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Lancelot Andrewes
Nel corso del Seicento si scrisse molto di religione. Almeno uno sguardo, all'interno di questa produzione quanto mai variegata e diseguale, va riservato ai sermoni, soprattutto per lo straordinario rilievo e prestigio avuto e goduto da due grandi figure di predicatori, attivi fino agli anni Venti-Trenta del XVII secolo, ma considerati un modello per tutto il secolo e anche oltre. Sono Lancelot Andrewes e John Donne (già analizzato in precedenza). Nei suoi 96 sermoni Lancelot Andrewes (1555-1626), nonostante le complesse e puntuali analisi di passi delle Sacre Scritture da cui muove, in genere non si dilunga in controversie specifiche. Quei sermoni sono per lo più testi composti per essere letti a Corte in occasione delle principali festività cristiane. In genere avvalorano la pretesa della Chiesa d'Inghilterra di rappresentare il vero cristianesimo, stigmatizzando ogni eccesso, inclusa l'esagerata rigidità dei Puritani.
sermoni di Andrewes si rivolgono alla razionalità dell'ascoltatore o del lettore, non alla sua emotività, e soprattutto si indirizzano ad animi sereni, non travagliati. È fuori di dubbio, poi, che pochi scrittori inglesi abbiano posto altrettanta enfasi sul Logos, un termine che per Andrewes indica sia, letteralmente, il Verbo divino, sia il centro intorno a cui ruota la dottrina. ROBERT BURTON Compendio della cultura secentesca, e non solo, The Anatomy of Melancholy di Robert Burton (1577-1640) è un testo enciclopedico che testimonia, come pochi altri, la coesistenza, tipica del XVII secolo, fra l'interesse per le nuove idee scientifiche e l'adesione all'autorità della tradizione e delle dottrine del passato. Nella valutazione moderna, The Anatomy rappresenta una raccolta memorabile di aneddoti singolari, di citazioni fluviali e a volte stravaganti da opere di antichi e moderni. Nell'intenzione dell'autore dovevaInvece di essere una esposizione esaustiva e scientifica di vari disordini mentali da Burton riuniti sotto la generica etichetta di "malinconia". Seguendo l'esempio di Democrito e di Ippocrate, Burton mirava a curare la propria disposizione melanconica analizzandone cause e sintomi. L'iniziale progetto di adottare il latino fu presto abbandonato in favore dell'inglese. L'opera, pubblicata per la prima volta nel 1621 (con successive edizioni ampliate e rivedute nel 1624, 1628, 1632, 1638 e 1651), è concepita come un vasto trattato di medicina e psicologia a firma di Democritus junior (pseudonimo dell'autore) e dispiega i frutti di un'erudizione babelica e multiforme, fitta com'è di citazioni e riferimenti ai più svariati campi del sapere antico e moderno. Al progetto di questa "anatomia", che riserva un approfondimento specifico alla "malinconia d'amore", Burton dedicò tutta la sua vita.
Flessibile e varia è la prosa di Burton, di volta in volta colloquiale, sovrabbondante, epigrammatica, pedante, scritta in un inglese ricco di locuzioni latine che talvolta producono uno strano effetto di straniamento. Lo schema del libro prevedeva la discussione dei sintomi, delle cause e delle terapie dei diversi tipi di malinconia (all'epoca considerata una malattia non troppo dissimile dalla pazzia vera e propria). L'obiettivo, però, non era quello di fornire un punto di vista unitario e coerente, quanto piuttosto quello di provare a ricostruire un quadro possibilmente esaustivo di tutto ciò che sull'argomento era stato scritto. Il libro è pertanto l'espressione della illimitata curiosità del suo autore per ogni tipo di esperienza umana, del suo temperamento bizzarro e della sua mente dotta e singolare. Una mente comunque lucida, la mente di un pastore anglicano, il quale, per esempio, quando parla della malinconia religiosa,dopo l'invito "umanistico" a evitare gli estremismi, non dimentica di esaltare le qualità consolatorie che la religione può avere e ha. Il frontespizio, accompagnato da un componimento poetico esplicativo, è diviso in 10 quadri sinottici, ognuno dei quali rappresenta per emblemi i sintomi o gli attributi della malinconia. È stata questa erudizione elevata a metodo, in un trattato che si inserisce in un più ampio discorso sulla mania e sulla follia, a consentire a The Anatomy di mantenere un suo fascino attraverso i secoli. A suscitare ancora oggi l'interesse del lettore sono soprattutto le pagine riservate alla "melanconia eroica o d'amore", anatomizzata per svelarne le cause e i sintomi e per proporre singolari, astruse, ma spesso divertenti terapie. THOMAS HOBBES Improntata a un materialismo radicale è la riflessione di Thomas Hobbes (1588-1679), che concepisce l'universo come un aggregato di corpi inmovimento e del movimento fa il principio originario e fondamentale che governa la realtà del mondo fisico. Tale visione trova riflesso nel suo trattato politico, Leviathan (1651), così chiamato dal nome di un terribile mostro biblico al quale nessuno può opporsi. Muovendo da un'analisi delle passioni umane fondata su una concezione materialistica delle sensazioni, Hobbes tenta di dedurre una completa teoria politica a partire da una concezione dell'uomo che egli sintetizza nel celebre concetto dell'"homo homini lupus". "Penso che la tendenza generale di tutta l'umanità sia il perenne