, la Toscana e una zona Lombarda. Le foglie della pianta venivano triturate e ridotte in pasta
tramite i mulini di guado, e mescolate in masse che dopo 2 settimane venivano successivamente essiccate fino a
ottenere dei pani. Questi diventavano poi polvere che lasciata a fermentare, si trasformava in argilla scura, essa
una volta setacciata ed essiccata era pronta per il bagno della tintura.
L? azzurro era il colre dominante nell’a mbito dei fornimeti da letto, e molto usato per vesti e complementi:
dagli ultimi secoli del medioevo il blu scuro diventa la tinta più ambita (prima aveva una connotazione solo
barbarica ora dal 1200 è il manto della vergine Maria) , e divenne apprezzato tanto quanto il rosso.
Dal 1400 si iniziò ad usare il guado anche per ricavare l’azzurro.come si legge da una rubrica ritrovata a Pavia, e
benché ci fossero anchee altri modi per arrivare a quessto colore, nelle botteghe cittadine quasi si imponeva il
ricorso al guado. Esso costituiva anche la base per ricavare il colre bruno e per arrivare ad un bel nero. 10
A determinare l’afermazione dell’azzurro fu anche la cospicua produzione locale di guado. Un altro colore
molto richiesto era il verde che si otteneva immergendo nel guado stanco a temperatura bassa seguito in un
immersione nel giallo.
Il rosso era la tinta per le occasioni importanti e per gli accessori e per ornamenti, vedi anche dall’iconografia le
scarpe sia maschili che femminili erano spesso rosse. Questo colore dominava anche all’interno delle case,
decorate con arazzi e tappeti. Per arrivare al rosso si poteva usare in alternativa al chermes anche la robbia.
La robbia, anch’essa derivante da una pianta erbace si acquistava in balle o in ciocchi macinati e le sue radici
seccate e polverizzate venivano sciolte in acqua ricavandone una soluzione nella quale andavano immersi i
tessuti o icapi da tingere.
Il termine scarlatto era usato come aggettivo per indicare la purezza di un colore qualsiasi esso fosse: anche
bianco scarlatto per esempio. Il colore rosso intenso a partire dal 1200 poi definito anche chermes , poi
chermisino per indicarne un panno pregiato. Era infatti molto importante per un tintore assicurarsi un bel rosso.
Ciò comportava avere una buona clientela non solo di alto rango ma anche di buon livello sociale ed ec