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PLASTICITA’ COMPENSATORIA

A fronte di alterazioni strutturali e funzionali presenti nel cervello dell’anziano,

possono esserci meccanismi compensatori che possono permettere il

mantenimento di una funzione; quello che si è osservato è stato ricavato da

esperimenti in cui si fa fare lo stesso compito in soggetti anziani e soggetti

giovani, e poi si osserva se nei soggetti anziani c’è qualche alterazione

nell’attivazione che correla con la performance.

Si osserva subito che nell’anziano il pattern di attivazione è più grande, più

elaborato, in particolare nella PFC; in pratica quindi, l’anziano ha più aree attive

per lo stesso compito: c’è una correlazione tra miglior performance e

grandezza delle aree che si attivano.

Esperimento compito di memoria verbale

Paragoniamo il pattern di attivazione nel giovane e nell’anziano; si vede che

negli anziani in generale c’è una maggiore attivazione in termini di aree

reclutate.

Se andiamo a suddividere gli anziani tra coloro che fanno bene il test e quelli

invece che lo fanno male, si vede che gli anziani con performance peggiore

hanno un funzionamento più simile a quello del giovane (attive meno aree),

mentre gli anziani con performance migliori hanno un’attivazione bilaterale.

La spiegazione è che dal momento che con l’invecchiamento i circuiti

funzionano un po’ peggio, se si rimane con lo stesso pattern di attivazione

l’informazione è processata con peggiore efficienza; quello che invece succede

nell’anziano con performance migliore è un fenomeno di resilienza attiva:

attivamente l’informazione viene spostata anche verso altre aree, che essendo

di più riescono a compensare.

Questa attivazione bilaterale è realmente utile nell’anziano per svolgere questo

compito, perché se io vado a fare una TMS che disturba l’attività di una zona

del cervello, vedo che in quelli ad alto funzionamento avrò una diminuzione

della performance; nel giovane invece solo una TMS nella parte destra influisce

sulla performance.

Perché vengono reclutate proprio quelle aree (DLPFC, corteccia prefrontale

dorso-laterale)?

Si vede che se prendiamo il giovane e gli complichiamo il compito, alla fine

anche lui attiva quelle aree; l’anziano utilizza un meccanismo di supporto che

era presente anche nel giovane, ma lo utilizza anche per i compiti più semplici.

Per altri compiti, relativi alla comprensione del linguaggio, vengono reclutate

altre aree (corteccia temporo-parietale).

Questa strategie può mantenere buoni livelli di performance, ma di contro può

rendere difficile svolgere più di un compito: se tutto il cervello è impegnato a

fare bene una cosa diventa difficile farne bene anche un’altra.

Ad ogni modo questo è un fenomeno di plasticità, che coinvolge il

potenziamento di sinapsi che connettono queste aree.

Nasce l’idea dello scaffolding, ovvero del fatto che certe aree cerebrali sono

compartimentalizzate ma che il riuscire a reclutare più compartimenti è

un’azione per preservare le capacità cognitive.

23

In particolare questo avverrebbe in maniera importante per le aree associative

e in particolare per la PFC; l’invecchiamento a basso funzionamento sarebbe

invece incapace di fare lo scaffolding e, in condizioni di malattie degenerative

sarebbe totalmente bloccato.

Ne deriva che aumentare la plasticità nell’anziano dovrebbe favorire proprio lo

scaffolding; se è plasticità dovrebbe essere esperienza-dipendente, questo

pone le basi per l’idea che la stimolazione cognitiva possa funzionare per

prevenire il declino cognitivo dell’anziano.

Uno studio epidemiologico ha cercato vari fattori legati ad un buon

funzionamento da anziani; in particolare hanno suddiviso il gruppo in:

- mainteiners -> ottengono score in test cognitivi abbastanza costanti con l’età;

- minor decliners -> degradano;

- major decliners -> degradano maggiormente.

I soggetti venivano testati ogni 2 anni e si è vista una relazione tra l’essere in

uno di questi gruppi e l’attività cognitiva precedente, quindi la stimolazione

cognitiva è associata ad un minor declino cognitivo.

[file: seconda lezione aging]

INVECCHIAMENTO PATOLOGICO: LA DEMENZA DI ALZHEIMER

La demenza di Alzheimer è collegata all’invecchiamento; uno studio del 2005

prevede che nel 2040 ci saranno circa 80 milioni di persone affette da demenza

di Alzheimer.

L’Alzheimer è una patologia di cui sappiamo molto poco per cui al momento

non c’è un trattamento realmente efficace.

L’1% dei casi di Alzheimer ha delle componenti genetiche, la maggior parte dei

casi invece viene chiamato idiotipico per dire che non si conosce bene la causa;

a livello genetico ci sono dei fattori di rischio che possono alzare la probabilità.

L’Alzheimer generalmente inizia con un deterioramento puro delle capacità

cognitive, in particolare della memoria: non ci sono deficit delle capacità

motorie, visive, sensoriali.

Il problema di memoria poi si allarga alle capacità di ragionamento, infine

coinvolge anche il linguaggio e la capacità comunicativa.

L’Alzheimer ha come caratteristica diagnostica la presenza di un’estesa neuro-

degenerazione e di due caratteristiche visibili al microscopio: si vede che il

tessuto neurale ha delle anomalie, in particolare si notano i grovigli

neurofibrillari (intrecci dentro i neuroni di proteine) e le placche amilodi

(aggregati densi di proteine che circondano i neuroni).

