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Birmingham nel 64. Essi si concentrarono sulla “codificazione” (encoding) e

“decodificazione” (decoding) e sulle posizioni dominanti-egemoniche, negoiali e

oppositive, arrivando a parlare di appropriazione, contro-appropriazione dei

contenuti e “bracconaggio testuale” (riprendendo Michel De Certeau). I Cultural

Studies misero quindi in discussione la distinzione tra cultura alta e bassa, tra

opere sperimentali d'avanguardia e prodotti commerciali, espandendo la sfera

della cultura. I feminine studies, ad esempio, si concentrarono su come

l'ideologia patriarcale ha codificato le proprie gerarchie nelle forme popolari di

rappresentazione visiva, dando loro una parvenza di naturalità e immutabilità. Il

cinema hollywoodiano, fondato sulla distinzione netta asimmetrica della donna

passiva guardata, oggetto del desiderio dell'uomo attivo spettatore. Il ruolo

culturale delle immagini è quindi un territorio dinamico e conflittuale, poiché lo

statuto dello spettatore non è univoco, bensì caratterizzato da una pluralità di

posizioni spettatoriali. I visual culture studies tendono a privilegiare quindi

immagini e pratiche contemporanee della cultura popolare, come pubblicità e

cronaca, con un approccio critico-militante che vede nella ricerca uno strumento

per svelare le ideologie imposte dall'alto.

- La teoria dell'immagine, invece, nasce in Germania, dove per i primi 3 decenni

del XX secolo ci si era interessati al ruolo della fotografia, ispirandosi al modello

della storia dell'arte. Uno die fondatori, Boehm, sosteneva che le immagini

dovessero produrre senso senza utilizzare più mezzi visivi strutturati sul modello

predicativo e binario (affermazione vs negazione). Si parla infatti di iconic turn

(svolta iconica), concetto da lui formulato nel 94 in seguito alle trasformazioni

della dimensione mediale (“medial turn”). Weigel e Derrida hanno tuttavia

sottolineato l'esigenza di soffermarsi anche sull'analisi delle tracce di ciò che

esisteva prima delle immagini in forma non-iconica e latente, prima della sua

configurazione. Il campo transdisciplinare della teoria dell'immagine è delimitato

dai 3 criteri di materialità, artificialità e persistenza delle immagini, di cui viene

indagato il ruolo conoscitivo ed epistemico, con supporto di storia e scienza.

La cultura visuale, quindi ha come oggetti di studio quelle ibridazioni tra corpi

organici e dispositivi tecnologici di visione, l'elaborazione visiva di valori,

credenze e identità, e il ruolo di immagini e visione nelle forme del sapere (anche

in campo politico).

Occorre analizzare, quindi, anche le condizioni tecniche e mediali che consentono

visualizzazione e trasmissione delle immagini, la descrizione di immagini e opere

d'arte, ma anche architettura, design e moda in quanto comunque oggetti di atti

di visione. Il fenomeno dell'attenzione visiva, infatti, consiste nella modulazione

dello sguardo la cui natura cambia nel tempo in base ai dispositivi esistenti (e

quindi alle convenzioni e alle limitazioni). Benjamin teorizza infatti una

correlazione tra la storia degli apparati tecnici e quella della percezione, mentre

McLuhan si sofferma sul passaggio dal primato dell'ascolto a quello della visione,

ossia dalle culture orali alla stampa, che ha trasformato l'intero sensorio umano.

Mitchell distingue tra images, entità immateriali (figure, motivi, forme) che

attraversano il tempo e i media senza perdere la loro identità, e le pictures, che

hanno senso in un periodo storico e in un media.

La riflessione sull'immagine nasce con la filosofia: Platone sosteneva che ogni

immagine riproduttiva fosse copiativa e depotenziata rispetto all'oggetto

sensibilmente percepibile, distinguendo però la mimesi mistica (imitazione della

realtà) da quella fantastica (dell'apparenza), che tiene conto del unto di vista

dell'osservatore.

La coscienza d'immagine (ossia la percezione della presenza di un'immagine) si

distingue dalle altre forme di intenzionalità della coscienza: la percezione

(esperienza della cosa concreta), la memoria (che ripresenta un oggetto),

l'anticipazione (di un oggetto presente in futuro), l'illusione (distorsione della

percezione), l'allucinazione (patologica percezione priva di oggetto) e la fantasia

(correlata a un oggetto inventato). La coscienza d'immagine è tripartita in:

oggetto iconico (ciò che vedo raffigurato), soggetto iconico (referente esterno) e

cosa iconica (immagine fisica e supporto materiale). L'immagine è quindi

caratterizzata da intersoggettività, pur essendo percepita per quel che raffigura.

Merleau-Ponty considera la pittura in grado di farci risalire a uno stato precedente

ai dualismi della metafisica (soggetto/oggetto, materia/spirito, anima/corpo,

ecc.).

- L'approccio fenomenologico di Klee si oppone alla tradizione platonistica che

concepiva l’immagine come rappresentazione di un referente esterno

precedentemente esistente e indipendente: l'immagine ora non imita più il

visibile, ma rende visibile. L'artista non crea, ma scopre.

- La psicologia della Gestalt esplora invece la percezione, per enucleare regole

valide all'organizzazione dei dati ottici attraverso l'articolazione figura-sfondo, la

segmentazione del campo visivo, il rapporto pensiero-visione, gli effetti di

profondità, gli errori percettivi, trasparenza, contorni e orientamento.

