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Carlo Petrini, esperto di gastronomia e fondatore dello slow food,
sottolinea come i suoni delle sostanze ingerite fanno parte
integrante della sensazione gustativa generale che viene percepita
dall’individuo. Quando il senso del gusto agisce è in stretta
dipendenza rispetto agli altri sensi affini, odorato e tatto in primis. Il
linguista Mioni sottolinea una difficoltà teorica importante che
riguarda la definizione dei confini del gusto rispetto agli altri sensi,
quando ad esempio parliamo dell’acqua usiamo aggettivi che ci
portano di fronte a numerose specificazioni sinestetiche, che
uniscono due o più sensi tradizionali. Oltre alla nozione di
interdipendenza anche la sinestesia può assumere accezioni diverse
a seconda del contesto. Nell'ambito delle Scienze Umane può
essere approcciata da due punti di vista: uno psicologico, che la
considera un fenomeno per cui la percezione di determinati stimoli
è accompagnata da particolari immagini proprie di un’altra modalità
sensoriale; l’altra accezione e di matrice linguistica, che vede la
sinestesia come figura retorica che consiste nell’associare parole
relative a sfere sensoriali diverse. In base alle etimologia greca
sinestesia significa infatti percezione simultanea, Marrone ritiene
che il gusto possa essere considerato come parte di un processo
sinestetico generale in grado di coinvolgere tutto il corpo.
La fisiologia, la scienza medica, la psicofisica e la semiotica si sono
interessati al problema del riconoscimento di un gusto. Savarin
riteneva che l’appetito è simile al sonno, perché al tempo stesso
memoria e allucinazione. Barthes attraverso l'analogia tra appetito
e sonno, sottolinea l’importanza dell’immaginazione e della
memoria nella sensazione gustativa. Spostandoci in ambito
letterario anche le pagine di Proust, quando il protagonista rievoca
l’infanzia a partire dal gusto di una madeleine, mostrano come odori
e sapori riescono a provocare delle risposte emotive e siano molto
efficaci nell’evocare ricordi. Altre espressioni linguistiche del
linguaggio quotidiano svelano poi l’intervento della memoria e delle
componenti affettive emozionali nel riconoscimento del gusto.
Quando si dice l’acquolina in bocca non ci si vuol certo riferire
all’acqua in sé, ma piuttosto alla pregustazione mentale di un altra
bevanda o vivanda. Infatti l'espressione deja goute indica il
concetto del già gustato, evidenzia come il riconoscimento
gustativo si basi sul confronto con esperienze passate. Alcuni
semiologi hanno introdotto il termine sanzione, intesa come fase
della trama narrativa in cui si dichiara realizzato il volere iniziare.
Come suggerisce Piero Ricci, se si può cogliere una sorta di analogia
tra l’arte culinaria e la struttura canonica del racconto, è perché il
pasto stesso può essere interpretato come un testo vero e proprio. Il
giudizio di gusto per Marsciani si definisce come un atto conclusivo
che sembra corrispondere a una sanzione. Vi sono due diversi tipi di
giudizio: un giudizio di gusto e un giudizio cognitivo con due tipi di
sanzioni corrispondenti.
Cap. II Cinema e tracce di sensorialità
Il cinema sembra servirsi di strumenti specifici del proprio
linguaggio per rappresentare i sensi che non gli appartengono,
sfruttando il movimento. Il pubblico di un film ha a che fare con uno
spettacolo che si svolge in una sala buia, con un immagine
proiettata su uno schermo e delle casse che emettono suoni. Ilaria
Congiù si è interessata a cogliere le varie tappe tecnologiche che
starebbero portando il cinema verso la cosiddetta immersività
sensoriale, fino ad arrivare al Dolby surround, effetto bagno, che
troviamo in Guerre Stellari. Nell'idea di Morin Si può cogliere una
dialettica interna al dispositivo cinematografico che vede opporsi
verità oggettiva dell’immagine da una parte e partecipazione
soggettiva dello spettatore dall’altra. In questo senso il cinema
sembra diventare continuamente un po’ più comodo per i sensi.
Casetti preferisce invece parlare di sensazioni forti per riferirsi agli
effetti del cinema contemporaneo, queste sensazioni sarebbero
rese possibili dalle odierne installazioni multimediali. Da una parte
film eccitano, tanto da far parlare di fatica dello spettatore,
dall’altra però non possono destabilizzare completamente lo
spettatore e cercano un riparo dalle sollecitazioni troppo violente.
