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La città moderna e le sue trasformazioni

L'automobile, in tutto questo, permette gli spostamenti nel nuovo tipo di città disseminata ma non rappresenta la causa prima di questa sua manifestazione fisica.

Questione delle attrezzature urbane:

Nella città moderna le attrezzature collettive sono separate e sono luoghi esclusivi e specialistici.

Nelle città invece i luoghi pubblici sono studiati e dimensionati in base ad un ordine di grandezza preso dall'edilizia seriale. L'avvento dell'industrializzazione ha provocato la separazione tra gli spazi della residenza e quelli del lavoro. Conseguentemente si sono spostati anche i luoghi della socialità: da una socialità aperta degli spazi collettivi del centro, quale era nelle città medievali e di ora i luoghi della collettività traslano ai margini cittadini e vanno a collimare con quelli della produzione e del lavoro. Parallelamente si sviluppa una autonomia della sfera.

privata.maggiore Oggigiorno i luoghi della socialità sono molto distanti dagli antenati ottocenteschi: gli aeroporti, i mall, non possono trovare spazio per evidenti ragioni nella città esistente. La mobilità dell'automobile anche in questo caso rappresenta lo strumento che è riuscito a permettere questo tipo di sviluppo, ma le dinamiche alla sua base erano già presenti prima che esse stesse si manifestassero. Questione dello spazio aperto: I programmi della nuova urbanistica dei CIAM vantano le innovazioni planimetriche rispetto alla città del passato non indifferenti: se confrontate con l'agglomerato medievale denso e raccolto, le bassa occupazione di nuove pianificazioni urbane degli anni Trenta sviluppano una forte etica di suolo e di parallelo sviluppo in verticale (Siedlung, Unità d'habitation). Diminuire i rapporti di copertura voleva dire liberarsi della suddivisione delle proprietà come mezzo dicontrollo dello spazio aperto, tenere in maggiore considerazione le esigenze igieniche, dell'orientamento, dell'areazione e dell'illuminazione. Lo sviluppo in altezza e una maggiore dilatazione orizzontale garantiva anche una certa privacy familiare, in un momento storico molto attento all'autonomia di ogni nucleo abitativo. Espansione del verde era inoltre sinonimo di un acceso, nuovo, forte interesse verso le pratiche sportive e le nuove esigenze in termini di salute fisica della popolazione. Oltretutto, la maggior distanza in pianta delle fabbriche consentiva una maggiore autonomia dell'oggetto architettonico. Tale principio distrugge la drammatica d'ordine precedente: il movimento di liberazione della singola realizzazione genera successivamente il frammento. Questione della dismissione dei manufatti: La dismissione come pratica urbana ha sempre fatto parte della storia della città. Si pensi ad esempio alla città medievale che

È costruita letteralmente sullo scheletro di quella antica. Dagli anni ’70 però la dismissione interessa le grandi fabbriche e i grandi edifici che avevano invece caratterizzato l’urbano della città industriale. Questo perché cambiano le politiche economiche, i modi di vivere della popolazione, l’avvento della tecnologia e del lavoro a distanza… La dismissione può essere giustificata anche nella ricerca di spazi più dilatati.

Se la fabbrica era stata il centro sociale principale della città fino al XX secolo, la sua dismissione, il suo spostamento scombussolano i riferimenti sociali e spaziali: assieme all’assenza di altri luoghi della socialità (in una società sempre più spinta verso la dimensione familiare privata), è naturale la progressiva ricerca di privatizzazione. Le tante realtà sociali, non più abituate ad un confronto diretto nei luoghi di ritrovo collettivo e ora

comode alla loro piena libertà di auto-manifestazione nello spazio residenziale e privato, sono in continuo micro-conflitto tra loro perché eterogenee. La dismissione ha mescolato le carte disaggregando il corpo compatto della classe operaia e per molti versi anche dei ceti medi: privandoli dei tradizionali riferimenti spaziali e temporali li ha dispersi in un vasto numero di attività, di imprese e di luoghi. Lo scardinamento della concezione moderna dei tempi e dei luoghi della città ha conseguenze anche sul tipo di movimento in atto. Non si ha più il ritmo ordinato degli spostamenti casa-lavoro della città di fine XIX secolo, quando le temporalità erano definite, parallele, ma soprattutto omogenee. Ora si assiste ad una dispersione caotica dei movimenti: non più percorso a tubo ma a spugna. La spugna si presta bene alla metafora perché rappresenta i flussi continui in ogni direzione. Vi sono meno possibilità di blocchi di movimento.

