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LE ALJAMAS: CONFLITTI INTERNI E AUTONOMIA GIUDIZIARIA

Diversamente da quanto accadeva nel resto d'Europa, le comunità ebrai

spagnole erano caratterizzate da una forte conflittualità interna e forti tensioni

sociali per l’esistenza di gruppi privilegiati, ma anche una particolare struttura di

clan familiari e di gruppi, agitati da continue lotte di potere. Altro elemento di

diversità era l’autonomia giudiziaria di cui godevano le comunità aragonesi e

castigliane, cioè il diritto di esercitare pieni poteri giudiziari sia in materia civile

che criminale. Si tratta di un’eredità del periodo musulmano, rafforzata però nel

XIII secolo, che non mancava di suscitare le resistenze della Chiesa, la quale

considerava come un esercizio abusivo di sovranità. Nonostante una sua

temporanea abolizione in Castiglia nel 1380 e malgrado tentativi successivi di

limitarne la portata, questa autonomia fu abolita soltanto nel 1480 in seguito alla

politica centralizzatrice di Isabella e Ferdinando. La

giurisdizione criminale riconosciuta ai tribunali ebraici, prevedeva la possibilità di

comminare pene corporali e condanne capitali la cui esecuzione era delegata

alle autorità civili. Fondamentale fu nel XIII secolo l’estensione della giurisdizione

dei tribunali comunitari ai malsinos, gli informatori, termine ebraico assunto poi

dal castigliano, a designare i calunniatori e i delatori. Nel XIII secolo il ricorso alla

calunnia per regolare le rivalità interne alla comunità era divenuta una realtà e un

problema grave. Nel decennio 1380-90 la lotta contro i malsinos divenne in

alcune comunità, un mero pretesto per duri conflitti tra i gruppi e i clan che si

accusavano a vicenda di malsineria. Accanto alla lotta contro i malsinos, le

comunità potenziano e sottopongono a procedure d’eccezione anche il controllo

sull’obbedienza religiosa e comunitaria, già alla fine del XIII secolo la massima

autorità rabbinica aragonese Solomon Ibn Adret, poteva scrivere che è possibile

innovare o derogare la legge ebraica della Torah a ciò che richiede la situazione

attuale.

• l’autonomia giudiziaria non ha soltanto rappresentato un elemento di

grande importanza della vita interna delle comunità, ma ha anche

notevolmente condizionato i loro rapporti con l’esterno. Solo le aljamas

poterono così rendere esecutive le ordinanze, emanare sanzioni

giudiziarie contro ogni trasgressione alle regole comunitarie, controllare i

costumi e l’osservanza religiosa dei loro membri, uniche le comunità

spagnole tra le comunità della diaspora.

• la polarizzazione e il conflitto all’interno della società ebraica spagnola

hanno esercitato una funzione integratrice più che disgregatrice, come

dimostra il caso degli ebrei di corte e l’indubbio consenso interno su cui si

fondava il loro potere. Giustificava tale consenso e rendeva accettabili i

privilegi, grandi, ci cui godevano gli ebrei di corte, primo tra i quali

l’esonero dalle tasse, convesso dai sovrani ma gravante sulla comunità, il

ruolo di mediatori tra la corte e la comunità che essi esercitavano, ruolo

fondamentale per il mondo ebraico dato il contesto politico incerto e

dipendente dalla Corona.

La svolta politica che incise pesantemente sulla situazione degli ebrei in Aragona

ed in Castiglia, è stata individuata nel periodo delle guerre civili e di cambiamenti

dinastici che interessarono la Castiglia alla metà del XIV secolo, e che non sono

passati alla storia con il nome di rivoluzione Trastamara. Già nel XIII secolo la

pressione legislativa sugli ebrei si era appesantita, delimitando progressivamente

i loro spazi all’interno della società spagnola, i divieti di proprietà terriera e le

limitazioni del prestito ne rappresentano gli aspetti più significativi. Inoltre a

partire dalla seconda metà del XIII secolo, i sovrani si rivelano disposti a

percepire nella legislazione civile tutta una serie di disposizioni verso gli ebrei,

come il divieto di avere al proprio servizio dei cristiani, o di magiare, bere o

bagnarsi con i cristiani, o di prestar loro cure mediche; questi divieti erano da

tempo presenti nella legge canonica, che li ribadirà nuovamente in Spagna

all’inizio del 300 nel sinodo ecclesiastico di Zamora, e sono indice anche da

parte laica, di una nuova attenzione per il problema della contaminazione che i

contratti con gli ebrei potevano comportare. L’attenzione al problema della

contaminazione portava nel tardo XIII secolo le autorità locali della Linguadoca

ad emanare una serie di ordinanze volte ad evitare che gli ebrei potessero nei

mercati contaminare il cibo venduto, come gli ebrei venivano ad esser puniti per

paure di contaminazione prostitute e lebbrosi.

All’inizio del XIV secolo, la situazione degli ebrei diventa particolarmente critica

nel Regno d’Aragona, interessato da una migrazione di ebrei cacciati dalla

Francia. Nel 1320 la Crociata dei Pastorelli, dopo aver devastato il sud della

Francia, si diffuse in Aragona e in Navarra. Nel 1348 durante la peste, la

Catalogna e Valenza sono al centro di violenze e massacri, al crescendo di

violenze si accompagna l’azione dell’Inquisizione, che indaga nella vita degli

ebrei e dà la caccia ai convertiti ritornati all’ebraismo, numerosi tra gli scampati

alle persecuzioni in Francia e Germania. Inizia così la ricerca di terre più sicure,

un movimento migratorio verso la Castiglia, non sottoposta alla giurisdizione

inquisitoriale. Ma sarà da Siviglia, dall’Andalusia, che partirà alla fine del 300 la

scintilla destinata a portare a quasi totale distruzione il mondo ebraico spagnolo.

