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UN TESORO IN VASI DI COCCIO
Introduzione
Paolo scrive: "Portiamo questo <<tesoro in vasi di coccio>>, affinché appaia che la straordinaria sua forza proviene da Dio e non da noi". Vaso di coccio è ogni cristiano e l'intera comunità.
Il vaso di terracotta è un vaso casalingo, umile, anche fragile, che si utilizza ogni giorno. Se Dio si servisse soltanto di sati, sarebbe un'ovvietà. Invece si serve anche (e soprattutto) di uomini comuni, fragili, persino di poca fede come i discepoli che si è scelto e come noi. Se il vaso fosse prezioso, attirerebbe l'attenzione su di sé. Nella sua umiltà, invece, rinvia. La sua debolezza è la sua trasparenza. La potenza del vangelo si fa presente nell'inadeguatezza per rendere trasparente, chiaro a tutti, che la sua efficacia viene da Dio, non dagli uomini e dai loro strumenti.
Gesù e la sua Chiesa
Gesù all'origine della Chiesa
quanto riguarda i problemi che riguardano l'origine della Chiesa e il suo legame con Gesù di Nazareth, possiamo iniziare con 2 constatazioni ugualmente sicure, che sembrano contraddirsi. La prima: quasi ogni pagina del Nuovo Testamento rinvia a Gesù. Tutte le comunità primitive sono convinte che all'origine della Chiesa ci sia Gesù di Nazareth. Nelle piccole comunità differenze e discussioni c'erano, ma sempre all'interno di una duplice coscienza comune: di appartenere tutte, anche se diverse, all'unica Chiesa di Dio, e che quest'unica Chiesa di Dio trova la sua origine in Gesù Cristo. La seconda constatazione sembra andare in senso nettamente contrario: la Chiesa ha preso coscienza di sé e si è progressivamente configurata e strutturata nel concreto della propria storia, sollecitata da avvenimenti e circostanze di cui il Nuovo Testamento ha conservato ampie tracce. Le due constatazioni costituiscono unatensione che deve essere risolta, non però negando l'una o l'altra delle due evidenze, ma comprendendole. Se la prima impedisce di pensare alla Chiesa come un puro prodotto delle circostanze storiche, la seconda impedisce di pensare alla Chiesa come uscita da un progetto preciso e dettagliato di Gesù. È opportuno anzitutto chiarire la prima delle due constatazioni. La categoria del fondatore non corrisponde bene alle nostre attuali conoscenze e neppure alla conoscenza della Chiesa primitiva. Meglio quindi l'espressione più generale: "Gesù è l'origine della Chiesa". È una formula nella quale possono contemporaneamente coesistere tre convinzioni. La prima è che Gesù è il "punto di partenza" della Chiesa: non semplice punto di partenza cronologico, ma teologico. L'origine della Chiesa va cercata nell'interezza della vita di Gesù. È nella globalità.di questo evento che si colgono l’“esigenza” e il “germe” della Chiesa. Siccome poi – ed è la seconda convinzione – l’evento di Cristo non è informe e senza direzione, ma configurato secondo precise modalità, la Chiesa nel suo cammino storico e nelle situazioni concrete nelle quali via via si è imbattuta, ha sempre guardato a Gesù come al suo “modello”, cercando nella sua memoria i criteri per le scelte da operare, i comportamenti da assumere e le strutture da darsi. Tutto questo all’interno di una terza convinzione: che, cioè, il Risorto - mediante il suo Spirito – è “ora” presente nella sua Chiesa come Signore vivificante che la costituisce; non solo la guida, ma la “genera”. Il sorgere della Chiesa è pertanto simultaneamente “fatto storico” ed “evento oggi”, evento sempre contemporaneo, il cui protagonista è loSpirito che vivifica. Non è senza importanza che gli stessi testi neotestamentari mostrino la convinzione che all'origine della Chiesa ci sia soprattutto il "Cristo risorto". Naturalmente fra il Gesù prepasquale e il Cristo risorto c'è una profonda continuità. Tuttavia si tratta pur sempre di una "continuità nella discontinuità". La Chiesa - e precisamente la sua origine - non è "tutta" nelle parole del Gesù terreno e nei gesti da lui compiuti. La "chiarezza" viene dal Cristo risorto e dalla presenza dello Spirito Santo. Dopo la Pasqua la comunità assume il ruolo di mediazione "visibile" della presenza del Signore, delle sue parole e dei suoi gesti di salvezza, un ruolo che, ovviamente, non poteva avere prima dell'ascensione. Tutto questo non esclude un'"intenzionalità" da parte di Gesù di Nazareth. Ma si tratta di
Anzitutto l’”annuncio del regno” non solo lascia spazioall’intenzione di una comunità, ma in un certo senso la include.