traffico perché la rete è ramificata e per la sua stessa conformazione la spugna è in grado di assorbire la quantità in eccesso di acqua e indirizzarla per capillarità verso altre uscite. I grandi canali della mobilità (ferrovie, sopraelevazioni..) oggi nutrono l'importante compito di plasmare e fare da intermediario tra i vari materiali urbani. Proprio perché ogni materiale urbano è caratterizzato da un suo specifico e irrinunciabile grado di autonomia. La città contemporanea molto spesso viene letta in chiave di degradazione di quella moderna. La frammentologia del di per sé invita al restauro, alla ricomposizione, alla ricostruzione di un'unità precedente. Riproporre il passato è sempre la mossa sbagliata perché è impossibile riproporre un tipo di cultura, di tradizioni, di costumi ed equilibrio che ora non ci sono più (senza analizzare per quali ragioni si è passati).

da un trascorso antico a quello contemporaneo). Il becero eclettismo ottocentesco è l'esempio più magnifico per indicare l'interesse solamente alla forma e non al contenuto. Se visto sotto quest'ottica, il restauro diventa allora operazione pericolosa. Rispetto alla riproduzione imitativa del passato, il cui massimo esempio è il collage eclettico e la sua manifestazione è la rappresentazione della libertà di soggetti tra loro irriducibili dove prevale l'autonomia dell'oggetto architettonico, il recupero dalla tradizione del passato alcuni concetti, ma non le forme e i linguaggi e costituisce con l'antico una relazione di conoscenza più che di obbedienza. In modo analogo molti progetti contemporanei cercano di far recuperare alla città un contenuto senza però farla assomigliare alla città del passato. Terza alternativa a questo tipo di rinnovamento è la politica della sperimentazione.

dellaurbis:

essa si propone di modificare e trasformare l'intero orizzonte di senso di parti di città o della città intera. Non ha una previsione complessiva architettonicamente formulata ed è indipendente da un ritorno al passato. È la politica che si propone di costruire un nuovo sistema di valori significativi più che esemplari; non cadono nell'imitazione. Non è costituito solo da architetture nella loro pianificata quanto simbolica singolarità ma molto progetto di città spesso si va a costituire da un complesso del quale entrano a far parte inevitabilmente leggi, regole, procedure, modifiche istituzionali... Richiede, per poter essere attuato, e soprattutto per poter avere successo, di essere inserito in una visione d'insieme e questa può riguardare anche temi differenti (es_ Barcellona: spazio aperto | Berlino: la ricostruzione...).

Le tre mosse non sono mai presenti in forme rigorose e

Canonizzatili perfettamente in quanto tali. Ad esempio la Berlino neoclassica di Shinkel proponeva anche numerosi influssi eclettici e non poteva essere imbottigliata nell'unica attenzione al classico.

Città dismessa. Il principale terreno di sperimentazione delle mosse è sia dentro la città consolidata che quella in periferia e molte volte le tre mosse si sono configurate come vere e proprie riconquiste di importanti spazi urbani. Poche volte la renovatio ad esempio si è cimentata con le aree della dispersione. A sostegno dell'ultima affermazione c'è da considerare che nessuna delle tre mosse viene definita incompatibile con il piano urbanistico.

A questo proposito è bene sapere che gli ultimi decenni del XX secolo sono stati percorsi da un'inconcludente polemica tra piano e progetto della città. Molti dei progetti urbani ultimi hanno il carattere frammentario di veri e propri nel discorso complessivo della città.

