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CAPITOLO 3 - L’entertainment diventa globale
3.1 Entertainment e industria culturale
Oggi i confini tra ciò che può essere definito entertainment e ciò che invece
possiamo chiamare pubblicità sono sempre più sfumati. Le costanti
dell’entertainment sono: libera scelta, tempo vissuto come risarcimento rispetto
a quello degli obblighi (anche sociali come la famiglia), finalità diverse rispetto al
lavoro. Parliamo di entertainment a partire dall’industria culturale di massa, da
quando la divisione del lavoro si è incentrata sul lavoro salariato determinando
una distinzione tra tempo del lavoro e tempo liberato dal lavoro. I consumi
culturali (Morin e loisir) vanno quindi a definire il tempo dell’entertainment. Sono
consumi da considerare come scelte identitarie che consentono di affermare se
stessi rispetto agli altri e con gli altri. Al centro dell’intrattenimento ci sono le
storie.
Il racconto di serie finzionalizzato e serializzato comincia già dal tempo dei
feuilleton, ed è uno degli elementi con cui produrre la fruizione di un
intrattenimento che porta sempre con sé una carica riflessiva. L’immersione in
una storia consente di osservare una realtà altra e di osservare sé stessi a
confronto con le trame osservate. La fiction rivela le potenzialità inespresse della
realtà, porta allo scoperto il rimosso. Il valore dello storytelling sta proprio
nell’oggettivare il “come se”. 8
Con la radio l’entertainment entra nelle case e s’intreccia con la vita quotidiana,
diventando una presenza che si inserisce tra le attività domestiche e le scandisce.
Così sarà poi (in maniera molto più forte) per la televisione dagli anni 50. Questa
sarà il mezzo mainstream per eccellenza, che ora sta conoscendo una stagione di
digitalizzazione grazie alle pratiche di second screen e partecipazione dei social
media. L’entertainment di oggi si basa proprio sul concetto di esperienzialità, con
cui l’idea di spettacolo viene quindi superata dall’esperienza.
3.2 Pubblicità ed entertainment: product placement
La collaborazione iniziale tra brand e media era finalizzata ad avere un palco in
cui mostrare i prodotti (dal punto di vista della pubblicità) e ad avere prodotti,
servizi o mezzi gratis (dal punto di vista dei media). Dagli anni 20 agli anni 50 i
programmi erano prodotti e finanziati dalle agenzie pubblicitarie e anche in tv
accadeva la stessa cosa (soap opera sponsorizzate e a volte create dai produttori
di saponi e detersivi). Si è arrivati in seguito al product placement, l’integrazione
della pubblicità all’interno del programma con l’utilizzo di cartelli, attività del
conduttore che pubblicizza il prodotto, sino ad arrivare allo spot vero e proprio.
Le grandi aziende inserzioniste avevano quindi un enorme potere, che portò le tv
ad abbandonare tale logica e spostarsi verso gli spot.
Il product placement può essere basico (sola presenza del prodotto) o integrato
(prodotto brandizzato all’interno della trama dell’audiovisivo), con il prodotto che
diventa un elemento integrante della narrazione e non una mera apparizione. Il
placement è stato anche definito messaggio ibrido, a metà tra commerciale e non
commerciale. Oggi però la competenza del pubblico è tale da fargli evitare i
contenuti commerciali, perciò il messaggio pubblicitario deve essere costruito in
maniera più soft. La pubblicità non si deve presentare come tale, ma essere
connessa con la magia e il coinvolgimento nella visione del programma.
L’esperienza positiva dello spettatore può investire anche il prodotto o brand
consentendo di riconoscerlo come elemento della narrazione e non “intruso”. Ci
sono poi anche pratiche di placement digitale (aggiunto in post-produzione).
Distinguiamo:
- Placement classico: prodotto nell’inquadratura
- Placement istituzionale: marca e non prodotto nell’inquadratura
- Placement evocativo: brand non citato né mostrato ma riconoscibile per
esempio dal packaging
- Placement nascosto: brand totalmente integrato nella scena e apparentemente
neutrale (abiti degli attori)
Ci sono poi le modalità con cui può essere messo in rilievo il prodotto: rilievo
visivo (grandezza o posizione nello schermo), modalità audiovisiva (brand sullo
schermo e menzionato durante un dialogo), e inserimento nella trama
(valutazione dell’integrazione nella trama). I prodotti non devono però affollare la
scena per non produrre l’effetto contrario e risultare fastidiosi.
3.3 Branded entertainment e suoi formati
9
I brand sono diventati dei veri e propri produttori e fornitori di contenuti. Così si
offre quello che è l’universo valoriale del brand stesso, offrendo contenuti
esperienziali, distribuiti con mezzi diversi ed in un’atmosfera totalizzante. Si parla
infatti di total entertainment, con i brand che possono fungere da punto di
ingresso in ambienti totali da esperire con piattaforme e modalità diverse.
I soggetti non vogliono più sentirsi passivi ma essere performanti, vogliono
essere chiamati a fare qualcosa, in questo consiste la differenza tra spettacolo e
intrattenimento. Qui si applica il concetto di demotic turn, secondo il quale la
diffusione dei social media ha reso più semplice la partecipazione e la possibilità
di guadagnarsi una fetta di popolarità.
