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Capitolo 1 – Un terzo problema

All'inizio del XX secolo ha avuto inizio una seconda industrializzazione, quella

dello spirito, che ha permesso al progresso della tecnica di far penetrare

nell'umano le merci culturali da essa prodotte. La terza cultura, nata nel secondo

dopoguerra da stampa, cinema e radio, prende il nome di “mass culture”: cultura

di massa, prodotta secondo le norme della fabbricazione industriale.

Accanto alla cultura che definisce le qualità umane della nostra specie, troviamo

culture particolari che variano a seconda delle società per norme, simboli, miti e

immagini che influenzano istinti ed emozioni degli individui, secondo meccanismi

di proiezione o identificazione. Le società moderne sono policulturali, poiché

contengono in sé le culture nazionali, la tradizione umanistica, quella religiosa e

la cultura di massa, che può permearsi dei loro contenuti, ma anche penetrarli e

corroderli.

Essa è tuttavia la prima cultura universale della storia dell'umanità, i cui elementi

si diffondono, seppur in maniera diversa, in tutto il globo.

Gli intellettuali rigettano la cultura di massa e l'invasione dei sottoprodotti

culturali dell'industria moderna, intesi come divertimenti e distrazioni. Ciò perché

la cultura di massa non presenta una discontinuità tra arte e vita (tramite, ad

esempio, riti cerimoniali).

Per analizzare la cultura di massa, quindi, occorre utilizzare un metodo

autocritico, che prevede che l'osservatore partecipi all'oggetto della sua

osservazione. Il metodo della totalità, inoltre, ci permette di evitare l'empirismo

molecolare che isola i vari campi del reale: la cultura di massa va infatti

analizzata nel suo moto tra umanità e tecnica.

Capitolo secondo – L'industria culturale

Perché l'industria culturale fosse possibile sono stati necessari il cinematografo e

il telegrafo senza fili, invenzioni il cui sviluppo massiccio ha generato profitti che a

loro volta hanno permesso lo sviluppo delle nuove arti tecniche.

Mentre il sistema privato adatta la sua cultura al pubblico poiché per sopravvivere

deve divertire, il sistema pubblico dello Stato si propone di adattare il pubblico

alla sua cultura. E' pertanto necessario che vi sia un rapporto equo tra

concentrazione e concorrenza.

L'industria culturale, organizzata sul modello dell'industria tecnica, spersonalizza

la creazione e razionalizza la produzione che organizza. L'immaginario stesso si

struttura in archetipi, modelli-guida dello spirito umano, in regole, convenzioni e

generi con situazioni e personaggi-tipo costanti. E' tuttavia sempre necessaria

una dose di invenzione (che rischia tuttavia di non piacere), poiché lo standard

beneficia del successo passato, ma rischia di stancare. La produzione artistica

ritorna all'anonimato, ma il nuovo collettivismo fondato sulla divisione del lavoro

distrugge l'unità della creazione artistica. Ad esempio, nel cinema, il regista

emerge come l'autore del film (superando sceneggiatori e dialoghisti), ma si

tratta di una creazione concepita secondo le norme della produzione, così come

nella stampa agenzie, corrispondenti, ecc., partecipano al lavoro redazionale ma

in modo razionale, standardizzato. Le condizioni ideali della creazione, al

contrario, vedrebbero l'autore assumere contemporaneamente le varie

competenze.

Tuttavia, pur standardizzandola, l'industria culturale necessita di

individualizzazione, che raggiunge superindividualizzando il film attraverso un

divo, che schiaccia l'autore (che si afferma invece in film privi di grandi attori).

La soddisfazione dell'artista di identificarsi con la propria opera, di trascendere in

essa, viene meno a causa di una crescente alienazione analoga a quella

dell'operario, dovuta all'adattamento delle opere originali al mercato.

Capitolo terzo – Il grande pubblico

L'industria culturale si rivolge ad un pubblico potenzialmente mondiale, di ogni

età, sesso e classe sociale. Ciò implica la ricerca della varietà nella produzione di

informazione, da sistematizzare e omogeneizzare in un unico stile. Gran parte dei

film sincretizza infatti linguaggi e temi dei vari generi, fondendo contenuti

sentimentali e brutali. Nell'informazione si privilegia ciò che si avvicina al

romanzo (come divi e fatti di cronaca), mentre nell'immaginario si predilige ciò

che si avvicina al reale.

All'inizi del XX secolo, classi sociali, educazione ed età delimitavano i campi

culturali (dalla stampa d'opinione seria a quella facile d'informazione). Ora la

stessa struttura industriale produce contenuti per l'infanzia e per gli adulti, che si

mescolano attraverso, ad esempio, l'impiego di immagini. Gli spettatori di ogni

classe sono uniti dapprima dal cinema, poi dagli spettacoli sportivi e, dagli anni

30, da radio e tv. Sebbene la differenziazione dei gusti resti una differenziazione

sociale, la cultura industriale è il primo terreno di comunicazione tra le varie

classi, le cui differenze vengono livellate grazie alla standardizzazione degli

interessi. La tendenza omogeneizzante è tuttavia cosmopolita, poiché attenua i

contenuti nazionali a vantaggio della cultura delle grandi aree trans-nazionali.

Il linguaggio che meglio si adatta all'uomo medio è l'audiovisivo, che utilizza

immagini, suoni e parole, ed è quindi più accessibile e più adatto all'immaginario,

che genera una maggiore empatia in individui di diversa provenienza rispetto al

vero e proprio stile di vita.

