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L NUOVO TEATRO ITALIANO LA QUESTIONE DELL ATTORE E L ANOMALIA ASOLINI MARCO
)
DE MARINIS
L’attore del nuovo teatro italiano: una presenza controversa
Frattura epistemologica che riguarda il nuovo teatro post-novecentesco dagli anni ’90 in poi,
accentuatasi nell’ultimo decennio. Frattura che ha a che fare con l’attore e con il suo
declino/degrado. Avvisaglie già negli anni ’60-’70.
A favore della continuità linea dell’attore-artista (controattore) che attraversa l’intero Novecento
italiano (Duse, De Berardinis, Bene, Cecchi; Pippo Delbono, MAnfredini, Moscato, Vetrano,
Bucci).
Più che di frattura epistemologica allora si dovrebbe parlare di una situazione critica già da tempo.
Le ragioni storiche di questa crisi endemica risultano legate alle conseguenze dell’avvento e della
diffusione della regia nel nostro Paese (anni ’30), dalla politica del regime fascista contro i dialetti e
dal suo avvio del sistema delle sovvenzioni, dalla nascita nel dopoguerra degli Stabili. Trascurato è
stato il fenomeno della sottovalutazione dell’attore e delle problematiche a esso connesse
(soprattutto pedagogiche), verificatosi tra gli stessi adepti del nuovo teatro, con la consistente ma
controversa eccezione del cosiddetto “terzo teatro” (Beck e Malina, Brook, Grotowski, Barba).
Lagnanze e sottovalutazioni: il peso di un equivoco
Gli stessi capiscuola del nuovo teatro additano quella attoriale come una questione grave della scena
italiana. Lo dice Bene, e Cecchi denuncia negli anni ’70 il problema irrisolto della scuola
(inesistente). Stesse lagnanze da parte di Leo de Berardinis negli anni ’90 in Teatro e
sperimentazione (1995).
Cosa fece il teatro italiano per risolvere, o affrontare, il problema? Ben poco. De Berardinis
sviluppa a Bologna una vocazione pedagogica, ma è l’unico.
NB: Il nuovo teatro italiano non è stato un teatro d’attore, tantomeno la rivolta dell’attore contro il
teatro di regia. Il nuovo teatro è stato il tentativo di opporre al teatro di regia ufficiale un altro teatro
di regia: non testo centrico ma autonomo e originale rispetto al testo (scenocentrico, vedi “scrittura
scenica”). Questo tentativo fu portato avanti da personalità molto diverse e isolate tra loro. 34
Il nuovo teatro italiano degli anni ’60 non fu un teatro d’attore o per l’attore, ma un teatro di regia
nuova, di scrittura scenica, portato avanti in molti casi da straordinarie personalità di attori, in grado
di ricollegarsi oggettivamente alla grande filiera novecentesca dell’attore-artista o del contro attore.
Continuità tra attore otto-novecentesco e il nuovo teatro anni ’60-’70 (Mirella Schino): La
Schino dice che la realtà controattorica esiste ancora nel ‘900 italiano, ma spostata, nella seconda
metà del secolo, dal piano recitativo a quello registico.
Un attore di meno: i materiali di Ivrea del ‘67
Nei testi di Ivrea l’attore è poco presente. In Elementi di discussione si parla solo di “interprete” o
“interpretazione”. Si dà priorità al taglio politico. Si dice solo che sono mancati il ricambio e
l’aggiornamento delle tecniche di recitazione, l’analisi e l’applicazione di rinnovati materiali di
linguaggio, gestici e plastici. Più avanti si auspica l’uso di attori fuori della linea accademica e
quotidiana. Anche la trattazione della recitazione e della performatività risultano condizionate dai
limiti costitutivi di questi materiali: un tono pesantemente dogmatico-normativo e un eclettismo
ecumenico e compromissorio. Si accenna alla necessità di scuole teatrali, ma dovranno essere centri
di ricerca di scrittura scenica e avranno valore solo in quanto esprimeranno una precisa linea
drammaturgica e non pretenderanno di insegnare moduli stereotipati. Mancava qualsiasi indicazione
pratica. L’attore trova più spazio nel contro-manifesto di Pasolini.
Conseguenze di medio e lungo periodo di una sottovalutazione
Sottovalutazione prosegue fino agli anni ’80. La linea teatro immagine-postavanguardia-nuova
spettacolarità-teatro multimediale continuerà a non fare leva sull’attore e la ricerca di un attore
nuovo metterà capo alla proposta di un non-attore (lo stesso accadrà con gli eredi: Raffaello Sanzio,
Valdoca, Motus). Negli anni ’70 c’è il Terzo teatro a farsi carico dell’attore, ma anche questo
versante evidenzierà presto grossi limiti (eccessiva enfasi posta sul training, la tecnica, la
pedagogia, il processo a scapito della creazione).
Oggi la crisi dell’attore appare in tutta la sua gravità (morti Bene, de Berardini, Peragallo)
nonostante gli sforzi delle Albe, Vacis, Morganti, Marcido, Dante, Vetrano, Randisi, Bucci e
Sgrosso. Il declino attuale dell’attore, manifestatosi negli anni ’90 e aggravatosi con la generazione
2000, affonda le sue radici in una sottovalutazione della questione attoriale di molto anteriore,
attuata nei decenni precedenti da ampi settori del nuovo teatro. Quella dell’attore italiano
contemporaneo costituisce una crisi endemica e di lunga durata, rimasta però coperta dalle
invenzioni della scrittura scenica, del teatro immagine ecc.
