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MILITARE
Tiberio Sempronio Gracco per primo capì il collegamento esistente tra crisi
dell’agricoltura e crisi dell’esercito.
I problemi dell’esercito erano legati al calo demografico e alla scomparsa della piccola e
media proprietà, con conseguente proletarizzazione dei cittadini: questi due fattori
causavano un calo degli arruolabili.
Egli quindi compì un primo tentativo di risoluzione del problema abbassando il limite
censitario per l’arruolamento e potenziando l’apporto degli Italici; questo creò
malcontento perché comunque le truppe ausiliarie ottenevano sempre meno benefici dalle
conquiste rispetto a quelle romane.
Tiberio si candidò quindi come tribuno della plebe, dato che grazie a questa carica poteva
proporre progetti di legge.
All’assemblea del popolo egli quindi propose una riforma restauratrice per ricostituire il
ceto di piccoli proprietari terrieri che fossero arruolabili e risolvessero la crisi dell’esercito.
Rivitalizzò quindi una delle leggi Licinie Seste, che erano ancora valide ma erano state
disattese. Restaurò il tetto massimo della proprietà a 1000 iugeri. Queste terre finivano di
essere proprietà dello stato e venivano cedute ai privati. Il terreno pubblico espropriato ai
latifondisti che sforavano veniva diviso in lotti e dato ai proletari che ne facevano richiesta.
Questi appezzamenti erano dati in affitto, e i contadini dovevano quindi dare allo stato un
canone d’affitto simbolico.
La proprietà era negata per rendere i territori inalienabili ed evitare così che si creassero
grandi latifondi; le terre comunque potevano essere trasmesse in eredità ai figli.
La legge ebbe molti oppositori soprattutto fra i senatori, che avevano vasti latifondi dei quali
sostenevano la legittimità per usucapione. Il senato quindi tentò di bloccare la proposta
inducendo il tribuno della plebe Marco Ottavio a apporre il veto alla legge. Tiberio allora reagì
facendo votare al popolo la decadenza di Marco Ottavio. Dopo che questa fu approvata, fu
possibile approvare la legge.
La legge fu approvata anche guardando alle ribellioni di schiavi in Sicilia: esse sarebbero
potute avvenire anche in Italia, data la grande concentrazione di schiavi nei latifondi.
Per l’attuazione della riforma era necessario un complesso e dispendioso lavoro di verifica.
Esso fu reso possibile dall’impiego del lascito testamentario del re Attalo III di Pergamo, che
nel 133 lasciò il proprio regno in eredità a Roma.
24
I comizi incaricarono del progetto una commissione triumvirale composta da Tiberio
Gracco, il fratello Gaio Gracco e il suocero Appio Claudio Pulcro.
Finito l’anno di mandato, Tiberio si ripropose per la carica per sovrintendere all’attuazione
della riforma.
Nonostante avesse l’approvazione popolare, la votazione fu sospesa dai consoli e Tiberio fu
ucciso assieme a 300 dei suoi sostenitori, perché sembrava ambisse a restaurare una
sorta di monarchia.
Dopo la sua morte, la commissione proseguì il lavoro fino al 129.
4. LE LEGGI TABELLARIE
Un fattore di profonda trasformazione nelle dinamiche politiche fu l’approvazione delle leggi
tabellarie: esse stabilivano che la votazione, che in precedenza era per alzata di mano,
fosse fatta tramite una scheda cerata nel quale il cittadino esprimeva la sua volontà,
scegliendo tra le opzioni o scrivendo da sé i nomi dei candidati alle magistrature. In questo
modo si affermò la pratica del voto segreto.
Questa nuova procedura compromise il ruolo della classe dirigente esercitato attraverso le
clientele: prima era possibile controllare i propri clienti dato che il voto era palese, adesso
invece ogni uomo era in grado di votare secondo le proprie preferenze.
Questo portò alla necessità di stilare un programma politico che intercettasse le esigenze dei
cittadini.
5. L’AZIONE RIFORMATRICE DI GAIO SEMPRONIO GRACCO
Nel 123 Gaio Gracco, fratello di Tiberio, fu eletto tribuno della plebe.
L’anno successivo, egli sfruttando la memoria del fratello ottenne dai comizi la legittimazione
dell’iterazione delle magistrature, e venne quindi rieletto.
Gaio Gracco aveva un’ampia base politica, variegata dal punto di vista sociale: era
appoggiato da parte dell’aristocrazia senatoria, dai cavalieri, dai membri delle comunità
italiche e delle élites provinciali e da buona parte della plebe.
Promosse un programma di riforme che mirava a risolvere le criticità dello stato romano,
con un’attenzione particolare a soddisfare le esigenze dei ceti minori, a premiare l’ordine
equestre (maggiore forza economica dello stato) e ad assicurare garanzie ai provinciali
nei confronti dell’amministrazione romana.
Propose 17 riforme, che vennero tutte approvate dall’assemblea popolare tranne 1
(equiparazione giuridica degli alleati italici ai cittadini romani):
Legge agraria: riprendeva l’iniziativa di Tiberio, ovvero ricostituire il ceto dei piccoli
proprietari terrieri per risolvere i problemi dell’esercito e ridurre la concentrazione urbana;
stabiliva che nelle terre redistribuite ai nullatenenti venisse costruita una rete di strade per
rendere più facile la vendita del raccolto presso i mercati
Legge frumentaria: stabiliva la distribuzione mensile di grano a prezzo politico alla plebe
cittadina. Questo significava sostituirsi ai patroni nel sistema clientelare
Legge Rubria: riavviava la fondazione di colonie, per consentire lo spostamento di
numerose famiglie proletarie da Roma.