La distinzione tra produzione di contenuti creativi di intrattenimento e marketing
è venuta meno, in favore di una collaborazione tra industria pubblicitaria e di
intrattenimento. Differenziare la distribuzione sulle piattaforme sociali consente di
riuscire ad arrivare più efficacemente ai pubblici prescelti come destinatari. La
grande interattività richiesta dal pubblico porta però, inevitabilmente, al suo
empowerment, nello sviluppo di un modello user-centred. L’integrazione di
strumenti e media diversi diviene in questo contesto un imperativo che deriva
non solo dalla volontà di costruire universi di intrattenimento totali, ma anche da
motivi di sostenibilità economica. Brand placement e brand entertainment hanno
molte possibilità di esistere, con declinazioni creative pressoché illimitate: ambito
televisivo, piattaforme digitali, eventi dal vivo, con la consapevolezza che
l’attività in un ambito dovrebbe coinvolgere anche gli altri.
Di particolare interesse è il caso delle branded web series. Queste sono vere e
proprie web series, che per lo più riprendono il genere delle sit-com (commedia
di situazione che prevede personaggi e situazioni ricorrenti, ambientazione
standard, episodi comici). Di solito le puntate non vanno oltre 10 minuti. La
brevità di tale formato lo rende particolarmente adatto alla condivisione sui social
media. Attirato dal formato delle branded web series, Google ha attivato un
servizio per i provider che consente di distribuire i contenuti attraverso un hub: in
pratica una pubblicità digitale che inserisce i video in pagine web targetizzate per
fascia demografica. Sono i contenuti a trovare collocazione in posto e momento
giusto per i visualizzatori.
Es. In the motherhood di Sprint e Unilever, che racconta la maternità di tre
mamme: è stato effettuato per questa branded web series un crowdsourcing per
la definizione dei plot delle varie puntate. La Web series è stata poi trasformata
da ABC in una vera e propria sit-com con medesimo titolo.
Ikea e Easy to assemble. La protagonista della serie deve affrontare una crisi e si
trova a lasciare Hollywood e lavorare da Ikea a Burbank. La quasi totalità delle
scene è girata nello store Ikea, ma la presenza del brand sembra voler conferire
un’idea di autenticità alla scena e al plot.
Foster (birra) ha realizzato 3 serie a partire dal 2010. Il primo caso è Mid Morning
Matters with Alan Partridge, e racconta di un attore approdato ad uno show radio
dopo insuccessi nella carriera della recitazione. La seconda si chiama Vic & Bob’s
afternoon delights, e vede come protagonista una grande coppia comica inglese.
Infine la terza serie si chiama The Fast show - Faster, e consiste nella riedizione
web di un famoso programma degli anni 90. Foster ha deciso di apparire solo con
la presenza del logo nell’inquadratura di apertura e in sovraimpressione. Gli
10
episodi sono stati veri e propri eventi, visto che erano disponibili solo
temporaneamente sul canale YouTube e sito Foster’s Funny.
In Italia.
Es. APPposta per te (2014) di Poste Italiane è una serie che segue le vicende di
un piccolo gruppo di persone che ruota attorno ad un bistrot. LOVEThESIGN crea
poi In ufficio con Luca con protagonista Luca Argentero che decide di cambiare
lavoro e approda in uno shop dedicato al design.
Anche i videogiochi sono molto utilizzati per il product placement, con i giochi
stessi che sono pieni di posti in cui posizionare loghi, insegne, cartelle, ecc.
Ancora possono essere creati giochi e app direttamente rilasciati dal brand
(McDonald’s, Burger King, Chipotle). Con i giochi si possono avvicinare coloro che
non fruiscono del mezzo tv, i giovani. L’esperienza ludica, come tutte quelle
esperienziali, utilizza la chiave dell’economia affettiva. Si tiene conto di come
nella costruzione del rapporto brand/consumatore, grande parte sia data
dall’affezione che il brand può generare. L’entertainment quindi serve per
costruire mondi funzionali, coerenti e complessi, all’interno dei quali permettere il
passaggio e la sosta dei fruitori.
3.3.1 Branded entertainment e spazi urbani
C’è un legame indissolubile tra città e pubblicità. Nell’800 la città poteva essere
considerata fonte di estrema fascinazione per il flaneur, o eccessivamente
pervasiva per il blasè. In entrambi i casi era una visione difficilmente evitabile
che prendeva forma con i primi affiches degli artisti prestati alla pubblicità.
In seguito la beautification della città diviene un imperativo, e questa vede i
media imporre le proprie logiche ed i propri linguaggi applicarsi allo sviluppo della
forma urbana e alla sua pianificazione. Lo spettacolo urbano è evidentemente
pensato in un’ottica di intrattenimento che sia quanto più simile possibile
all’intrattenimento dato dalla produzione dei contenuti mediali. La città si
trasforma in un set cinematografico, un contenitore di enormi dimensioni di
design, sempre più vero e proprio prodotto mediale. Esempio di ciò è
l’architettura brandizzata, consistente negli edifici progettati da grandi architetti
internazionali. Questo contribuisce alla formazione dei brandscape