La conseguenza di questo, a livello macroscopico, è la perdita dei neuroni;

prima di morire però vanno incontro ad atrofia, semplificando il proprio albero

dendritico: questo è importante perché da l’idea che prima che ci sia la fase

neuro-degenerativa, ci sia una problematica di tipo sinaptico.

Ancora una volta si torna alla possibilità che ci sia prima una malattia

esclusivamente funzionale, che a mano a mano che si accumulano i problemi

strutturali diventa una malattia neurodegenerativa.

La malattia di Alzheimer va vista in senso progressivo; inizia probabilmente

molto presto in forma poco visibile ed ha un lungo decorso, con peggioramento

progressivo.

C’è anche un’alterazione a livello dei nuclei colinergici; l’acetilcolina è sistema

trasmettitoriale colpito nell’Alzheimer: essa ha un ruolo attenzionale, di favorire

i meccanismi di apprendimento. 24

Ci sono poi indicazioni che non tutti i neuroni siano egualmente sensibili a

questo fenomeno; i grovigli sembra che possano iniziare ad apparire nella

corteccia entorinale.

Il fattore che meglio correla con la performance (e la sua perdita) è il difetto

sinaptico, cioè la perdita delle sinapsi e dei dendriti; in secondo luogo i grovigli

e poi le placche.

Le placche sono una caratteristica molto presente, quindi sono state molto

studiate.

Di cosa sono fatte?

Sono fatte di beta-amiloide; normalmente la beta-amiloide proviene da una

grande proteina, il precursore della proteina amiloide, che tutti noi abbiamo.

Questo precursore però può essere tagliato in punti specifici all’interno delle

cellule; quando si taglia, questa catena lunga viene suddivisa in pezzettini

(corte sequenze di amminoacidi) chiamati peptidi, in particolare è il peptide

della beta-amiloide che purtroppo ha la caratteristica negativa che non si

riesce a smaltirla, quindi si accumula.

Un peptide di beta-amiloide può legarsi ad un altro peptide di beta-amiloide,

quindi via via si formano degli aggregati fino a raggiungere milioni di peptidi

messi insieme: quella è la placca.

In base a cosa viene tagliato il precursore della proteina amiloide (APP)?

Ci sono dei fattori; ad esempio l’alfa secretasi taglia l’APP ad un determinato

punto (alfa) creando due peptidi; vengono chiamati sAPP-alfa e C83: questa via

non è dannosa.

Il problema è quando il taglio è in beta, ad opera della beta secretasi; si

formano due peptidi, ovvero sAPP-beta e un intermedio (C99), il quale viene

ulteriormente tagliato dalla gamma secretasi che da origine al peptide Abeta.

Quando la beta-amiloide si accumula crea le condizioni patologiche; nonostante

questa conoscenza, non siamo ancora riusciti a formulare un farmaco efficace.

La gamma secretasi funziona insieme a delle proteine che si chiamano

preseniline che quando sono mutate possono originare un invecchiamento

precoce; l’Abeta può essere contrastata dall’azione di 2 fattori: neprilisina e

IDE, che cercano di eliminare l’Abeta.

Molto di quello che sappiamo a riguardo, deriva da casi particolari di Alzheimer,

ovvero quelli a esordio precoce di tipo familiare; sono casi in cui l’Alzheimer ha

esordio precoce verso i 40/50 anni che coinvolge singoli geni.

In generale si notano mutazioni sui geni visti prima, come ad esempio l’APP;

queste mutazioni fanno si che si sposti il bilancio tra il taglio dell’alfa secretasi,

rispetto a quello della beta secretasi e della gamma secretasi, a favore della

via della beta secretasi: questo porta ad un eccesso del peptide Abeta

(mutazione svedese).

Ci sono poi fattori non determinati da un gene, ma che sono solo fattori di

rischio; si tratta di polimorfismi che se ho mi aumenta la probabilità di

sviluppare Alzheimer.

Uno di questi è il polimorfismo Apo E4; l’Apo E è un fattore importante per

l’integrità della membrana dei neuroni.

Alcuni hanno suggerito che l’Apo E possa essere un fattore determinante per

eliminare l’Abeta; in particolare l’Apo E4 è il peggiore nell’eliminazione della

Abeta, mentre l’Apo E2 potrebbe essere protettivo verso l’Alzheimer.

25

La gran parte degli altri casi, i cosiddetti sporadici, non hanno una chiara

ereditarietà; ci saranno moltissimi componenti che si uniscono insieme.

Se andiamo a vedere i vari passi presenti nell’Alzheimer, paragonando cosa

succede in quelli ereditari, avremo: un aumento dell’AB42 -> l’AB42 che si

accumula (prima nelle cortecce associative, cortecce limbiche) -> inizierà il

declino sinaptico -> l’AB42 continua ad accumularsi fino alla formazione delle

placche -> ci sarà una reazione infiammatoria nel momento in cui i neuroni

iniziano a morire -> perdita del funzionamento neuronale -> grovigli ->

demenza.

L’ultima parte di questo processo, è presente anche negli Alzheimer sporadici

(ovvero il 90% dei casi); per questo è utile studiare l’Alzheimer ereditato,

perché si può arrivare a dei risultati condivisibili anche p

Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
35 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/02 Psicobiologia e psicologia fisiologica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Aleunifi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicobiologia della resilienza e della vulnerabilità e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Pizzorusso Tommaso.