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Mejerchol'd messo in scena in uno dei teatri Imperiali di Pietroburgo, il teatro

Aleksandrinskij. Ritmo, musica, danza, furono i capisaldi di Fuchs come di Appia,

furono anche però i punti d'appoggio per le sue sperimentazioni. Il suo Don Juan del

1922, seppur molto amato dal pubblico, subì attacchi ed ebbe recensioni negative. Si

trattava del rapporto tra spettacolo e opera letteraria che sconcertava. Il testo non era

il perno dello spettacolo, ma neppure un semplice pretesto. Era un catalizzatore per

radunare attori e spettatori; un catalizzatore per nodi di energia e uno dei tanti strati

che compongono alla realtà dello spettacolo, l'incontro. Veniva messo al centro dello

spettacolo proprio quel che aveva sempre suscitato la maggiore diffidenza, nel teatro,

il corpo degli attori, plasmato dal direttore con infinita cura, ma di per sé organico e

quindi inevitabilmente impreciso, incapace di una ripetizione sempre identica. La

capacità del movimento di far vedere anche quello che non c'è, la materializzazione di

pensieri e fantasmi, l'apporto dello spettatore, la vita dell'attore. Quindi i punti più

difficili di accettare dello spettacolo furono, in primo luogo, i modi in cui venivano

mescolati i piani tra teatro e danza, accoppiati in modo spregiudicato, riverente non

ortodosso. Un altro punto fondamentale era l’arte del mistero, il cui valore è

nell'incontro, quel che era sembrato finora poco più che decorazione diventava la

sostanza.

Il Dom Juan di Mejerchol'd si presenta dunque al pubblico il 9 novembre del 1910. Alla

perplessità dei critici, il pubblico rispose con entusiasmo. Uno spettacolo fastoso,

eccentrico. Dato che il direttore russo tendeva a tradurre i problemi astratti in termini

materiali, il problema della comunione spirituale lo portò a riflettere sul proscenio, il

punto fisico dell'incontro tra attori e spettatori. Il proscenio gli sembrava una

piattaforma meravigliosa, il luogo ideale per il lavoro degli attori e decise che fosse il

luogo topico della comunicazione diretta, il fulcro del nuovo spettacolo. In questo

modo per il suo spettacolo fece allargare il proscenio, coprendo la buca dell'orchestra

e avvicinandola ancora di più al pubblico. Sarebbe stato il luogo privilegiato delle

azioni degli attori. Invece le scenografie dovevano essere spostate il più possibile in

fondo al palcoscenico. Lo spettatore entrando tendono a vedere immediatamente

queste non scenografie in fondo al palco, perché il sipario era stato eliminato; questo

ovviamente doveva avere della luce, in sala come scena, però non sottovalutare

l'importanza delle ombre, quindi usa le candele. Egli amava il ‘600, un'epoca

meravigliosa che risuonava della teatralità allo stato puro. Quindi egli voleva ricreare il

sapore di un'epoca e al tempo stesso non voleva una ricostruzione storica, aggiunse

l'elettricità alle candele. Profumi, luci e ombre, il campo lungo dei quadri scenografie

sul fondo, coniugato al campo ravvicinato del proscenio, su cui stavano gli attori,

creava profondità e mistero. Mostrava il teatro come un ambiente impossibile da

padroneggiare con un solo sguardo. In più, c'era il movimento: egli riempie la scena di

movimento, quello quasi danzante di Dom Juan e quello delle corse continue dei servi

muti, vestiti di rosso. Lo spazio si riempiva di micro-relazioni continue, di microstorie,

micro-eventi, incontri e scontri, c'erano confluenze, nodi di energia diverse, risate e

aspettative. Sulla carta quasi tutti gli spettacoli si spengono, le loro descrizioni

annoiano come racconti di sogni. Invece quelli di Mejerchol’d no: fanno venire le

lacrime agli occhi di pure ammirazione. Forse sono le sue idee a renderli vivi anche a

posteriori, forse il modo in cui si spiega, con quella cattiveria, con quella intelligenza

aggressiva e scintillante, con quella civetteria sfoggio di sapere che sono tutta l'azione

del Dom Juan era stata costruita secondo ritmo leggero, preciso, aveva un sapore di

danza. Il pubblico era parte integrante dello spettacolo, non come pezzi di scenografia

vivente, ma parte attiva.

Mejerchol’d

Nel 1913, nella premessa al suo unico vero libro di teatro, egli parla dei suoi spettacoli

recenti, ma parlo anche dello spettatore, quarto creatore, insieme a colui che mette in

scena, all'attore e all'autore. Anche l'immaginazione dello spettatore doveva avere

una funzione attiva, parla di grottesco che aveva sperimentato in questi spettacoli,

l'arte di passare velocemente da un tono, un genere, un sapore a un altro, facendo

perdere per un attimo l'equilibrio e le convinzioni degli spettatori. Parla di come ci

sono voluti molti anni per arrivare alle segrete porte del paese delle meraviglie, ovvero

il teatro. Il teatro era diventato l'isola del tesoro, un luogo di avventure estreme,

riferendosi alla scoperta delle potenzialità tecniche del teatro, ma anche alla scoperta

della potenza del teatro. Proprio questo si va rivelando in questi anni la più misteriosa,

la più segreta e forte arte. Nacque nel 1874 e studia per diventare attore nella scuola

di Nemirovic-Dancenko. Sin da subito egli confermò nel dichiarare che il suo teatro

avrebbe dovuto essere considerato un ennesimo studio, per quanto anomalo e ribelle

del teatro d'arte. Comunque, subito dopo il tentativo del Teatro Studio del 1905, entra

in collaborazione con un attore grande e moderna, ammirata da tutti, ma che anche

con questa finì in maniera disastrosa. Può proprio dopo questo secondo fallimento, che

gli aveva ricevuto la proposta del 1908 di entrare a far parte, come pure drammatico e

come direttore, sia per la prosa sia per l'opera, del complesso dei teatri imperiali. Fu

così che inizio l'era di Mejerchol'd. Iniziò quello che da lui fu chiamato il suo periodo

doppio, direttore di spettacoli e teatri Imperiali da una parte e contemporaneamente

di spazi alternativi.

