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EGUAGLIANZA O INEGUAGLIANZA?

Il desiderio di arricchirsi e l'istinto di padronanza (due forme di aspirazione al potere) sono certamente all'origine del comportamento degli spagnoli; ma esso è condizionato anche dall'idea che i conquistadores si fanno degli indiani, secondo cui questi ultimi sono degli esseri inferiori: senza questa premessa essenziale, la distruzione non avrebbe potuto avere luogo. Fin dalla sua prima formulazione, questa dottrina dell'ineguaglianza sarà combattuta da un'alta, che al contrario afferma l'eguaglianza tra tutti gli uomini. Questo dibattito non mette in causa solo l'opposizione uguaglianza-ineguaglianza, ma anche quella tra identità e differenza: come già visto con Colombo, la differenza si converte in ineguaglianza, l'eguaglianza in identità (le due grandi figure del rapporto con l'altro). Las Casas e gli altri difensori dell'eguaglianza hanno così spesso

accusato i loro avversari per aver scambiato gli indiani per delle bestie, e bisogna dunque volgersi ai difensori dell'ineguaglianza per verificare come stanno le cose. Documento a tal proposito importante è il Requierimento, scritto nel 1514 dal giurista regio Palacios Rubios e nato dalla necessità di regolamentare delle conquiste fino a quel momento abbastanza caotiche. Il testo, curioso tentativo di dare una base legale a quelli che erano i desideri dei conquistatori, comincia con una breve storia dell'umanità, il cui punto culminante è l'apparizione di Cristo: egli ha trasmesso il suo potere a San Pietro, e da esso ai suoi successori; uno degli ultimi papi ha poi fatto dono del continente americano agli spagnoli. Dopo aver così stabilito le ragioni giuridiche della dominazione spagnola, resta da assicurarsi che gli indiani siano informati della situazione: a ciò occorrerà la lettura - ma non sempre la traduzione -delRequierimento in presenza di un funzionario regio: se gli indiani, dopo la lettura, si mostrano convinti non si ha il diritto di prenderli come schiavi (sottomissione volontaria -> servi); se invece essi non accettano questa interpretazione della loro storia saranno puniti (sottomissione forzata -> schiavi). C'è un'evidente contraddizione tra l'essenza della religione sulla quale si pretende che siano fondati tutti i diritti spagnoli e le conseguenze di questa pubblica lettura: il cristianesimo è una religione egualitaria, e in suo nome gli uomini sono ridotti in schiavitù. Non solo potere temporale e spirituale sono confusi, ma ancora più grave la possibilità di scelta tra due posizioni di inferiorità: gli indiani vengono considerati fin dall'inizio come inferiori, perché sono gli spagnoli che dettano le regole del gioco. È noto che i conquistadores non avevano alcuno scrupolo.all'applicazione delle istruzioni regie come meglio loro conveniva, e nel punire gli indiani nel caso di insubordinazione, come del resto il fatto che essi trascuravano appositamente di far ricorso a interpreti per semplificare il loro compito: in tal modo, il problema della reazione degli indiani non si poneva neppure. Il testo di PR non sarà mantenuto come base giuridica della conquista, ma tracce più o meno indebolite del suo spirito si ritrovano anche negli avversari dei conquistadores: l'esempio più interessante è forse quello di Francisco de Vitoria, vertice dell'umanesimo spagnolo nel XVI secolo (teologo, giurista e professore universitario). Egli demolisce le giustificazioni correnti delle guerre condotte in America, ma ritiene tuttavia che delle "guerre giuste" siano possibili e, tra le diverse motivazioni di questo tipo di guerre, due gruppi di ragioni sono per noi particolarmente interessanti. 1) Vi sono innanzitutto leragioni che si basano sul principio di reciprocità e che si applicano indifferentemente agli indiani e agli spagnoli: esempio violazione del naturale diritto di comunicazione o circolazione anche al di fuori del proprio paese d'origine, o il diritto di libertà del commercio. Per quanto riguarda la circolazione delle idee, Vitoria pensa ovviamente solo alla libertà degli spagnoli di predicare il Vangelo agli indiani, e mai viceversa, giacché per lui la "salvezza" cristiana è un valore assoluto. 2) Diversamente stanno le cose per un altro gruppo di ragioni messe avanti da Vitoria per giustificare le guerre: egli ritiene infatti che un intervento sia lecito quando venga fatto per proteggere degli innocenti contro la tirannia dei capi o delle leggi indigene (es sacrifici umani o cannibalismo). In questo caso non vale il principio di reciprocità perché, anche se questa regola fosse applicata sia a indigeni che spagnoli, sono questi
  • ultimi che hanno deciso il senso della parola "tirannia": gli spagnoli, a differenza degli indiani, non sono soltanto parte, ma anche giudice, perché scelgono i criteri in base a cui sarà pronunciata la sentenza.
  • Una simile distribuzione di ruoli implica che non c'è vera eguaglianza tra spagnoli-indigeni; Vitoria non lo nasconde, e chiarissima la sua giustificazione della guerra contro gli indiani. La loro stupidità e barbaria rende lecito intervenire nel loro paese per esercitarvi, in sostanza, un diritto di tutela.
  • Ma, anche ammesso che si debba imporre agli altri il bene, a decidere che cos'è lo stato selvaggio e cosa la civiltà una sola delle due parti, tra le quali non esiste alcuna reciprocità.
  • Si è abituati a vedere in Vitoria un difensore degli indiani, ma se si esamina non tanto l'intenzione del soggetto quanto l'incidenza del suo discorso, diventa chiaro che il suo ruolo è
completamente diverso: sotto la copertura di un diritto internazionale fondato sulla reciprocità, egli fornisce in realtà una base legale alla guerra di colonizzazione.
Accanto alle formulazioni giuridiche della dottrina dell'ineguaglianza se ne trovano moltissime d'altro genere nelle lettere, nei rapporti e nelle cronache dell'epoca, che tendono tutte a presentare gli indiani come esseri umani imperfetti, scelgo due sole testimonianza in quanto scritte da un religioso e da uno scienziato, cioè i rappresentanti dei due gruppi sociali generalmente più benevoli verso gli indiani.
1) Il domenicano Ortiz scrive: "posso quindi affermare che Dio non ha mai creato una razza più ricolma di vizi e bestialità, senza alcuna traccia di bontà e cultura. gli indiani sono più bestie degli asini, e non vogliono preoccuparsi di nulla".
2) Il secondo autore è Oviedo, uno dei campioni della tesi.dell'ineguaglianza e conquistatore egli stesso: egli non abbassa gli indiani al livello degli animali ma li considera più simili a materiali da costruzione, a degli oggetti inanimati. Non desta meraviglia sapere dunque che Ovidio è, di fatto, un sostenitore della "soluzione finale" del problema indiano, la cui responsabilità vorrebbe fosse assunta dal Dio dei cristiani: "chi vorrà mai negare che la polvere da sparo contro i pagani è come offrire incenso al nostro Signore?". Il dibattito tra sostenitori dell'ineguaglianza e partigiani dell'ineguaglianza tra indiani-spagnoli tocca il culmine, e trova allo stesso tempo un'incarnazione concreta, nel duello oratorio che nel 1550 oppone l'erudita Sepúlveda all'abate domenicano Las Casas. Di solito questo genere di dialoghi avveniva nelle rispettive opere, e i protagonisti non si trovavano faccia a faccia: ma a S. è stato negato il.