Pasolini e il nuovo teatro italiano
2 tempi nel rapporto Pasolini e il nuovo teatro italiano:
1) Fino al 1975, cioè fino alla sua morte, caratterizzato dall’estraneità e dall’isolamento totali di
Pasolini e della sua proposta teatrale (drammi e teoria). Egli li vive come un vero e proprio
fallimento, di cui addebita interamente la responsabilità alla scena italiana la quale non era in grado
di percepire il suo teatro. Le ragioni della mancata percezione nell’intro di Bestia da stile (p. 313).
Stefano Casi dice che il teatro è l’unico genere per il quale Pasolini pensi espressamente a una
nuova forma. È l’unico artista non organico al teatro che concepisca la fondazione di un nuovo
teatro invece di dare il proprio contenuto e basta. Il teatro è per Pasolini uno spazio speciale della
sua opera, lo spazio dell’utopia. Tuttavia ci sarà un continuo di delusioni e di indifferenza (vedi
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effetto della pubblicazione di Pilade e il fiasco della rappresentazione di Orgia). A tal proposito
Pasolini dice «Il teatro è morto perchè non ha alcun interesse alla cultura». Da queste delusioni
decide la exit strategy, e si autoaccusa di essersi occupato di teatro solo parzialmente e non come un
pioniere. D’ora in poi dalla categoria del progetto il teatro passa a quella dell’utopia; sarà attraverso
la poesia e il cinema che tenterà di realizzare le idee espresse nel proprio progetto teatrale.
2) Dal 1975 (morte di Pasolini) a oggi (soprattutto ultimi 10-15 anni). Nella seconda metà degli
anni ’70 il teatro italiano comincia a riservare alla drammaturgia di Pasolini un’attenzione crescente
e qualificata fino a farne (come dice Ronconi) l’autore più rappresentato in Italia tra quelli che sono
venuti dopo Pirandello. Mentre i pasolinologi continuano a sentenziare la non teatralità delle opere
di Pasolini, il mondo del teatro dialoga consapevolmente con queste smentendo con i fatti ogni
pregiudizio. Si potrebbe parlare di un terzo tempo di Pasolini e il teatro (post-mortem). Esso
consiste nel fatto che negli ultimi anni i registi e gli attori italiani hanno cominciato a rivolgersi con
sempre maggiore frequenza all’intera opera pasoliniana, mettendone in luce una teatralità-
teatrabilità non scontata (Le ceneri di Gramsci versione musicale di Giovanna Marini [2005] , e
quello invece ideato e interpretato da Lombardi e Sieni nel 2009; Teorema usato per L’ospite dei
Motus; Scritti corsari usati per il monologo di Gifuni con regia di BArtolucci nel 2004; Edipo re e
Vangelo secondo Matteo allestiti da Nanni Garella; 2004 ricco di proposte a cominciare da
Progetto “Petrolio” di Martone; Pier Paolo Pasolini ovvero Elogio del disimpegno della
Compagnia della Fortezza; L’estate. Fine del Teatro delle Ariette; I need more del coreografo
Cosimi).
- Danio Manfredini si ispira a Pasolini, oltre che a Genet, per lo spettacolo La vergogna già nel
1990 e lo ripropone rivisto e corretto nel 2000.
- Nel 1994 Billi e Marconcini propongono Paolo di Tarso dedicato a un film mai fatto di PP
Pasolini al cui drammaturgia si basava su alcuni testi poetico letterari.
- Nel 1995 debutto di La rabbia di Delbono e nel 1998 di Cicoria
- In fondo al mondo, Pasolini di e con Ventriglia e Celestini
- Laura Betti animatrice della memoria di Pasolini (recital poetico Una disperata vitalità, 1993).
Luca Ronconi ha colto le ragioni di questa predisposizione al teatro di tutta l’opera pasoliniana:
poetica, cinematografica, saggistica ecc, parlando di “un’alternanza di voci”.
Pasolini e l’attore-intellettuale
Pasolini prospetta un teatro di Parola in cui lo spettatore è chiamato ad ascoltare, ricreando tramite
l’oralità una circolarità rituale tra platea e pubblico. In Pasolini ritroviamo l’interesse per l’attore
che manca al Convegno di Ivrea. È vero, Pasolini dice di rifiutare l’attore come interprete che ha
una sua autonomia e pretende un attore come semplice porta parola dell’autore. In un’intervista ad
Arbasino nel novembre del 1966 auspica che i suoi drammi possano essere tradotti e rappresentati
all’estero «per evitare di sentirli straziati dalle voci piccolo-borghesi dei nostri pessimi attori.».
Ripensando il teatro ripensa dunque anche all’attore a partire da un azzeramento dell’esistente. Pur
nei limiti di un teatro del teatro quale vuole essere il suo teatro di Parola, Pasolini riesce a tracciare
un identikit attoriale tutt’altro che banalmente passatista. Sostiene la necessità che l’attore diventi
un uomo di cultura; si deve fare veicolo vivente del testo stesso fondando la propria abilità sulla sua
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capacità di comprendere veramente il testo. Propone una scuola di rieducazione linguistica che
ponga le basi per la recitazione del teatro di Parola.
Per Casi Pasolini insiste nell’individuare come vero motore del rinnovamento non il testo ma la
formazione dell’attore. Pasolini prefigura una delle soluzioni più innovative di quel periodo.
Pasolini destituisce di autorità proprio il ruolo della regia intesa come “istanza totalizzante”
individuando nell’attore il punto di forza e centralità del rinnovamento. Il concetto di ”attore-uomo
di cultura” cioè di attore-intellettuale, rende viva e attuale l’antica idea di teatro come arte
dell’attore. L’attore cessa di essere strumento e diventa artista-intellettuale, avendo come tale una
responsabi