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Lo spettacolo del teatro balinese, fatto di danza, di canto, di pantomima riporta il

teatro a piano di creazione autonoma e pura, in una prospettiva di allucinazione e di

sgomento. È molto significativo che la prima delle composizioni che compongono lo

spettacolo inizi con una processione di fantasmi o, se si preferisce, che i personaggi,

uomini e donne, che serviranno allo svolgimento di un tema drammatico ma familiare,

ci appaiono in un primo momento in quella prospettiva di allucinazione che è tipica di

ogni personaggio teatrale, ancor prima che le situazioni di questa sorta di simboli

cominci ad evolvere. Il dramma non si sviluppa come conflitto di sentimenti, ma come

conflitto di posizioni spirituali, schernite e ridotti a puri gesti. I balinesi realizzano con

estremo rigore l'idea di teatro puro, dove tutto vale ed esiste esclusivamente nella

misura in cui si oggettiva sulla scena. I temi sono vaghi, astratti, estremamente

generici, da loro vita soltanto il complesso moltiplicarsi degli artifici scenici che

impongono al nostro spirito l'idea di una metafisica derivata da una nuova

utilizzazione del gesto e della voce. Da questo insieme di gesti, atteggiamenti, grida

improvvisi, evoluzioni che utilizzano ogni punto dello spazio scenico, si sprigiona il

senso di un nuovo linguaggio fisico basato sui segni non più sulle parole. Gli attori, con

i loro abiti geometrici, sembrano geroglifici animati. Tali segni spirituali hanno un

preciso significato che si comunica soltanto al nostro intuito, ma con violenza

sufficiente a rendere inutile qualsiasi trascrizione in un linguaggio logico e discorsivo. I

balinesi, che hanno un'intera gamma di gesti di posizioni nemiche per ogni circostanza

della vita, restituiscono alla convenzione teatrale il suo alto pregio e ci dimostrano

l'efficacia il valore altamente attivo di un certo numero di convenzioni perfettamente

assimilate e magistralmente applicate. Una delle ragioni della nostra gioia davanti a

questo spettacolo senza sbavature sta appunto nell’uso da parte degli attori di una

precisa quantità di gesti sicuri, di mimiche ben sperimentate e applicate al momento

giusto, ma più ancora nell'atto spirituale, nello spirito profondo e particolareggiato di

chi ha presieduto all'elaborazione di questi mezzi d'espressione, di questi segni efficaci

dei quali ricaviamo l'impressione di un'energia non ancora esauritasi dopo tanti

millenni. Gli effetti metodicamente calcolati impediscono qualsiasi ricorso

all'improvvisazione spontanea, tutto questo non risponde soltanto alle immediate

necessità psicologiche, ma anche a una sorta di architettura spirituale, fatta di gesti e

mimiche ma anche del potere evocativo di un ritmo, della qualità musicale di un

movimento fisico. Ovviamente questo concetto può entrare in discordanza con quello

europeo della libertà scenica e dell'ispirazione spontanea, ma nessuno può affermare

che tale rigore matematico produca sterilità o monotonia. La meraviglia è che da uno

spettacolo regolato con incredibile minuzia e consapevolezza si sprigioni una

sensazione di ricchezza, di fantasia e di generosa prodigalità. Il nostro teatro, che non

ha mai avuto la nozione di questa metafisica del gesto, è un teatro soltanto verbale

che ignora tutto ciò che costituisce teatro, movimenti, forme, colori, vibrazioni,

atteggiamenti, grida e che potrebbe chiedere al teatro balinese una lezione di

spiritualità. Tale teatro pone a fondamento dei suoi piaceri collettivi le lotte di

un'anima in preda alle larve ai fantasmi dell'aldilà. Col termine linguaggio non

alludiamo all’idioma, ma proprio quel particolare linguaggio teatrale, estraneo a

qualsiasi lingua parlata, in cui sembra di assumersi un’immensa esperienza scenica, al

cui paragone i nostri teatri paiono semplici balbettamenti. L'aspetto più

impressionante dello spettacolo per noi europei è l'ammirevole intellettualità che si

sente crepitare ovunque nella trama fitta e sottile dei gesti, nelle modulazioni

infinitamente variate della voce, nell’intreccio tra sonoro e movimenti. Tutto si fonde

quasi a passare attraverso bizzarri canali all'interno dello spirito. Ogni cosa in questo

teatro è calcolata con stupenda e matematica minuzia. Nulla è lasciato al caso o

all'iniziativa personale. Tutto è regolato, impersonale, lo strano è che in questa

sistematica spersonalizzazione Tutto arriva a segno, tutto produce il massimo effetto.

Ci sentiamo prendere da una specie di terrore al pensiero di questi esseri

meccanizzati, le cui gioie e dolori non sembrano appartenere loro in proprio, ma

obbedire ad antichi riti, come se fossero stati dettati da qualche intelligenza superiore.

A dominare c’è poi un ritmo ampio, opprimente della musica, una musica

estremamente appoggiata, fragile ed esitante, in cui si scatenano come allo stato

naturale fonti d'acqua e casse amplificate di processioni di insetti attraverso le piante,

in cui si ha l'impressione di veder captato il rumore stesso della luce, i rumori delle

profonde solitudini eccetera. Tutti questi rumori del resto sono legati ai movimenti,

quasi fossero la conclusione naturale di quelli che hanno il loro stesso carattere.

