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5- LIMITI DELL’APPROCCIO INDIVIDUALE AL PREGIUDIZIO

L’affermazione secondo cui, per spiegare la presenza e la variabilità individuale del pregiudizio,

si debba far riferimento a “differenze individuali di personalità”, si scontra per Brown con 4

principali obiezioni.

1- Essa sottostima l’importanza della situazione sociale immediata nel processo di formazione

degli atteggiamenti delle persone; a tal proposito è interessante uno studio di Siegel e Siegel

(1957) che documenta la modificazione nell’autoritarismo in studentesse americane, durante

l’arco di un anno.

Un gruppo di studentesse, risiedeva in una comunità femminile conservatrice e tradizionalista,

mentre un altro gruppo risiedeva in situazioni con norme più liberali; l’assegnazione all’una o

l’altra situazione residenziale era totalmente casuale: ciò assicura l’equivalenza in termini, ad

esempio, di fattori di personalità.

Ne risultò che dopo un anno, le studentesse che avevano risieduto in una situazione con norme

più liberali, mostravano una riduzione nei livelli di autoritarismo rispetto alle altre studentesse.

L’aspetto paradossale è che la misura di pregiudizio utilizzata da Siegel e Siegel, era la scala F,

fino ad allora un indicatore degli aspetti di personalità individuale più stabili!

Ulteriori prove a favore della specificità situazionale del pregiudizio, sono fornite da Verkuyten

e Hagendoorn (1998), i quali hanno intuito che una variabile di personalità come

l’autoritarismo, contribuisce a determinare il pregiudizio solo in situazioni in cui le

appartenenze gruppali degli individui non sono salienti; quando invece l’identità di gruppo

assume importanza psicologica, sono i fattori sociali, come le norme del gruppo di riferimento

o gli stereotipi relativi a un dato gruppo esterno, a determinare il pregiudizio.

2- La seconda obiezione all’approccio personalistico, è un’applicazione a livello culturale e

sociale più esteso, delle tesi sopra citate.

Pettigrew (1958) in una ricerca interculturale, ha preso in esame il pregiudizio in Sudafrica e

negli U.S.A.; dimostrò che il campione di sudafricani bianchi aveva livelli elevati di pregiudizio

verso i neri, così come gli americani del sud degli Stati Uniti.

A livello individuale, in entrambe le situazioni socioculturali, si mostra una correlazione tra

autoritarismo e pregiudizio, mentre i valori medi campionari della voce “autoritarismo” non

erano superiori ad altri gruppi meno inclini al pregiudizio; Pettigrew concluse che l’origine di

questa forma di razzismo si collocava nelle norme sociali ai quali i soggetti dei campioni erano

esposti e non ad alterazioni di personalità.

A sostegno di ciò, si trovarono correlazioni alte tra pregiudizio e misure di conformismo

sociale; la presenza di queste differenze socioculturali rafforza la tesi per cui sono le dinamiche

sociali, più che i tratti di personalità, a determinare i livelli di pregiudizio.

3- La terza obiezione riguarda la difficoltà strutturale di rendere contro dell’uniformità degli

atteggiamenti pregiudiziali, entro interi gruppi di soggetti.

La natura di tali teorie, che spiegano il pregiudizio in termini di differenze interindividuali, le

rendono inadatte a dare conto di come il pregiudizio possa divenire un fenomeno consensuale.

Davey (1983) chiese a bambini inglesi di distribuire dei dolci tra altri bambini sconosciuti

rappresentati in foto, appartenenti a differenti gruppi etnici; il 50% distribuì i dolci seguendo

un criterio etnocentrico, privilegiando le foto dei bambini del proprio gruppo etnico.

Circa il 60% dei bambini bianchi mostrò questa discriminazione: è difficile immaginare che una

quota così ampia di bambini, fosse stata esposta a quel tipo specifico di dinamiche familiari o

di socializzazione infantile presumibili all’origine della personalità con pregiudizio.

4- L’ultima obiezione riguarda la specificità storica del pregiudizio; ad esempio, l’aumento dei

sentimenti anti-islamici a seguito dell’11 settembre 2001 o il cambiamento di atteggiamenti

degli americani nei confronti dei giapponesi dopo Pearl Harbor nel 1942: simili cambiamenti, in

tempi anche piuttosto brevi (poche settimane), sono difficili da spiegare da parte dei modelli

che riconducono l’origine del pregiudizio alle dinamiche familiari.

La correlazione tra autoritarismo e pregiudizio non indicherebbe una relazione causa-effetto tra

le due grandezze, ma una loro comune dipendenza da fattori sociali più ampi.

Sales (1973), suggerì che una fonte importante di autoritarismo fosse rappresentata dalla

presenza di “fattori di inquietudine sociale”, in particolare da condizioni economiche

sfavorevoli: in tempi duri le persone tendono a sentirsi più minacciate e ciò si manifesta, ad

esempio, nell’attrazione delle persone verso forme più autoritarie di religione.

Un clima sociale minaccioso può avere influenza sulle immagini di cultura popolare (es.

fumetti), che esalteranno caratteri di potenza e tenacia; può portare inoltre ad un

accrescimento dell’interesse verso l’astrologia e altre credenze superstiziose e a scegliere

un’animale domestico di specie più aggressiva e cacciatrice.

