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LE ALTRE VIRTU’
1. L’ospitalità e l’accoglienza. Elia e la vedova povera. Il profeta Elia si alzò e andò a Zarepta, incontrò una
vedova e le chiese dell'acqua e del pane ma la vedova le disse che aveva poca farina e olio sufficiente per un pasto
per lei e suo figlio e poi moriranno. Ma Elia le disse comunque di preparare una focaccia per lui e di prepararne
anche per lei e per il figlio perché il Signore dice che la farina e l'olio non si esauriranno fino a quando il Signore non
farà piovere sulla terra. La vedova fece come aveva detto Elia e mangiarono tutti per diversi giorni. Elia si è alzato
ed è andato in questo luogo perché glielo ha detto il Signore e quindi l'annotazione che conclude il racconto sta nel
fatto che tutto è accaduto secondo la parola che il Signore aveva pronunciato. Il protagonista dell'episodio è la
parola del Signore, perché tutto avviene in obbedienza a questa parola, una parola che realizza ciò che promette,
che salva. Elia è obbediente per primo e quindi diventa portatore di questa parola.
Elia si reca a Zarepta, una città straniera, perché è in fuga, in quanto è un profeta che ha cercato di opporsi alle
menzogne dei potenti. Però è protetto dal signore, è aiutato da Dio e questo aiuto passa attraverso gli uomini:
l'ospitalità di Dio si serve della generosa ospitalità di una vedova mentre l'accoglienza del fratello è la trasparenza
visibile dell'accoglienza di Dio che ne detta la qualità, la misura e l'universalità. La vedova aiuta il profeta e questi
aiuta la vedova quindi chi dona al signore, poi riceve. Elia è stato mandato da una vedova in Zarepta, anche se
c'erano molte vedove in Israele, e ciò significa che Dio non aiuta soltanto il suo popolo, ma anche gli stranieri,
perché il suo amore è universale e non fa differenze.
Marta e Maria. Mentre era in viaggio verso Gerusalemme, Gesù entrò in un villaggio e una donna di nome Marta lo
ospitò nella sua casa, anche se prima era stato respinto dai samaritani e successivamente lo ospiterà anche il
repubblicano Zaccheo. L'ospitalità è uno dei doveri più espressivi della fraternità cristiana. Marta non è la figura
dell'amore per il prossimo, e Maria non è la figura dell'amore per il signore; ma entrambe le sorelle sono di fronte al
medesimo ospite, che è al tempo stesso il Signore e il prossimo. Non ci sono quindi due modi di ospitare e amare,
ma come accogliere servire il Signore e come accogliere servire il prossimo devono essere uguali. La tensione è tra
l'ascolto e il servizio che distrae, lo stare con l'ospite e il troppo affaccendarsi che impedisce di fargli compagnia ed è
per questo che Gesù rimprovera Marta. Marta è affannata e agitata, ma entrambi sono atteggiamenti dei pagani. La
ragione di tanta agitazione sono le troppe cose, quando in realtà bisogna prediligere l'essenziale.
Un po' di vocabolario e qualche conclusione. Il Vangelo presenta Gesù come predicatore itinerante e più volte si
parla di lui come ospite: non solo nella casa di Marta e Maria, ma anche di Zaccheo e di Levi. Il verbo privilegiato
per esprimere l'accoglienza indica non solo accogliere, ma anche sentire e capire le parole dell'ospite, i suoi desideri
e i suoi bisogni. Bisogna maturare l'amicizia, la stima verso l'ospite, anche se sconosciuto, farlo entrare nella
comunità e nel proprio paese. Il dovere di essere ospitali rientra nei doveri cristiani comuni, dal vescovo alla vedova.
Un passo importante è quello “ ero forestiero e mi avete accolto”. Il Gesù forestiero poteva essere lo sconosciuto di
passaggio, che chiedeva ospitalità ed era spontaneo giudicarlo con diffidenza perché non lo si conosceva. Per
indicare l'ospitalità Gesù ricorre ad un verbo (sùnago) che significa raccogliere, quindi indica il senso di raccogliere
chi è sperduto, ospitarlo nella stessa casa, unirlo ai gruppi dei fratelli. Questo verbo non dice solo l'aiuto, ma proprio
l'accoglienza e l'ospitalità che è più ampia del semplice aiuto, perché significa aprirsi alla persona e non soltanto ai
suoi bisogni. Il forestiero da ospitare e nel contempo il prossimo da trattare come te stesso e il Signore da servire
con tutto il cuore.
2. La giustizia. Come Dio guarda l’uomo. Nella Bibbia la nozione di giustizia è vasta e complessa. Costituisce
una vera visione del mondo ed è da intendersi come giusta relazione tra Dio e l'uomo e come giusta relazione tra il
singolo e la comunità, è sempre un concetto concreto e relazionale. Giusto è colui che rispetta i diritti che altri hanno
nei suoi confronti in forza di un rapporto. La determinazione delle forme della giustizia dipende dalla natura di questo
rapporto: la giustizia di Dio è la sua fedeltà al patto stabilito con il suo popolo e con l'umanità. Dio adotta un
comportamento giusto nei confronti del popolo e si aspetta una risposta giusta del popolo. Dio è fedele a se stesso
perché la norma è lui stesso. La giustizia dell'uomo, invece, sta nella sua conformità al comportamento di Dio; giusto
è l'uomo che guarda al mondo, il popolo e se stesso con lo stesso sguardo di Dio. La giustizia di Dio è eccedente,
oltre la parità tra il dare e l'avere e così anche la giustizia dell'uomo va oltre quanto richiesto per puro dovere.
