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Gray, nella seconda metà degli anni Ottanta conducono altre due importanti ricerche:
Morley (1986) ricostruire le forme del consumo di televisione all’interno di 18 famiglie di un
sobborgo di Londra, nel rapporto tra bread-winner (capofamiglia) e coniuge identifica due
stili di visione, uno libero e goduto (maschile) e uno discontinuo e frammentato (femminile).
Ann Gray (1992) uso del video registratore che identifica la cornice uomo-donna. La
donna rifiuta di rispondere di un altro elettrodomestico.
La tesi di Morley e di Gray che la fruizione della TV si disegni all’interno delle dinamiche di coppia
pone però dei problemi non tanto per la rilevanza attribuita al gender quanto per l’idea che la
coppia sia il luogo esclusivo in cui l’identità di genere si definisce.
Una visione più ampia della cornice ci viene restituita dalle ricerche di James Lull (1990) sugli usi
della televisione nello spazio domestico di 200 famiglie residenti negli Stati Uniti. Per Lull la
famiglia è un costrutto articolato che presenta strutture diverse a seconda del contesto socio-
culturale e della classe di appartenenza. Le dinamiche famigliari sono descritte come un insieme di
interazioni che si sviluppano non solo nella coppia ma anche nell’asse generazionale tra adulti e
minori. La famiglia è un organismo inserito nell’ampio sistema sociale e Lull distingue tra famiglie
orientate all’esterno e che intrattengono relazioni con il contesto e famiglie improntate all’interno.
Indispensabile è per lui l’osservazione diretta interviste e lunghi periodi di osservazione
partecipante. Il suo contributo si pone come anello di congiunzione tra i communication studies
statunitensi e quelli di tradizione anglosassone. La posizione di Lull emerge dalla sua teoria degli
usi sociali dei media parla di “usi” nel descrivere le pratiche di fruizione dei media distinguendo tra
strutturali (che hanno a vedere con l’uso del tempo e dello spazio) e relazionali (funzionali ai
rapporti). Dall’approccio U+G eredita l’idea che ci siano dei bisogni e che questi orientino le scelte
e i modi di consumare la TV tali bisogni sono espressione del gruppo famigliare. Fra le altre
ricerche ricordiamo quella di Francesco Cassetti (1995) sul consumo della TV da parte di 32
famiglie italiane. L’ipotesi è che il significato e il valore dell’esperienza di fruizione vengono definiti
in funzione della particolare situazione di visione, attraverso la mediazione dei discorsi fra i
componenti della famiglia. La ricerca problematizza anche la nozione di fruizione individua una
correlazione fra alcune tipologie di funzioni della tv e i generi televisivi (es. quiz si presta più degli
altri al confronto/relazione).
In un’accezione ancora più avanzata, la famiglia viene considerata come “un sistema di
transazione” in rapporto costante con il contesto esterno, con cui scambia merci simboliche e
artefatti. Ambiente domestico (household) come “unità economica, sociale e culturale” viene
formalizzata nel quadro della ricerca di Silverstone che si propone di indagare le dinamiche di
incorporazione dei media nello spazio domestico e gli effetti che hanno nell’immagine sociale. Il
frame domestico di trasforma dunque in un sistema dinamico e produttivo che si adatta e adatta a
sé le proposte che l’industria mediale elabora. Il complesso processo viene definito domestication
addomesticamento. Questa nozione unita a quella di household contribuirono a spingere le
ricerche sulle audience verso una terza fase allargamento della prospettiva relazioni che le
audience hanno con le dinamiche macrosociali (a partire dalla globalizzazione); un esempio per
tutti è quello della ricerca di Marie Gillespie sul consumo della tv presso la comunità Punjab di
Londra che intrecciano il consumo di videocassette di Bollywood e il complesso processo di
negoziazione fra la propria cultura di origine e quella del paese ospitante. È una visione ecologica
le audience hanno un ruolo chiave nella definizione degli assetti mediali, modificano il sistema
mediale.
Capitolo IV – Le audience performative
Nel corso del anni Novanta, il dibattito sulle audience subisce un’altra virata. A cambiare sono le
dimensioni e l’entità dei fenomeni: la diffusione della rete informatica rende l’interattività una
condizione abituale; la crescita e il potenziamento dei supporti mobili consente di imprimere
all’esperienza dei media un tratto marcatamente personale.
Il centenario della nascita del cinema, la complessificazione della geografia dei luoghi della
fruizione e il cambiamento degli stessi spazi canonici di visione come pure il potenziamento delle
tecnologie generano una nuova ondata di riflessioni sullo spettatore. Si tratta in parte di contributi
nostalgici ed in parte di riflessioni che di sforzano di capire e di valutare le forme che l’esperienza
di fruizione del film va assumendo. Il dibattito avviene intorno a tre temi:
- Come combinare l’intensità dell’esperienza cinematografica e il coinvolgimento dello
spettatore nel film e nella visione con l’interattività Gianluca Sergi nel 2001 analizza le
trasformazioni dell’esperienza del cinema in sala il potenziamento delle tecnologie audio
permette di amplificare il carattere multisensoriale dell’esperienza di fruizione, allineandola
a quella di altri e più recenti media. Inoltre, la moltiplicazione delle opportunità di visione,
introduce una componente “attiva” nell’esperienza. Lo spettatore postclassico si presenta
come un fruitore comodamente attivo.
