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LINGUAGGIO PUBBLICITARIO
Vi è un duplice rapporto fra linguaggio pubblicitario e lingua comune, infatti non solo si crea una
corrispondenza fra parola e merce ma vengono sfruttate anche le capacità espressive dell’una e dell’altra.
Nella realizzazione di uno slogan si lavora su due livelli: microstrutture (alterazione di tratti morfologici
lessicali e sintattici) e macrostrutture (costruzioni imperative, interrogative ed esclamative). Per struttura
superficiale del messaggio si intende la forma sintattica così come appare in superficie, che è il risultato di
neologismi creati dalla lingua naturale e regole grammaticali totalmente nuove create appositamente per
trasmettere il messaggio. Ciò è possibile perché il linguaggio pubblicitario è una lingua artificiale. Infatti, si
ricorre spesso all’utilizzo delle cosiddette parole macedonia, che date due parole, ne formano una terza; e
dei nomi deverbali, che appunto dato un verbo, con l’aggiunta di un suffisso cambiano di categoria. Un altro
elemento frequente è l’uso del marchio come aggettivo, verbo o sostantivo. Spesso si creano inoltre giochi
di parole detti ‘puns’ che catturano l’attenzione in quanto spetta al lettore ricostruire il messaggio che,
appositamente, presenta due letture (es: Underneath I’m Lovable). Tramite i ‘wordplay’ invece, si deforma
la struttura grafica e fonetica del marchio fino a fonderlo con un altro elemento lessicale (Be
Cointreauversial). Frequentemente viene anche utilizzato lo stile nominale, che si realizza tramite il doppio
aggettivo preposto al nome, avverbi uniti al participio aggettivale, aggettivi uniti al participio aggettivale e
fraseologie in funzione aggettivale. Tramite queste forme bizzarre non solo si crea un messaggio semplice e
conciso ma anche accattivante. Sempre in funzione di una continua ricerca di brevità, il copywriter ricorre
spesso a: l’omissione di parole funzionali come articoli, ausiliari e del soggetto; forme verbali non finite
rispetto a forme verbali finite; e all’uso di frasi ridotte. Nell’omissione di parole funzionali e spesso persino
del soggetto, il copywriter, ricorre al cosiddetto linguaggio telegrafico in cui vengono eliminate le proiezioni
funzionali privilegiando quelle lessicali con lo scopo di incuriosire il lettore tramite uno slogan in cui l’intero
significato del messaggio è racchiuso in una parola sola. Questo tipo di linguaggio presenta non poche
analogie con il linguaggio infantile ed è perfettamente in linea con i principi della Grammatica Universale
(che, come definito da Chomsky, spiega che il parlante è in grado di acquisire una qualsiasi lingua in quanto
siamo geneticamente predisposti al linguaggio. Non bisogna però confondere tutto ciò con la competenza
del singolo parlante, che viene acquisita con l’esperienza. Infatti oltre alle parti innate, ci sono delle parti
che variano da lingua a lingua e sono dette parametri; un esempio ne è l’omissibilità o meno del soggetto). Il
bambino quindi, fin dalla nascita è dotato di un dispositivo innato (la GU) che sviluppa nel corso degli anni in
base alla lingua a cui è esposto. Durante il primo stadio di acquisizione del linguaggio, il bambino tende ad
escludere le categorie funzionali ed utilizzare solamente quelle lessicali. Infatti esattamente come nel
linguaggio pubblicitario, tende alla brevità, immediatezza e concisione. L’intento principale del testo
pubblicitario non è solamente quello di indurre il lettore all’acquisto del prodotto ma anche quello di
suscitare nel lettore un desiderio artificialmente. Molto frequente è infatti nel linguaggio pubblicitario l’uso
delle proposizioni interrogative che rimandano alle cosiddette Yes/No questions. L’intento è quello di
instaurare un finto dialogo con il lettore e di spingerlo non tanto ad un’azione verbale ma all’acquisto che
soddisferà le sue esigenze. Ovviamente anche l’esclamazione è fondamentale, come del resto tutta la
punteggiatura. Ciò che infatti nel parlato viene espresso tramite la mimica facciale e il tono della voce, nel
cosiddetto paralinguaggio viene espresso con la punteggiatura. L’imperativo è il tempo verbale
maggiormente utilizzato in quanto crea un rapporto personalizzato con ciascuno dei lettori che avranno
quindi l’impressione che ci si stia riferendo proprio a loro, quasi come fosse un ordine. Gli aggettivi nel
linguaggio pubblicitario hanno lo scopo non solo di descrivere il prodotto ma anche di influenzare la sfera
emotiva del lettore. Se si varia inoltre la posizione dell’aggettivo rispetto al sostantivo l’effetto sarà ancora
migliore, in quanto crea un effetto enfatico. In particolare vengono utilizzati i comparativi, che conferiscono
eccezionalità al prodotto. Da notare è inoltre la mancanza del termine di paragone, in quanto non
esprimono un confronto ma evidenziano la superiorità del proprio prodotto. Ovviamente anche i superlativi
sono usati con lo stesso fine. Nella lingua inglese notiamo la presenza di composti particolarmente
innovativi e frequenti. Infatti, l’inglese utilizza i composti come nomi o aggettivi per dare informazioni sul
prodotto in maniera bizzarra e suggestiva. Si tratta però di composti creati appositamente per l’occasione,
che non continuano a far parte della lingua parlata al di fuori di quel contesto. A livello sintattico i concetti
vengono espressi in periodi corti tramite le già nominate omissioni, che integrati con immagini che danno
un senso al testo facilitano la memorizzazione dello slogan. Inseguendo questi scopi si ricorre spesso alla
deviazione, che modificando le regole grammaticali si risolve nell’eliminazione di alcuni elementi del testo. Il
fine di questo tipo di linguaggio, già definito precedentemente come linguaggio telegrafico, non è solo
quello di ridurre le spese ma anche quello di rispettare i due principi di brevità e concisione. Tralasciando
vari elementi della frase ovviamente spetterà al lettore ricostruire il messaggio ed interpretarlo liberamente.