Questo vale non solo per quanto riguarda il dovere verso Dio, ma anche per quanto riguarda il rapporto verso
l'uomo. Quindi la giustizia biblica non si identifica mai del tutto con il nudo concetto di giustizia distributiva, è più
complessa non solo per i molti significati che può assumere, ma anche per la profondità e l'ampiezza del suo
significato base. Anche quando la giustizia si declini rapporti più corti (es. uomo e uomo), il modello è sempre come
Dio guarda l'uomo.
Due esemplificazioni. La prima quasi confonde la giustizia nei rapporti sociali con la solidarietà e la ragione è che il
modello di ogni giustizia è sempre il modo di comportarsi di Dio. Nel libro dei proverbi, viene condannata ogni forma
di ingiustizia: la frode, l'usura e il sopruso nei confronti dei piccoli e dei deboli; inoltre viene smascherata l'ingiustizia
nei processi come è il caso della falsa testimonianza dei giudici corrotti che accettano regali. Una seconda
esemplificazione vuole mostrare che la giustizia va oltre il nostro concetto di giustizia: non è senza solidarietà, non è
un'attitudine passiva di imparzialità, quanto piuttosto un appassionato impegno per l'uomo.
Amos, il profeta della giustizia. Tutti i profeti hanno trattato il tema della giustizia e dell'ingiustizia, mostrando che
la scelta dell'una o dell'altra coinvolge due modi opposti di vedere Dio, l'uomo e la vita. Il profeta Amos, denuncia
l'ingiustizia in tutte le sue forme, utilizzando uno sguardo che segue due direzioni: Israele e le nazioni. È significativo
che lo sguardo del profeta non si chiuda su Israele: Dio si interessa anche agli altri popoli. Il profeta condanna le
nazioni perché commettono delitti contro l'uomo, non mira a convertire i popoli alla religione di Israele, ma all'uomo.
La prima giustizia è verso Dio e poi viene quella verso gli uomini: se si turba il primo rapporto, se turba anche il
secondo. A una falsa concezione di Dio corrisponde un falso rapporto con gli uomini. Le varie forme di ingiustizia
vengono riassunte per Amos in una parola: violenza; infatti parla di regno di violenza. Nel suo testo, l'oracolo contro
Israele, vengono trattate una serie di denunce descrivendo l'ingiustizia e l'avidità nei rapporti economico-sociali e
nell'amministrazione della giustizia, utilizzando una traiettoria che va dall'ingiustizia all'idolatria, dall'oppressione
dell'uomo al disonore di Dio. La situazione sociale che il profeta vuole descrivere presenta un primo urto che è
contro un benessere sfacciato e mal distribuito, che porta ad una vita lussuosa, incurante della miseria che sta
accanto. Questo benessere è frutto di ingiustizia e genera ingiustizia, e rende ciechi. Il tutto è poi accompagnato da
un culto falso: parole e sacrifici, riti ma non vita e giustizia. Il compito del profeta è quello di smascherare l'ingiustizia
dietro il benessere, la falsità dietro il culto e gettare un grido d'allarme per la rovina imminente.
Il fondamento dei diritti dell'uomo. Ci sono altri testi in cui si tratta la giustizia come ad es. quello in cui si
proclamano le modalità del giubileo. L'istituto del giubileo esprime il desiderio di creare le condizioni per una giusta
convivenza. A questo scopo vengono proclamate tre libertà: la libertà delle persone oppresse, a cui vengono
condonati i debiti; la libertà delle proprietà, che tornano agli antichi proprietari; la libertà della terra, che è lasciata
riposare. La Bibbia va subito alla radice: tutto questo va fatto “perché la terra è mia”. Proprio perché la terra è di Dio,
nessuno può vantarne la proprietà a suo esclusivo vantaggio, nessuno può cumulare rubando spazio agli altri,
nessuno può mancare di rispetto alla terra. La Bibbia è in grado di offrirci anche altri fondamenti per riconoscere e
difendere i diritti dell'uomo. Israele non deduce i diritti dell'uomo riflettendo sull'uomo, ma riflettendo su Dio e la sua
azione salvifica. Ma ciò che è tipicamente biblico è diverso: la dignità dell'uomo è colta nell'atteggiamento di Dio
verso l'uomo, un atteggiamento che interviene attivamente per difenderla. Di qui scaturisce non solo il
riconoscimento del valore dell'uomo, ma l'esigenza di un movimento di solidarietà verso l'uomo. L'uomo biblico ha
quindi scoperto la propria dignità sperimentando la vicinanza di Dio. Soggetto di dignità e diritti è l'uomo in quanto
voluto, creato, amato e difeso da Dio e nel produrre questa dignità sono in azione sia il Dio creatore sia il Dio
Salvatore. Dall'esperienza del Dio Salvatore discende un movimento di solidarietà attiva, l'esigenza di prendersi a
carico i diritti di ogni uomo, del debole, dell'indifeso mentre dal Dio creatore discende l'universalità di questi diritti e
del movimento di solidarietà di cui necessitano. Affinché questa universalità sia davvero tale occorre
l'approfondimento del Dio misericordioso.
La verità imprigionata nell’ingiustizia. Paolo riprende una profonda convinzione biblica rivolgendosi