Legge militare: non era possibile reclutare soldati minori di 17 anni, e lo stato avrebbe
fornito ai soldati l’uniforme (prima a carico personale).
Legge sulla pratica giudiziaria: la condanna alla pena di morte poteva avvenire solo se
approvata dai comizi.
Legge sulla provincia d’Asia: la riscossione delle tasse in questa provincia era riservata in
appalto ai pubblicani.
Legge giudiziaria Acilia: interveniva nella composizione della giuria del tribunale che
giudicava i governatori delle province per malversazione; questo prima era composto da
giudici di rango senatorio, adesso invece da membri dell’ordine equestre in maggioranza
La sola proposta non approvata prevedeva la concessione della cittadinanza romana ai
Latini e del diritto latino agli alleati italici.
Nel 121 Gaio Gracco tentò di farsi eleggere per la terza volta tribuno della plebe. Egli però
nella votazione non ebbe l’appoggio necessario.
senatusconsultum ultimum,
Il senato quindi emanò per la prima volta un ovvero un
provvedimento che consentiva ai consoli di entrare armati in città per placare le sommosse.
Gaio armò i suoi seguaci, ma vennero sconfitti; assieme a Gaio Gracco morirono 3.000 dei
suoi partigiani. 25
Nel 119 furono fermate le operazioni di ridistribuzione della terra; nel 111 una nuova legge
agraria abolì il canone di affitto e i lotti distribuiti divennero proprietà; in tal modo si ridiffuse il
latifondo.
6. OTTIMATI E POPOLARI
Dopo i fatti dei Gracchi, si formarono due schieramenti politici contrapposti:
Gli ottimati rappresentavano gli interessi dell’oligarchia conservatrice e delle sue
clientele; volevano consolidare i privilegi del vertice dello stato e mantenere l’attuale
situazione politica, economica e sociale.
I popolari rappresentavano gli interessi del popolo, soprattutto la plebe urbana e i ceti
emergenti, come l’ordine equestre, e gli alleati italici.
I popolari elaborarono un programma condiviso, che prevedeva provvedimenti di
equiparazione degli italici ai cittadini, risoluzione della questione agraria con la
ricostituzione della piccola proprietà, politica di frumentazione per la plebe urbana per
emancipare le masse popolari dalle clientele, alleanza con il ceto equestre.
L’attuazione di questo programma porterà all’uccisione di alcuni tribuni che se ne faranno
promotori. 26
10. Le soluzioni ai problemi della tarda Repubblica
1. I PROBLEMI DELL’ESERCITO
Il fallimento delle riforme dei Gracchi riportava alla luce il problema dell’esercito, dove si
sentiva la carenza di effettivi. La soluzione venne da un provvedimento di emergenza ideato
da Gaio Mario.
1.1 La riorganizzazione di Mario
Gaio Mario era un uomo nuovo, espressione della borghesia municipale centroitalica. Al suo
successo contribuirono 3 fattori:
Il legame iniziale stretto con la famiglia aristocratica dei Cecilii Metelli, che favorirono il suo
esordio in politica
Il matrimonio con Giulia, appartenente a una delle più antiche e prestigiose famiglie
patrizie
Le sue straordinarie capacità militari
La carriera di Mario iniziò nel 134 a Numanzia, dove venne eletto tribuno militare. Nel 118
divenne poi governatore della Spagna Ulteriore e ottenne vittorie militari, grazie alle quali
incamerò le ricchezze necessarie per progredire di carriera.
Egli ottenne la sua consacrazione alla scena politica nella Guerra Giugurtina.
Giugurta era salito al trono nel 118 dopo la morte di Micipsa assieme ai cugini Aderbale e
Iempsale; Giugurta aveva poi assassinato Iempsale e messo in fuga Aderbale, che aveva
chiesto aiuto ai romani; essi avevano quindi ideato una partizione della Numidia.
Nel 112 Giugurta aveva assediato il cugino a Cirta; riuscì a conquistare la città e sterminò
anche la popolazione di romani e italici.
Roma intervenne militarmente nel 112 ma senza risultati; anzi, subì anche una sconfitta e fu
costretta a subire l’umiliazione di passare sotto il giogo nemico. Nel 109 il comando passò
sotto il comando di Quinto Cecilio Metello, console e patrono di Gaio Mario, dal quale
venne aiutato durante la guerra; riportò infatti alcuni risultati ma non ancora risolutivi.
Nel 108 Mario si recò a Roma per proporre la sua candidatura a Roma: ottenne l’elezione e si
recò in Africa, dove nel 105 riuscì a catturare Giugurta grazie all’aiuto del re di Mauretania
Bocco e alla personalità di Lucio Cornelio Silla.
Tornato a Roma, sfilò trionfante.
La sua vittoria fu conseguenza dell’applicazione di due metodi osservati da Scipione Emiliano
a Numanzia: si servì infatti dell’arruolamento di volontari stipendiati, ovvero di proletari
che vedevano nella guerra quindi un’occasione di riscatto sociale; inoltre sottopose i legionari
a massacranti esercitazioni dato che essi erano caratterizzati dall’indisciplina.
La nuova forma di arruolamento volontario, con la creazione di soldati di professione,
ebbe come conseguenza la proletarizzazione dell’esercito: infatti i proletari potevano
trarne beneficio grazie allo stipendio, al bottino di terra e all’eventuale assegnazione di un
lotto di terra.
La riforma di Mario comprese anche cambiam