diritto di stampare un trattato che ha come argomento le giuste cause delle guerre contro gli indiani, e provocando il confronto, Las Casas si offre per difendere il punto di vista opposto.

Sepulveda si appoggia, nelle sue argomentazioni, di una tradizione ideologica che trova la paternità in Aristotele, che nella Politica stabilisce la celebre distinzione tra coloro che sono nati padroni e schiavi; un altro testo al quale si fa corrente riferimento è De Regime, attribuito all'epoca a Tommaso d'Aquino ma scritto in realtà da Tolomeo da Lucca, il quale aggiunge all'affermazione dell'ineguaglianza un'anticaspiegazione. Bisogna cercarne la ragione nell'influenza del clima e degli astri.

Sepúlveda crede che non l'eguaglianza, ma la gerarchia sia lo stato naturale della società umana, basata unicamente sulla semplice relazione superiorità-inferiorità: non esistono, dunque, differenze naturali, ma solo

gradi diversi sopra una medesima scala di valori. Nel suo Democrates alter, per cui non riesce aottenere la stampa, ispirandosi alla Politica dichiara che tutte le gerarchie si basano su un unico emedesimo principio: “il dominio della perfezione sull’imperfezione, della forza sulla debolezza e dellavirtù rispetto al vizio”, fornendo poi degli esempi di questa superiorità naturale (corpo < anima, materia< forma, figli < genitori, donna < uomo, schiavi < padroni). Non vi è che un passo da fare pergiustificare la guerra contro gli indiani: sancire la loro inferiorità e paragonarli a degli animali.Le opposizioni che formano l’universo mentale di Sepúlveda hanno tutte, in definitiva, lo stessocontenuto, e possono essere riscritte come un’interminabile catena di proporzioni, facendo così appellopiù al principio di identità che a quello di differenza. Trascurando le opposizioni tautologiche(male/bene),

Quelle comportamentali (ferocia/clemenza…) e quella fondata su una chiara differenza biologica (animali/uomini, bambini/adulti), restano due serie di opposizioni; quelle che ruotano attorno alla coppia corpo/anima e quelle che oppongono parti della popolazione del globo la cui differenza è evidente, ma la cui superiorità o inferiorità è problematica (indiani/spagnoli, donne/uomini). Rivelatrice l'equivalenza istituita tra queste opposizioni con la coppia corpo/anima: l'altro è innanzitutto il nostro corpo; di qui l'assimilazione degli indiani e delle donne alle bestie, cioè a creature che, benché animate, sono prive di anima.

Tutte le differenze si riducono, per Sepulveda, a qualcosa che non è una differenza: il rapporto superiorità/inferiorità, il bene e il male. La sua argomentazione a favore della guerra giusta condotta dagli spagnoli unisce quattro proposizioni descrittive della natura.

degli indiani a un postulato che è anche un imperativo morale. Le proposizioni sono: gli indiani hanno una natura subalterna, praticano il cannibalismo, sacrificano esseri umani e ignorano la religione cristiana. Il postulato/prescrizione è: abbiamo il diritto, anzi il dovere, di imporre agli altri quel che noi consideriamo un bene,

Dettagli
A.A. 2021-2022
64 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher appunti-liceo-e-criminologia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Guerrini Maria Teresa.