La cultura di massa, infatti, non viene imposta dalle istituzioni, ma proposta dal

commercio. Offre dei modelli, ma non crea tabù, pur subendo quelli di religione e

Stato.

Capitolo quarto – L'arte e la media

La struttura tecno-burocratica conformista e quella industriale standardizzante, si

accompagnano all'economia capitalista, che ricercando il pubblico massimo lo

intende come un uomo medio astratto.

Tuttavia, benché il capitalismo privato liberi l'arte dalle restrizioni statali, l'uomo

non ricerca soltanto i divertimenti offerti dal sistema privato, poiché rimane in lui

il problema fondamentale di ricerca della felicità. Il cinema, in particolare,

continua quindi ad essere un'arte, i cui standard letterari e tecnici, tuttavia, si

affinano. E' la quantità stessa a generare la qualità, facendo sì che i numerosi

film prodotti diano vita a una lunga tradizione di produzione in serie.

Il genio viene integrato solo quando genera curiosità o garantisce il

riconoscimento nell'ambito dell'alta cultura.

La corrente principale di Hollywood mostra l'happy ending, che supera le pur

presenti correnti negative, a cui si affianca una terza, la corrente nera, in cui

confluiscono accuse e contestazioni e che per questo è esclusa dall'industria

culturale.

Prima della cultura industriale, tuttavia, non vi era stata alcuna età dell'oro della

cultura, che ha ora la possibilità di diffondersi, ma che a causa del necessario

abbassamento della qualità, perde tali possibilità.

Capitolo quinto – La grande rottura

Mentre la cultura si democratizza tramite libri a buon mercato, l'alta cultura

resiste all'integrazione coltivando valori feticcio come l'autografo. La cultura

industriale ha infatti trasformato quanto ha attinto da quest'ultima, attuando

(oltre alla moltiplicazione, ossia alla riproduzione) un processo di volgarizzazione

(ossia di trasformazione, di adattamento al grande pubblico), condensando

grandi opere complicate in formati semplici e piacevoli, con intrighi schematizzati,

meno personaggi dai caratteri semplici. La partecipazione affettiva viene ricercata

accentuando l'antagonismo tra bene e male, introducendo la psicologia e la

drammatizzazione moderna nelle opere del passato. L'acclimatazione, invece, ha

creato ibridi culturali.

La stampa inaugura la paoleocultura di massa, ossia un periodo in cui la cultura

letteraria borghese non cerca solo di proiettare i problemi umani

nell'immaginario, ma punta sull'identificazione tra lettore ed eroi (e, per

estensione, con gli autori).

La corrente popolare resta fedele ai temi melodrammatici greci (di nascita,

travestimenti, false morti, ecc.), ma li adatta al contesto moderno.

Le innovazioni tecniche, inoltre, condizionano la nuova cultura grazie alla rapidità

di trasmissione del giornale, la diffusione di sale cinematografiche, fino alla

possibilità di raggiungere un pubblico globale in qualsiasi momento.

Inoltre, mentre l'immagine stampata è immobile, film, tv e radio riproducono il

movimento reale, reintroducendo nella cultura una presenza viva e umana, con

mimiche e voci.

Il legame immediato e concreto delle feste si trasforma in una telepartecipazione

mentale: la cultura si è infatti espansa in tutti gli interstizi della vita quotidiana,

anziché spezzarla. Mentre la cultura folclorica si basava su hic et nunc e mezzi di

espressione propri (come danze e dialetti), la cultura urbana disgrega i legami

per tendere al pubblico indeterminato. Gli elementi che sopravvivono vengono

universalizzati: si pensi al western, agli animali (confluiti nel disegno animato) o

ai giochi (che diventano concorsi radiotelevisivi).

I simboli primitivi delle battaglie e i ritmi della civiltà arcaica sono anzi funzionali

alla cultura di massa, che, per raggiungere un pubblico universale, si rivolge

all'anthropos comune, ossia al fondo mentale proprio dell'uomo arcaico

conservato in ognuno di noi.

Capitolo sesto – Una cultura del loisir

Il consumo della cultura di massa fa parte dello svago moderno, del tempo libero,

che era prima un privilegio delle classi dominanti ed è ora il frutto

dell'organizzazione del lavoro burocratico e industriale. Pur essendo strappato dal

lavoro, esso si differenzia dalla festa, poiché non viene ripartito nel corso

dell'anno, ma concentrato nei weekend.

Parallelamente, l'unità della famiglia si riduce al nucleo, di membri autonomi. La

cultura di massa si estende quindi nella zona lasciata libera dagli affetti ma anche

dal lavoro, i cui contenuti umani si atrofizzano, attenuando l'attaccamento e

negando una personalità che trova riscatto negli interessi e nei consumi.

Le nuove tecnologie creano un nuovo spettatore puro passivo, fisicamente

lontano dallo spettacolo, ma che partecipa all'immaginario poiché lo sfrutta per

creare ed alimentare sogni. Non solo le telecomunicazioni indeboliscono le

comunicazioni con l'ambiente, ma anche con sé stessi: esse impoversicono e

alimentano al tempo stesso la personalità.

Parallelamente allo spettaco

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
9 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher GiovannaUrb di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teorie e pratiche dell'immaginario e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Gemini Laura.