All’interno di questa dialettica si inserisce la componente del
sensoriale del cinema, studiata soprattutto in ambito psicologico e
cognitivo. Jullie sottolinea come il cinema non produca senso ma
sensazioni, non domandi di essere compreso ma sentito. Star Wars
di George Lucas il primo film distribuito nel sistema sonoro Dolby
stereo che inaugura la tendenza al cosiddetto film concerto. Si
tratta di una nuova tipologia di fruizione cinematografica che
rovescia la tradizionale gerarchia tra suono e immagine e riproduce
un vero effetto bagno: dà allo spettatore la sensazione di essere
immerso in un magma in cui suoni toccano direttamente il suo
intero corpo. Non c’è più distanza tra il film e lo spettatore, dalla
comunicazione si passa alla fusione ovvero al bagno di sensazioni. Il
modello di riferimento è quello di uno spettatore attivo che
partecipa alla produzione dell’ esperienza cinematografica
attraverso la propria corporeità. Gran parte della tradizione
cinematografica occidentale, invece, si è delineata a partire dal
pensiero di Metz, che considera il cinema come mezzo che
riproduce la gerarchia estetica tra i sensi a distanza della vista e
dell’udito e quelli di prossimità come tatto, gusto e odorato. Se gli
studi cinematografici hanno per gran parte ignorato la possibilità
che odore, sapore ed esperienza tattile possono entrare a far parte
dell’immagine audiovisiva e perché in primis, non esistono degli
apparati che riproducono l’esperienza del tatto, dell’olfatto e del
Gusto all’interno del dispositivo cinematografico. Invece, come
suggerisce Marks, è proprio alle informazioni sensoriali che occorre
guardare per cogliere la sensorialità del cinema.
Qualche anno fa anche L’undicesimo convegno internazionale di
studi sul cinema di Udine si è avvicinato alla tematica sensoriale.
Sainati propone una distinzione dalle cosiddette tecnologie di
integrazione e quelle di esibizione. Le prime tendono ad un
arricchimento dell’esperienza sensoriale, come ad esempio il
cinerama, cinema 180° diffuso da tre proiettori che circondano lo
spettatore e tentano di farlo vivere direttamente nel film, o il 3D.
Cinerama e 3D possono essere considerati entrambi tecnologie di
integrazione, dal momento che tentano di valorizzare l’esperienza
sensoriale, dall’altra parte le tecnologie di esibizione magnificano la
possibilità di superamento dei limiti dello schermo, alla ricerca di un
allargamento della visione. Esperienza pilota è stata senza dubbio
quella del cinemascope, sperimentato per la prima volta nel film
The robe di Koster. È un sistema che gioca sulla deformazione delle
immagini al momento della ripresa: delle lenti anamorfiche
schiacciano l’immagine sul negativo comprimendola, al momento
della proiezione, poi, un altro sistema di lenti provvede a riportare
l'immagine nella proporzione desiderata. Da queste innovazioni il
regista Heilig ideò il Sensorama, una macchina concepita per
ospitare un singolo spettatore e offrirgli un tour virtuale.
L’immagine si fa dunque tridimensionale, gli schermi diventano
sempre più dettagliati e la proiezione muove verso l’ alta
definizione Grazie all’uso del digitale. L’introduzione del suono,
inoltre, modifica completamente l’esperienza cinematografica,
perfezionandosi ulteriormente grazie alla tecnologia del Dolby
stereo. Guardando invece ai cosiddetti sensi minori, la moderna
tecnologia o se ormai la possibilità di disporre di cuffie oculari,
guanti intelligenti e tute sensibili, che ritroviamo nel prodotto
artistico Osmose realizzato nel 1995 da Davies. Osmose è un
ambiente virtuale avvolgente in cui l’utente si muove interagendo
con lo spazio che lo circonda grazie agli strumenti appena descritti.
Passando all’olfatto, l’idea di introdurre gli odori al cinema ha subito
incuriosito diversi cineasti e produttori. Hediger e Schneider
raccontano ad esempio l’apertura di un teatro a New York con la
passerella di fiori profumati che adornavano la scala, si trattava in
quel caso di un semplice decoro che rendeva l'aria a teatro più
piacevole e accogliente. Diverso il caso della proiezione del film
western Fame and fortune di Reynolds, durante la quale si decise di
applicare un fuoco in scena durante il prologo del film, perché
l’odore del legno bruciato impregnasse l’atmosfera e facesse
entrare gli spettatori nel clima del racconto. Negli anni 70 Gianikian
e Ricci Lucchi, due registi italiani, idearono un organo che
produceva odori per accompagnare la visione dei loro film
sperimentali. Un’altra tappa importante è rappresentata dallo
sfortunato Smell-o-vision, una tecnologia creata negli anni 50,
attraverso la quale si diffondevano odori nei teatri partendo da
piccoli tubi posti sotto ogni sedile. Il film di odori più celebre resta
però Polyester di Waters del 1981, un’esperienza cinematografica
originale in cui all’apparire di un numero sullo schermo sì proponeva
allo spettatore di strofinare con le dita la toppa di un cartoncino
gratta e annusa in modo da far annusare un profumo fortemente
legato alla scena del film. Ancora più difficile è stato introdurre nel
cinema il senso del gusto, una delle ultime tecnologie interattive
che interessano il gusto, il Food Simulator, dovrà attendere ancora a
lungo prima di essere introdotto nelle sale. Presentato nel 2003 al
Siggraph, la più importante conferenza mondiale che riguarda la
grafica computer e le tecnologie interattive, questo dispositivo
riesce a trasmettere la sensazione di un morso. L’utente è costretto
però a calzare una specie di pinza nella bocca alla quale si deve
imprimere una certa forza come se si mordesse qualcosa, in cambio
si sentirà Il rumore del morso e si otterrà un sapore.
A partire dalle teorie di Metz e Mirty si afferma l’idea del cinema
come linguaggio e non come lingua. Il cinema assomiglia ad un
laboratorio sempre aperto, è infatti capace di offrire una
sistematicità che contenga regole condivise, rimanda a
grammaticalizzazioni mutevoli che muovono ogni singolo regista a