- La semiotica, con Peirce, negli anni 60 dell'800 indaga le modalità

rappresentative, distinguendo: icone (fondate sulla somiglianza tra segno e

rappresentato, come i ritratti), indici (su una relazione fattuale, come tra fumo e

fuoco) e simboli (con carattere convenzionale, come le parole). L'uomo ricerca

quindi la coincidenza semiotica tra immagine e oggetto, producendo un'illusione

referenziale del linguaggio figurativo. Il linguaggio plastico, invece, riguarda gli

effetti di senso prodotti da linee, colori e composizione spaziale.

- Wollheim, nell'ambito delle teorie analitiche, ha proposto di sostituire il “vedere

come” con il “vedere in”, utilizzando come criterio di correttezza l'intenzione del

produttore.

- Infine, scienze cognitive e neuroscienze si concentrano sugli studi

cinematografici: l'esperienza spettatoriale è considerata cognitiva, poiché lo

spettatore ricostruisce, attraverso operazioni mentali, la struttura della

narrazione. Si parla quindi di cognitivismo cinematografico, che indaga

l'esperienza visiva attraverso un programma minimalista (che si interessa di ciò

che avviene a livello neurale quando osserviamo un'opera d'arte) e un

massimalista, in cui i neuroni creano l'opera attraverso: la logica dell'arte (le

regole universali individuate dai gestalisti), il fattore evolutivo (per cui si

identifica ciò che è importante in base ai condizionamenti socioculturali) e i

circuiti cerebrali implicati in tali processi.

Capitolo secondo – Genealogie

Gli studi sulla cultura visuale sono la riformulazione di problematiche già colte

dagli storici dell'arte.

Caratteristica è però l'esigenza di includere ogni tipologia di immagine, al di là dei

giudizi di valore o artistici, motivo per cui alcuni studiosi parlano di un

progressivo indebolimento delle competenze storico-artistiche.

La diffusione di tecniche di riproduzione fotografica hanno acceso dibattiti fra

copia e originale, e della distruzione di quest'ultimo per mano del tempo e

dell'uomo. La fotografia consente inoltre l'analisi di opere altrimenti inaccessibili,

ma necessita che un'adeguata capacità distintiva dell'osservatore.

Essa porta con sé un potere creativo che si esprime in inquadrature di dettagli,

trasformazioni di scala, giustapposizioni comparative e conseguenti inedite

produzioni di senso.

Cresce inoltre l'interesse per il linguaggio figurativo degli oggetti d'uso quotidiano

e rituale, come i manufatti tessili o i prodotti in ceramica.

Nel XIX secolo, inoltre, la storia dell'arte deve affrontare i numerosi materiali

extraeuropei resi accessibili dagli studi etnografi e antropologici, con i loro

numerosi stili. Da come la cultura ha configurato le proprie immagini (in modo da

invitare l'osservatore ad avvicinarsi o allontanarsi dall'opera) è possibile risalire

all'epoca corrispondente: dal XIX secolo, lo scenario percettivo della modernità

favorisce l'avvicinamento di sguardo e oggetti, grazie alla fotografia. Benjamin

concepisce infatti l'opera d'arte proiettile, scagliata contro l'osservatore per

produrre uno choc fisico.

Egli risponde alla necessità di elaborare nuovi strumenti interpretativi

considerando visione, percezione ed esperienza come sempre mediate da

apparecchi tecnico-materiali. Negli anni 20 si diffondono infatti il fotomontaggio

(che introduce nuove trasformazioni percettive), i cartelloni pubblicitari (nuove

forme di rappresentazione) e nuovi strumenti del cinema (come primo piano,

montaggio e ralenti).

Benjamin attribuisce ad esso una funzione esplosiva che ricompone il mondo

secondo logiche nuove: il passato diventa leggibile e confrontabile col presente

attraverso il montaggio, che accomuna artisti di versanti politici e ideologici

diversi.

Capitolo terzo – Occhi, sguardi, spettatori

La percezione è oggetto di una polarizzazione antitetica tra Panofsky, secondo cui

essa è universalmente umana e astorica (e a variare sono solo gli stili di

figurazione), e chi, come gli esponenti del pictorial turn, sottolinea la capacità

delle immagini di restituirci lo sguardo che rivolgiamo loro.

Sguardo e occhio vedono disaccoppiarsi il loro legame strutturale, poiché

l'osservatore che esercita la visione allo stesso tempo la subisce da parte delle

cose.

Mettendo in discussione la tradizionale opposizione binaria tra soggetto attivo

(spettatore guardante) e oggetto passivo (immagine guardata), l'opera d'arte

diventa un quasi soggetto, a cui vengono attribuite qualità degli esseri viventi, si

in termini di sentimenti trasmessi che di attività compiute. Si diffonde quindi

l'analogia tra struttura del corpo e degli edifici, ma anche volti ritratti e

autoritratti.

Fried analizza inoltre alcune dicotomie della spettatorialità, tra cui assorbimento e

teatralità, attribuite a immagini che, rispettivamente, ignorano lo spettatore e lo

coinvolgono esplicitamente.

Barthes contrappone invece studium e punctum delle fotografie, ossia la

dimensione informazionale, razionale pubblica e oggettiva contro la capacità di

colpire. L'attenzione si sposta dal potere al desiderio delle immagini di provocare

una reazione ir

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A.A. 2016-2017
8 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher GiovannaUrb di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teorie e pratiche dell'immaginario e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Gemini Laura.