4. Il problema dello spettatore

Il nuovo statuto di opera d'arte stava profondamente cambiando il rapporto con lo

spettatore, furono i maestri a trasformarlo in una relazione paritaria, e responsabilità

condivisa, senza perdere niente della disparità che mette attori e pubblico su due

sponde opposte del mare. Gli attori di prima si riferivano al pubblico con nomi di

animali lenti e ciechi, poiché il pubblico era considerato come un essere cieco, da

soggiogare, da infilzare e da sedurre. Gli spettatori a loro volta parlavano degli attori

come di belve, tigri e pantere per sottolineare l'istinto, la diversità e la violenza. Il

rapporto tra artista e utente prendeva la forma di una guerra, uno scontro in cui si

fronteggiavano fazioni opposte. Adesso, con il novecento, lo spettatore è un ruolo

diverso: è il partner di un gioco complicato, di un'arte seria, di cui non è più padrone

che forse fa perfino un po' paura. È più appassionante, ma più impegnativo, chiede

molto di più a chi guarda, uno sforzo. Non si può più andare a teatro a godersi solo

qualche scena madre, bisogna seguire tutto e capire tutto. Per alcuni si tratta di una

novità eccitante, altri forse la vissero come la perdita di un'attività ricreativa che si

andava trasformando in una fatica culturale. Anche agli spettatori, come agli attori, è

richiesto di saper ascoltare la voce del corpo per formulare il pensiero, il loro

contributo attivo: perché lo spettatore è il quarto creatore, e quindi anche lui autore

dello spettacolo. Prima era lo spettatore ad essere re, a dettar legge sulle proposte

degli attori, ora lo spettacolo stesso è diverso, è arte, è stato messo a punto da un

artista.

5. 1912, Craig, Hamlet

Nel 1902, qualche anno dopo “Il gabbiano”, Nemirovic-Dancenko e Stanislavskij

lasciarono la loro sede per rimodernare uno nuovo spazio. Ne fecero un luogo pensato

non solo per vedere e far vedere spettacoli, ma anche una casa per gli attori e un

luogo creativo. In questo teatro, cominciò a lavorare nel 1908 con Craig. Gli veniva

richiesto di creare uno spettacolo su un testo dal valore emblematico. Il terzo

spettacolo di questo capitolo è l’hamlet, messo in scena da Gordon Craig al teatro

d'arte di Mosca nel 1912. A differenza del Don Juan o de “Il Gabbiano” forte atteso

come un avvenimento simbolo del nuovo teatro, naturalismo più simbolismo. Egli era

conosciuto come un violento anti-naturalista, stava creando un sistema scenografico

basato su una composizione in movimento di grandi rettangoli mobili, gli screens.

Veniva da una famiglia e da un ambiente modernisti, legati a movimenti estetici

all'avanguardia. Essere contrari al naturalismo non solo era una questione di gusto,

indicava un ambiente di appartenenza. Stanislavskij e Craig potevano avere gusti

differenti, ma sembra esserci sempre stato un rispetto più importante di queste

differenze. Egli è stato probabilmente il più influente tra i teorici della regia, anche per

le sue notevoli doti di scrittore. Espresse più volte la teoria della supermarionetta, uno

slogan che ebbe molto successo, forse un modo per trasmettere come simbolo del

nuovo potere dei registi sugli attori. Alle origini della collaborazione con Craig, per

Stanislavskij c'era Isadora Duncan, di cui l'artista russo era diventato un grandissimo

ammiratore nel corso soprattutto della prima tournée della danzatrice a Mosca.

Guardandola danzare, aveva immediatamente percepito un’affinità tra la sua arte è

quella della Duncan che forse ora è difficile da cogliere e da metabolizzare. Il lavoro

sull’Hamlet tra Craig e Stanislavskij fu molto complicato però l'opera rappresenta un

nodo in più da aggiungere alla complessa rete di rapporti reciproci all'interno di un

ristretto, ma convinto gruppo di innovatori che si stava creando in Europa e Russia.

Per l’Hamlet, Craig aveva immaginato un inizio visivamente di grande effetto, una

parete intera di screens, pannelli mobili che dovevano presentarsi affiancati, come una

continuazione della platea. Veniva così a crearsi una congiunzione fisica e soprattutto

percettiva, tra lo spazio della rappresentazione e il pubblico. Lentamente i pannelli

dovevano cominciare a muoversi, la parete a sfaldarsi, la scena doveva illuminarsi

dall'alto. Un vero e proprio ballo delle scene della luce che come micromovimento

continua all'interno di un elemento mobile doveva comprendere gli attori. Craig

cercava una danza delle scene che completasse il ritmo e la danza degli attori,

movimento nel movimento. Con gli screen non stava mettendo a punto una bellissima

scenografia non naturalista, stava indagando il movimento, il movimento nel

movimento. Ne parlano come di un movimento fondamenta

Dettagli
A.A. 2017-2018
37 pagine
8 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/05 Discipline dello spettacolo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher cecconimarta96 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teatro, spettacolo, performance e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Guarino Raimondo.