L’ANNO DELLA DISTRUZIONE Nel 1391 un pogrom che distrusse la maggior

parte delle comunità castigliane e andaluse, si sviluppò in Siviglia, centro da più

di un decennio della predicazione dell’arcidiacono Martinez, che aizzava le folle a

distruggere sinagoghe o cacciare ebrei. Nonostante le ripetute ingiunzioni della

Corona, per difendere il “reddito” ebraico, e l’accusa di eresia mossagli proprio

dall’arcivescovo, Martinez continua ad alimentare ostilità e tensioni, fino a che

nel 1390 di Giovanni I di Castiglia e dell’arcivescovo gli lasciarono via libera.

• Il pogrom scoppiò il 6 giugno 1391 secondo il copione usuale, cioè

distruzione di sinagoghe, massacri e battesimi. Presto il movimento si

estese in tutto il Regno di Castiglia e in Catalogna, a Valenzia o

Barcellona la sola notizia di queste violenze suscitò il pogrom. Tra i

massacratori vi sono marinai, vagabondi, borghesi e anche aristocratici.

Eventi del genere si verificarono a Maiorca, Gerona, Lerida e molte città

minori.

• nell’insieme le autorità municipali, non favorirono le violenze ma tennero

spesso comportamenti ambigui e si dimostrarono comunque troppo deboli

per impedirle e per ristabilire l’ordine in tempi brevi, così i pogrom si

estesero e prolungarono nel tempo, con effetti devastanti sulle comunità,

molte delle quali scomparvero del tutto. Anche le alte gerarchie

ecclesiastiche tentarono di frenare le violenze, ma il clero locale al

contrario le guidò.

Gli eventi del 1391 rappresentavan violenze religiose e sociali, al centro del

pogrom vi era l’intento della folla di purificare religiosamente la società. Alla fine

di questa ondata di violenze, le comunità della spagna erano state distrutte e se

sopravvissute, enormemente impoverite. Questi progrom erano stati favoriti

anche dall'atteggiamento ambiguo della Corona che si trovò a vivere una

situazione in contrasto circa la questione della conversione. Solo dopo il secondo

decennio del 400 la situazione della comunità potrà avviarsi verso un parziale

ristabilimento, anche allora però l’equilibrio in fase di ricostruzione, era

minacciato dalla politica conversionistica della Corona.

LA SPINTA VERSO LA CONVERSIONE Prima che il progetto di conversione

degli ebrei passasse direttamente nelle mani dei sovrani di Aragona e Castiglia,

esso era stato al centro dello sforzo missionario dell’ordine domenicano, che fin

dal XIII secolo aveva accompagnato il processo della Reconquista. I domenicani

aragonesi, guidati da Raimondo di Penafort, idearono nuovi strumenti per

ottenere la conversione di ebrei e musulmani, strumenti che furono poi indirizzati

in particolare verso gli ebrei. Il più importante fu la predicazione forzata introdotta

nel 1242, quando il sovrano autorizzò i predicatori ad entrare nelle sinagoghe e a

predicarvi.

Le prediche forzate nella sinagoga o in cattedrale furono più volte autorizzate dai

sovrani nonostante la resistenza ebraica, che vedeva in essa la violazione del

proprio diritto alla libera religione. A predicare erano soprattutto ebrei convertiti, in

grado di leggere l’ebraico e di discutere i testi ebraici, ma già nella seconda metà

del 200 i domenicani tentatono, senza gran successo, di creare delle scuole di

ebraico e di arabo in grado di fornire adeguate conoscenze linguistiche ai

predicatori.

Lo sforzo dei domenicani urtava contro il fatto che la società spagnola medievale

non favoriva la conversione, la auspicava a livello teorico, ma nella realtà vi

erano elementi e leggi che ostacolavano la conversione: la confisca da parte

della Corona dei beni del convertito, quale risarcimento della Corona per la

perdita finanziaria che essa subiva con il passaggio da ebreo servo a quello di

suddito cristiano. Questa norma, sotto la spinta domenicana tra 1242 e 1311 fu

abrogata in Aragona, ma continuava ad essere praticata ancora alla fine del 300,

tuttavia era stato introdotto il principio di incentivo materiale e spirituale alla

conversione, segno di un radicale mutamento di clima. La conversione da

momento di passaggio che genera squilibrio viene proposta come un traguardo,

gratificante e carico di aspettative.

Fino al 1391 le conversioni non furono comunque defezioni di massa, ma

piuttosto uno stillicidio capillare, favorito dalle crescenti limitazioni all’ascesa

sociale degli ebrei e ai divieti posti all’esercizio delle attività ebraiche. Ma con il

consolidamento delle monarchie, la fine della Reconquista, e la precaria

pacificazione interna dopo le guerre civili del 300, la spinta verso la conversione

degli ebrei diventa parte integrante della dinamica politica in Spagna. La

contraddizione di fondo tra il mantenimento dello status quo e l’istanza di

uniformità religiosa segnerà ormai la politica delle Corone aragonese, castigliana

nel corso del 400.

La crisi del 1391 non fu la fine delle violenze aperte, attacchi ai quartieri ebraici vi

furono anche tra il

Dettagli
A.A. 2015-2016
60 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ilapan.nocchia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Parma o del prof Roscioni Lisa.