Poi la “scelta dei dodici”: oltre il numero 12 che probabilmentegià allude a un nuovo popolo di Dio, è importante sottolineare lemodalità e l’intensità della formazione che Gesù imparte loro.
Sembra innegabile che questo gruppo sia costituito (ed educato)per una missione.
Infine l’”istituzione dell’eucaristia”: Gesù raccoglie la sua vitain due segni rituali (il pane e il vino). Raccogliendo la suaesistenza nei gesti rituali del pane e del vino, Gesù mostra diconsiderare la sua vita aperta (e disponibile) a una comunità didiscepoli che lo ricorderà.
ripercorrerà la sua strada. Dicendo che la Chiesa ha preso coscienza di sé e si è progressivamente configurata nel concreto del suo cammino storico, non si vuole dire che le prime comunità cristiane fossero in balia delle circostanze storiche. Le comunità cristiane leggevano e interpretavano le situazioni a partire dall'evento di Gesù Cristo, al quale volevano restare fedeli e continuamente rinviavano. Le comunità primitive leggono la storia e fanno le loro scelte confrontandosi con le origini ("principio di tradizione") e fra di loro ("principio di comunione"). In base ai due criteri indicati la comunità opera un continuo discernimento tra verità ed errore, fedeltà e novità. Che la Chiesa abbia preso coscienza di sé e si sia configurata progressivamente, dentro le vicende della propria storia è anche una necessità teologica. È infatti coerente con tuttal'economia della rivelazione che è, appunto, profondamente storica. In quest'ordine di idee va anche ricordato che la Chiesa – proprio perché "inclusa" nell'evento di Gesù Cristo – è inevitabilmente esposta a una lettura storica "inadeguata": una lettura, cioè, che non riesce mai ad afferrarla e spiegarla nella sua totalità. Questo vale, ovviamente, anche per le origini della Chiesa. Non vogliamo con questo negare l'importanza e la "necessità" di una ricerca storica. Vogliamo però ricordare che non è giusto pretendere da questa ricerca più di quanto possa dare. Il Regno di Dio e la Chiesa Non c'è dubbio che Gesù abbia annunciato il Regno di Dio, facendone lo scopo centrale della sua missione, del suo insegnamento e dei gesti. Il Regno annunciato da Gesù ha tratti di novità rispetto alla concezione giudaica del suo tempo. Il giudaismo,infatti, vedeva il regno nel passato (Esodo) o alla fine (profeti e apocalittici). Per Gesù, invece, il regno è "qui" e "ora". Originale è la tensione - interna al regno annunciato da Gesù - fra "presente" e "futuro". Per capire il modo con cui Gesù parla del regno, occorre rinnovare completamente la categoria del "tempo". Per indicare la posizione dell'uomo di fronte all'azione di Dio - o meglio, l'azione di Dio nei confronti dell'uomo - la categoria spazio-temporale, che serve a indicare i rapporti mondani, non è adatta. Non mancano autori che ritengono che Gesù sia stato sostanzialmente un apocalittico. Per Gesù non era predominante la rappresentazione apocalittica di ciò che deve venire, ma l'atteggiamento esistentivo verso il regno di Dio che viene. Va poi anche sottolineato che per Gesù il regno viene sì all'improvviso.ma non come una grandezza totale, compiuta, bensì come un "seme". Tutti questi tratti non sono abituali all'apocalittica che conosciamo. L'annuncio del regno, fatto da Gesù, non dice soltanto che Dio è qui e agisce, ma che anche manifesta un volto "nuovo" di Dio: così, per esempio, i tratti della "misericordia" e dell'"universalità". La sua prassi messianica - che Gesù stesso indica come espressione, o specchio, dell'azione di Dio - è caratterizzata dalla ricerca degli esclusi, soprattutto dei peccatori. Tutto questo ha suscitato conflitti e non ha mancato di creare difficoltà anche alla Chiesa successiva. Nella misericordia di Gesù è racchiuso anche il tratto dell'universalità. La prassi di Gesù ha travolto lo schema del puro e dell'impuro, rompendo ogni barriera emarginante. Gesù coglie l'uomo semplicemente.nel suo rapporto con Dio o, meglio, nel rapporto che Dio ha con lui. L'universalità di Gesù è qualitativa. Si aggiunga il fatto che Gesù non chiude - anche di fronte all'opposizione - la sua missione dentro un recinto, convinto che si affretti la venuta del regno abbondando il mondo e isolandosi nella purezza. Rifiutato, Gesù non si ritira dal suo popolo e non invita i suoi discepoli a farlo. Risulta chiaramente che regno e Chiesa non si identificano. La Chiesa non è un'istituzione che deve soltanto conservare se stessa, o mostrarsi, ma deve tendere a qualcosa che la supera. La Chiesa è per natura un "rinvio". La Chiesa in tutte le sue dimensioni, è posta di fronte al compimento di rendersi comprensibile come segno che rimanda al di là di se stessa. Nelf