Un'impressione di inumanità, di divino, sgorga anche dalla squisita bellezza delle

acconciature femminili, dalla serie di cerchi luminosi a vari piani, fatti di combinazioni

di piume o di perle variopinte, di un colore talmente bello che il loro accostamento ha

un carattere di rivelazione. Questo insieme abbagliante, pieno di esplosioni, di

sinuosità, in tutte le direzioni della percezione interna ed esterna, compone un'idea

sopra del teatro, che sembra esserci tramandata dai secoli per insegnarci ciò che il

teatro non avrebbe mai dovuto cessare di essere. E questa impressione ancora

accentuata dal fatto che lo spettacolo è l'alimento elementare della sensaziona

artistica di quel popolo. Si tratta di un teatro che elimina l'autore, approfitta di quello

che nel nostro gergo teatrale d'occidente chiamiamo il regista, ma in questo caso il

regista diventa una sorta di ordinatore magico, un maestro di cerimonie sacre e la

materia su cui lavora appartiene agli dei. Nel teatro balinese c'è qualcosa che supera il

divertimento, c'è quel carattere di passatempo inutile e artificioso. Le manifestazioni

sono ricavate dal pieno della materia, della vita e della realtà. La gesticolazione cui

assistiamo ha uno scopo immediato: qui si muove con mezzi efficaci e la cui efficacia

siamo immediatamente in grado di percepire. I pensieri a cui tende, le soluzioni

mistiche che propone, sono agitati, sollevati. Tutto ciò è come un esorcismo per far

affluire i nostri demoni. I temi proposti partono dalla scena e sono tali da non poter

essere immaginati al di fuori di questa densa prospettiva del globo chiuso e limitato

del palcoscenico. Lo spettacolo ci offre un meraviglioso insieme di immagini sceniche

pure, per la cui comprensione sembra sia stato inventato tutto nuovo linguaggio; gli

attori compongono con i loro costumi autentici geroglifici, vivi e in movimento. In tale

intensa liberazione di segni c’è qualcosa che si ricollega allo spirito di un'operazione

magica. Di questa idea di teatro puro il teatro balinese ci propone una realizzazione

sbalorditiva nel senso che sa soffrire ogni possibilità di ricorso alle parole per illustrare

i temi più astratti e inventa un linguaggio di gesti fatti per evolvere nello spazio e privi

di significato fuori di esso. Lo spazio scenico è utilizzato in tutte le sue dimensioni e su

tutti i piani possibili. I gesti hanno come obiettivo finale l'illustrazione di uno stato di

un problema spirituale. Questo aspetto di teatro puro ci suggerisce indubbiamente una

nuova idea di ciò che appartiene per natura, un regno delle forme della materia

manifestata. Questo teatro ci rende palpabili non tanto le cose del sentimento quanto

quelle dell'intelligenza. E appunto per vie intellettuali ci porta a ritrovare i segni di ciò

che è. I costumi circoscrivono in ogni movimento una linea nello spazio, secondo una

precisa formula ermetica, e gli abiti che li tengono come sospesi a mezz'aria,

trasformano ogni loro salto in un volo.

Teatro Orientale e teatro Occidentale

La novità del teatro balinese è stata quella di rivelarsi un'idea fisica e non verbale del

teatro, secondo la quale il teatro sta entro i limiti di tutto ciò che può avvenire dentro

un palcoscenico, indipendentemente dal testo scritto. Per noi a teatro la parola è tutto,

e non esiste possibilità di espressione all'infuori di essa, il teatro è un ramo della

letteratura, una sorta di applicazione sonora del linguaggio. L'idea della supremazia

della parola nel teatro è talmente radicata in noi che il teatro ci appare a tal punto un

semplice riflesso materiale del testo, che tutto ciò che a teatro va oltre il testo ci

sembra appartenere al campo della regia, considerata come qualcosa di inferiore

rispetto al testo. Questo linguaggio, ammesso che esista, identifica necessariamente

con lo spettacolo inteso:

- come materializzazione visuale e plastica della parola

- come il linguaggio di tutto ciò che si può dire e rappresentare su un

palcoscenico indipendentemente dalla parola

Considerando questo linguaggio dello spettacolo e linguaggio teatrale e puro, si tratta

di scoprire se esso può raggiungere lo stesso obiettivo interiore della parola e può

aspirare alla stessa efficacia intellettuale del linguaggio articolato. In altri termini ci si

può domandare se è in grado, non di precisare pensieri, ma di far pensare, se può

indurre lo spirito ad assumere atteggiamenti profondi ed efficaci secondo il proprio

angolo visuale. Il teatro quindi deve rompere con la sua vita, il suo scopo non è di

risolvere i conflitti sociali e psicologici, di servire da terreno di scontro a passioni

morali e di esprimere verità segrete. Per fare questo, equivale a restituire al teatro la

sua destinazione d'origine, riconsiderarlo nel prospetto metafisico e religioso, a

riconciliarsi con l'universo, legandolo alle possibilità di espressione mediante le forme

e tutto ciò che è il gesto, rumore, colore eccetera. Per dominare sul palcoscenico il

linguaggio articolato sull'espressione oggettiva dei gesti di tutto ciò che è spazio arriva

lo spirito attraverso i sensi, equivale a volgere le spalle alle esigenze fisiche della

scena e a ribellarsi alle sue facoltà. Il problema non consiste nel sapere se linguaggio

fisico del teatro può permettere le stesse soluzioni psicologiche del linguaggio verbale,

ma se non esistono nel regno del pensiero e dell'intelligenza atteggiamenti che le

Dettagli
A.A. 2018-2019
19 pagine
3 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/05 Discipline dello spettacolo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher cecconimarta96 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teatro, spettacolo, performance e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Guarino Raimondo.