Spesso anche la copula ‘essere’ subisce l’eliminazione in quanto è semanticamente poco significativa.
Quando a subire l’eliminazione sono le parole funzionali il testo resta comunque perfettamente
comprensibile e per questo il fenomeno è giustificato, quando invece riguarda i verbi o il soggetto, è
ammissibile solamente nel linguaggio pubblicitario, ma restano comunque entrambi giustificabili. Il
linguaggio pubblicitario, oltre ad essere accostato al linguaggio dei bambini, spesso richiama anche quello
dei parlanti di una lingua straniera. Molto frequente è anche l’uso di lingue straniere, soprattutto l’inglese e
il francese, nei campi della cosmesi e tecnologici, ma ovviamente il primato spetta all’inglese. Questo è
dovuto al fatto che nell’adottare uno slogan inglese, questo può essere utilizzato in tutto il mondo. Spesso si
creano anche slogan mistilingui in cui parole inglesi vengono inserite all’interno di frasi di altre lingue.
L’inglese trasmette un’idea di prestigio, internazionalità, forza e concisione. Spesso però si deve tener conto
del fatto che alcuni messaggi non sono facilmente comprensibili a tutta la popolazione, e quindi possono
creare dubbi o incomprensioni. Anche e soprattutto nel campo dell’abbigliamento alcune tipologie di
prodotto sono ormai canonizzate in lingua inglese come ‘beachwear’ e ‘underwear’. Molto frequente è
anche l’uso della particella ‘by’ e la costruzione tramite ‘since’ o ancora ‘made in’. A volte, l’anglicismo si è
anche trasformato in un marchio di fabbrica da cui è derivato il nome comune di un oggetto: zoom (ditta
Zoomar). Questi sono i cosiddetti prestiti di lusso, ovvero parole straniere importate che sostituiscono
parole già esistenti in una lingua.
DISPENSE
1)LA SILLABA
La sillaba è un’unità fonologica che consiste almeno di un elemento sillabico detto nucleo, che in italiano è
una vocale, ma in altre lingue può essere anche una consonante con valore sillabico. Comunemente la
sillaba è costituita dalla sequenza CV, in cui ciò che precede il nucleo è detto incipit sillabico. Quando la
sillaba finisce per vocale, e quindi è priva di coda è detta aperta, negli altri casi è chiusa. La coda è sempre
una liquida o nasale, quindi una sonorante. Le consonanti che fanno parte di una sillaba seguono la scala di
sonorità che ne stabilisce l’ordine. Quelle con valore di sonorità più alto devono stare più vicine al nucleo
rispetto a quelle con sonorità minore. La sonorità massima si ha nel nucleo. Il nucleo e la coda insieme
formano la rima, che determina il peso sillabico, infatti una sillaba può essere leggera o pesante. È quindi
pesante se contiene una vocale lunga o se finisce per consonante, altrimenti è leggera. Il fatto che il nucleo
e la coda siano attivi insieme in una regola è la prima motivazione per raggrupparli nella rima, la seconda
motivazione viene dalla rima poetica, e la terza deriva dai lapsus linguistici. Molto particolare è il caso del
fonema ‘s’ che può stare all’inizio di parola seguito da due consonanti e può chiudere una sillaba pur
essendo una sonorante e inoltre non subisce il raddoppiamento sintattico se all’inizio di un nesso
consonantico. In altre lingue, come lo spagnolo, per evitare questi fenomeni, quando la ‘s’ è una delle tre
consonanti ad inizio parola, le si prepone una ‘e’ per rimediare all’incipit malformato.
2)LA GRAMMATICA UNIVERSALE
Bloomfield riteneva che l’acquisizione del linguaggio fosse avviata dal bambino che in modo quasi
accidentale produceva suoni come ‘ba’ che venivano poi associati ad oggetti come ‘bambola’ grazie alla
reazione di conferma dell’adulto. Chomsky respinse questa teoria, così come quella di Skinner, che riteneva
il linguaggio un meccanismo nato da stimoli e risposte, rinforzati poi da un soggetto esterno (adulto). Ad
esempio se il bambino sentendo lo stimolo della sete reagisce dicendo latte riceve come risposta, ovvero
rinforzo una bottiglia di latte. Ma Chomsky ci spiega che il linguaggio è libero dallo stimolo e che quindi non
ne dipende minimamente, quindi anche questa teoria risulta non valida. Chomsky quindi sviluppò un
approccio innatista per spiegare l’acquisizione del linguaggio, che è determinato dal fatto che l’acquisizione
del linguaggio è fatta di stadi: il neonato si trova in uno stato iniziale zero (S0) e durante il suo percorso di
crescita si evolve verso lo stato stabile (Ss). La teoria dell’innatezza consiste quindi nel fatto che nel