e insopprimibile desiderio di potere, che cessa soltanto con la morte": tali pulsioni egoistiche, se lasciate libere di manifestarsi, minerebbero ogni possibilità di vita associata. Per evitare che questo accada, gli uomini hanno stipulato un contratto reciproco in base al quale ciascuno rinuncia al proprio diritto naturale difare ciò che più gli aggrada, a patto che tutti gli altri facciano la stessa cosa, mentre un individuo o un gruppo di individui è chiamato a garantire o, se necessario, a imporre l'osservanza di quel contratto. Tale individuo, o gruppo, escluso dal contratto stesso, sarà perciò rappresentante di tutti e fungerà da arbitro insindacabile e libero da controlli. Figlio di un'età attraversata da tensioni profonde, Hobbes teorizza di fatto la necessità di un potere assoluto, che si incarna nella figura del sovrano, al quale i sudditi demandano ogni potere e diritto e che agirà in piena autonomia, imponendo le leggi e punendo severamente i trasgressori. Va sottolineato che, per Hobbes, il potere del sovrano è irrevocabile e che pertanto i sudditi, che a lui hanno concesso tutta o quasi tutta la loro libertà individuale, non hanno diritto di ribellarsi, né tanto meno di deporlo. NonostanteLaradicalità del suo assolutismo, il pensiero politico di Hobbes è ricco di fermenti innovatori che preparano a una riformulazione dei rapporti fra lo Stato e i sudditi. Il sovrano hobbesiano, infatti, interviene punitivamente solo quando è infranta la norma di legge, ma non si interessa alla vita interiore e privata del cittadino, lasciando all'iniziativa del singolo i problemi riguardanti la coscienza religiosa e la sfera delle attività economiche. Emergono possibilità della vita associata che riconoscono ampio spazio privato al singolo e che avranno piena attuazione nelle società borghesi dell'Europa occidentale.
JOHN LOCKE
Nel XVII secolo la tradizione filosofica dell'empirismo inglese trova in John Locke (1632-1704) il suo esponente più rappresentativo. Nell'Essay Concerning Human Understanding (1690), la sua opera più importante, Locke espone la propria teoria della conoscenza fondata sul rifiuto
dell’innatismo cartesiano e tesa a definire le modalità attraverso cui la nostra mente elabora le idee a partire dai dati sensoriali forniti dall’esperienza. Una conoscenza basata, dunque, sulle sensazioni esterne e sulla “riflessione” interiore. Se Hobbes era stato sostenitore dell’assolutismo monarchico, nei due Treatises of Government (1689-90), Locke propone la prima teorizzazione dello stato liberale. Come già aveva fatto Hobbes, Locke procede da una descrizione dell’originario stato di natura dell’uomo, in cui egli però non vede una guerra di tutti contro tutti, ma, al contrario, un’umanità in cui ciascuno è animato da sentimenti di benevolenza verso i propri simili. In principio, secondo Locke, la proprietà è comune; sarà poi il lavoro del singolo a dar luogo alla proprietà privata. Tuttavia in questo stato di natura manca la certezza del diritto, di qui la necessità.Per gli uomini di uscire da tale condizione attraverso un patto contrattualistico che, nella concezione lockiana, trae origine dalla necessità di meglio garantire i diritti e la libertà del popolo. Nei due Treatises, in sostanza Locke teorizza – come si diceva – lo Stato liberale, garante dei diritti dei singoli e fondato sulla divisione e l'equilibrio dei poteri: il legislativo, che fissa le leggi, l'esecutivo che le fa rispettare, e il federativo, che si occupa dei rapporti interstatali. Diversamente da quanto previsto dal modello assolutistico proposto da Hobbes, Locke sostiene il diritto del popolo di deporre il sovrano, o comunque coloro che detengono il potere, qualora essi si comportino in modo da ledere le libertà dei sudditi e arrecare danno alla comunità. Di fatto egli offre così legittimazione a quanto avvenuto nel 1688 con la cosiddetta "Gloriosa Rivoluzione", in seguito alla quale era stato deposto.
l'ultimo sovrano Stuart, Giacomo II, e si era realizzato il passaggio a un sistema monarchico costituzionale sotto la guida di Giacomo III d'Orange. Anche nei suoi scritti di carattere religioso Locke fu strenuo difensore dei principi liberali. Celebre è la sua A Letter concerning Toleration (1689) in cui affermò con energia il diritto alla libertà di culto e l'illegittimità di qualsiasi intervento dell'autorità politica nelle questioni che attenevano alla libera coscienza individuale, ribadendo la necessità della tolleranza religiosa. MARGARET CAVENDISH Nell'ambito della prosa di carattere scientifico-filosofico sono da ricordare anche gli scritti di Margaret Cavendish (1623-1673), nei quali evidente è l'influenza di Hobbes. Figura eccentrica e anticonvenzionale, Cavendish fece scandalo decidendo di pubblicare a proprie spese tutte le sue opere che comprendevano, oltre ai trattati di carattere scientifico-filosofico,Orazioni, racconti, poesie, e un romance, The Blazing World (1666-1668), considerato la prima utopia scientifica scritta da una donna. Strenua sostenitrice della parità culturale fra i sessi in un'epoca che negava alle donne l'accesso alle grammar schools e all'università, Cavedish coltivò i propri interessi scientifici e fu la prima donna a ricevere l'invito ad assistere ad alcuni esperimenti.