Il piano urbanistico, invece, con diverse declinazioni e procedure, lo troviamo stabilmente consolidato in molti paesi.

Il piano urbanistico viene concepito da Secchi come una determinati produconooutput.a loro volta degli Gli input sono rappresentati dalle domande che la società stessa chiede al piano, gli output sono le realizzazioni concrete e le modifiche che il piano attua nel territorio.

  • Problema degli input:

Non tutte le domande della società trovano risposte nel piano. Però se il piano evita di trovare risposte a domande che non possono essere risolte altrove se non nel piano stesso (es_ non nelle amministrazioni, nelle politiche, negli sviluppi economici, nei sindacati…) si assiste all’irruzione dei gruppi rappresentanti di tali domande (anche minoritari). L’insufficienza di molte politiche economiche cattive ha fatto si che al piano venissero poste domande a cui non avrebbe mai potuto dare risposta. Oltretutto è

Difficile di per sé riuscire a captare completamente le domande che vengono poste al piano, perché assai frequentemente esse strategie non vengono esplicitate in modo diretto. Non per niente quindi l’urbanistica ricorre a indiziarie necessari per cogliere gli input silenziosi. La progressiva frammentazione della società rende difficile pensare la domanda sociale in termini aggregati, naturalistici e omogenei.

Problema degli output:

  • Il piano urbanistico è un insieme di enunciati teorici e pratici. Per far si che queste diverse dimensioni del piano non si disperdano in un insieme di azioni prive di unitarietà ed efficacia, gli urbanisti hanno articolato il loro progetto entro due assi principali: e La strategia vede l’interpretazione del piano come una matrioska: interdipendenza dei “livelli” e scala visiva dal generale al particolare. La figura del cannocchiale manifesta l’andirivieni tra
ta un elemento fondamentale nella comunicazione del progetto urbano, in quanto permette di trasmettere concetti complessi in modo chiaro ed efficace. La scala del progetto urbano può essere considerata a diversi livelli: la scala territoriale, la scala urbana e la scala architettonica. A livello territoriale, il progetto urbano si occupa di organizzare e pianificare l'intero territorio di una città o di una regione. In questo caso, il linguaggio utilizzato deve essere capace di rappresentare le relazioni tra le diverse parti del territorio, come ad esempio le infrastrutture, i servizi pubblici e le aree verdi. Si utilizzano spesso mappe, diagrammi e modelli tridimensionali per comunicare in modo chiaro e sintetico le intenzioni progettuali. A livello urbano, il progetto si concentra sulla pianificazione e l'organizzazione di un quartiere o di una zona specifica all'interno della città. In questo caso, il linguaggio utilizzato deve essere in grado di rappresentare le relazioni tra gli edifici, le strade, le piazze e gli spazi pubblici. Si utilizzano spesso planimetrie, sezioni e prospetti per comunicare le scelte progettuali e le intenzioni di sviluppo. A livello architettonico, il progetto si occupa della progettazione degli edifici e degli spazi interni. In questo caso, il linguaggio utilizzato deve essere in grado di rappresentare le caratteristiche architettoniche degli edifici, come ad esempio la forma, i materiali e le finiture. Si utilizzano spesso disegni tecnici, render e modelli fisici per comunicare le scelte progettuali e le intenzioni estetiche. In conclusione, il linguaggio utilizzato nel progetto urbano è fondamentale per comunicare in modo chiaro ed efficace le intenzioni progettuali a diverse scale. L'utilizzo di diverse forme di rappresentazione, come mappe, diagrammi, planimetrie e disegni tecnici, permette di trasmettere in modo sintetico e comprensibile le scelte progettuali e le intenzioni di sviluppo.
Dettagli
A.A. 2020-2021
13 pagine
SSD Ingegneria civile e Architettura ICAR/21 Urbanistica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Nobody_scuola_1990 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Urbanistica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Politecnico di Milano o del prof Infussi Francesco.