- È possibile parlare di esperienza cinematografica anche quando la visione avviene al di
fuori delle cornici tradizionali gli studi si sforzano di evidenziare la permanenza di elementi
della spettatorialità classica studi sulla cinefilia di Klinger gli insiders, come li definisce
Klinger, sono portatori di competenze tecniche avanzate, si sanno muovere nella rete
spettatori aristocratici che ricreano nella loro abitazione le condizioni appaganti della sala.
Sono spettatori appassionati ed emancipati.
- Iperspettatore definito da Alain Cohen (1998) fruitore potenziato in grado di gestire una
pluralità di strumenti che gli consentono di maturare una conoscenza “profonda” del
cinema.
Nel 1998 Abercrombie e Longhurst pubblicano Audiences in cui le loro teorie sulle audience si
articolano in tre fasi:
1. La stagione delle teorie comportamentiste (behavioural paradigm) pensa che le audience
siano soggetti singoli, sebbene posizionati socialemente, che rappresentano
individualmente i media;
2. La fase delle teorie della resistenza e dell’incorporazione (incorporation/resistence
paradigm) include le teorie delle audience ostili e delle audience attive;
3. La fase delle teorie dello spettacolo e della performance (spectacle/performance
paradigm) intendono il rapporto fra audience e media come una relazione biunivoca e
come luogo fondamentale di costruzione dell’esperienza sociale e dell’esperienza di sé
modello dell’audience diffusa un’audience che fa esperienza dei media in luoghi e forme
diverse, che è sempre connessa, attiva e reattiva.
Successivamente, Sonia Livingstone dà alle stampe La ricerca sull’audience nella quale denuncia
l’impoverimento degli audience studies per far ripartire la ricerca è indispensabile che si torni a
leggere i processi di fruizione dei media “anche” in termini di potere e che li si metta in relazione
con i processi sociali. Le parole di Livingstone riecheggiano in quelle di Nick Couldry che nel 2005
attacca la prospettiva di Abercrombie e Longhurst se i media sono sempre più presenti nella vita
dei soggetti questo non significa che il rapporto tra media e audience sia diventato patetico. Quello
che è certo è che l’esperienza dei media, appare sempre più simile all’esperienza della rete e dei
media interattivi.
La tesi della performità delle audience, trova concretizzazione nelle ricerche sul fandom. Le ragioni
dell’attenzione vengono ben sintetizzare da Jonathan Gray (2003):
1. Importanza oggettiva dei fan per l’industria culturale dei media: i fan sono consumatori forti
e fidelizzati, esperti dei propri oggetti di culto interlocutori particolarmente utili per le
istituzioni mediali
2. Esemplarità dei fan rispetto agli atteggiamenti delle audience punto di osservazione
ideale. Fiske identifica tre attività proprie dei fan:
- La produttività semiotica la produzione di senso che i fan condividono con le audience
comuni;
- La produttività enunciativa la generazione di discorsi intorno a un prodotto e la loro
condivisione;
- La produttività testuale la generazione di artefatti caratteristica che è propria solo dei fan.
3. Analisi delle pratiche di consumo dei fan prova che il coinvolgimento del fruitore
nell’esperienza di consumo non ingenera passività bensì esperienze attive e prospettive.
Alle ragioni di Gray se ne possono aggiungere altre due:
4. Henry Jenkins suggerisce che i fan sono l’anello di congiunzione fra chi studia il consumo e
chi lo pratica;
5. La varietà degli oggetti su cui si esercitano le ricerche sul fandom serie tv, musica pop, film
cult apertura interdisciplinare.
La rilevanza di tutti questi studi corre in parallelo con la trasformazione dell’immagine del fan,
convertito da borderline a modello di una fruizione attiva e strategica dei media già dalla metà degli
anni Ottanta. Negli anni Novanta, la rappresentazione idealizzata del fan, cede il posto ad
un’analisi delle pratiche degli utenti più attenta a coglierne l’aspetto propositivo. Si sposta
l’attenzione sulle attività che il fruitore compie sui diversi profili che esso assume. Abercrombie e
Longhurst assumono l’idea che il fan sia espressione del nuovo consumatore “diffuso” dei media,
lungo un ideale continuum che si distende dal semplice consumatore fino al petty producer (colui
che genera contenuti che diventano a loro volta oggetti di consumo). Identificano tre tipi di fan:
1. Il primo è il fan in senso proprio colui che consuma con passione i prodotti;
2. Il secondo è il culturist che opera all’interno della comunità con cui scambia
opinioni/valutazioni;
3. Il terzo è l’enthusiast ovvero colui che consuma per produrre non si appassiona ad un
singolo prodotto ma si distingue per un’attitudine creativa.
I petty producers sono coloro che dispongono di competenze avanzate quasi professionali, che
consentono ai loro artefatti di accedere ai circuiti distributivi istituzionali o paraistituzionali (simile
alla figura del Pro-Am). Pi&ugr