L’idea che l’autoritarismo possa costituire una risposta collettiva a minacce per il gruppo, è

stata avanzata, tra gli altri, da Duckitt e Fisher (2003); hanno somministrato a 3 gruppi di

soggetti altrettanti documenti che rappresentavano scenari futuri:

- al 1° gruppo uno scenario di disoccupazione, criminalità, instabilità sociale ed economica;

- al 2° gruppo un avvenire di sicurezza e prosperità;

- al 3° gruppo una situazione intermedia di mantenimento dello status quo.

Il contatto con diversi scenari modificava la visione del mondo dei soggetti, i livelli di

autoritarismo ed i livelli di dominanza sociale.

Adorno, Rokeach e altri, credevano che la risposta al problema del pregiudizio, fosse insita

nella struttura di personalità individuale e quindi nell’esperienza che da bambini abbiamo avuto

dei sistemi educativi.

Un approccio di questo tipo però, fatica a spiegare la presenza del pregiudizio in alcuni contesti

geografici e temporali e la sua assenza in altri contesti.

I fattori di personalità possono avere importanza nello spiegare gli individui posti agli estremi

del continuum, come i “tolleranti a oltranza” ed i “bigotti inflessibili” ma, per il resto, è più

conveniente tentare di capire il pregiudizio (e la personalità stessa) come un effetto delle

variabili sociali e culturali.

CAP 3- CATEGORIZZAZIONE SOCIALE E PREGIUDIZIO

Una delle caratteristiche del pregiudizio, è il suo carattere categorizzante; focalizzandoci su

questo aspetto possiamo enfatizzare le conseguenze sociali che comporta per chi ne è vittima.

Una definizione di pregiudizio che ne richiami il fondamento categorizzante, sottolinea il fatto

che chi la attua, lo fa sulla base di un’attività mentale antecedente/contemporanea al

manifestarsi del comportamento discriminatorio.

La categorizzazione funge da punto di partenza per l’inferenza di alcuni attributi

dell’interlocutore e spesso per giustificazione delle azioni verso questi dirette.

Alcuni autori, tra cui Allport (1954) e Tajfel (1969), ritengono che il processo di

categorizzazione sia così cruciale per il pregiudizio da essere ritenuto condizione necessaria, in

assenza del quale non avrebbe luogo.

1- LA CATEGORIZZAZIONE SOCIALE COME PROCESSO COGNITIVO FONDAMENTALE

Allport (1954) sosteneva che l’idea che la categorizzazione sociale fosse un precursore del

pregiudizio, attribuisse a tale fenomeno una natura ordinaria e comune.

La categorizzazione è un processo cognitivo che non si verifica in circostanze bizzarre o

patologiche, ma, come affermato da Bruner (1957), è una caratteristica dell’esistenza umana.

Il mondo è un contesto troppo complesso perché l’individuo possa sopravvivervi senza qualche

strategia preliminare per semplificarlo e ordinarlo: la categorizzazione ha proprio questa

funzione.

Allport (1954): “le categorie sono nomi che tagliano a fette il nostro ambiente di vita”.

1.1- ESAGERARE E SOTTOSTIMARE LE DIFFERENZE: DIFFERENZIAZIONE E ASSIMILAZIONE

Se le categorie sono strumenti di semplificazione e ordinamento, devono poterci aiutare a

discriminare fra gli individui che vi appartengono e quelli che non vi appartengono.

Campbell (1956) osserva che un’importante caratteristica dello stereotipo è quella di

accrescere il contrasto tra i gruppi, come conseguenza della categorizzazione.

Anche Tajfel (1959) tornò su questa questione, fornendo 2 ipotesi sulle conseguenze cognitive

della categorizzazione:

1- l’inserzione in una categoria di una serie di stimoli, in modo tale che alcuni di essi ricadano

in una “classe A” e i restanti in una “classe B”, produrrà una crescita di qualsiasi differenza

preesistente tra essi;

2- si verificherà una riduzione delle differenze all’interno delle categorie.

In altri termini, i membri di gruppi differenti saranno considerati tra loro più differenti di

quanto in realtà sono e i membri del medesimo gruppo saranno considerati più simili di quanto

in realtà non siano.

1.2- NOI E LORO: CATEGORIZZAZIONE SOCIALE E DISCRIMINAZIONE TRA GRUPPI

Un’ulteriore conseguenza della mera esistenza di un processo di categorizzazione, è il fatto che

le persone comincino a sviluppare percezioni più favorevoli verso il proprio gruppo, rispetto ad

altri; tale “percezione favorevole” può assumere la forma di comportamenti concreti di

discriminazione intergruppi.

Rabbie e Horwitz (1969) in uno studio con studenti di scuola media olandesi, dimostrarono

questa conseguenza; divisero secondo criteri casuali gli studenti in due sotto-gruppi (“classe

verde” e “classe blu”), in seguito a seconda della condizione sperimentale avvenivano cose

differenti:

- gli studenti venivano a conoscenza che uno dei due gruppi sarebbe stato ricompensato

arbitrariamente, mentre l’altro no;

- in una condizione di controllo, gli studenti non ricevevano questo tipo di informazione.

Fu chiesto ai partecipanti di valutarsi fra loro, attraverso scale sociometriche; dai risultati

emerse che solo nella 1° condizione, in cui i soggetti sperimentavano una certa

“interdipendenza”, si evidenziava chiaramente una valutazione più favorevole dei membri del

proprio gruppo.

Rabbie e Horwitz conclusero che la mera classificazione non basta a influenzare le valutazioni

intergruppi delle persone: perché ciò avvenga

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Publisher
A.A. 2018-2019
26 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/01 Psicologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Aleunifi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia degli atteggiamenti e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Stefanile Cristina.