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Estratto del documento

Un altro episodio è significativo: durante la campagna contro i tlaxcaltechi, Cortés fa

una sortita notturna con un gruppo di cavalli, due dei quali barcollano e vengono

rispediti al campo: mentre i suoi compagni lo considerano come un cattivo presagio e

vorrebbero tornare indietro, egli rispose loro: "Per me è un buon presagio, andiamo

avanti"(Francisco de Aguilar).

Mentre dunque per gli aztechi l’arrivo degli spagnoli è l’adempimento di una serie di

cattivi presagi, con conseguente diminuzione della loro combattività, in analoghe

circostanze Cortés si rifiuta di vedere in certi segni la prova dell’intervento divino, ed è

interessante osservare come invece, nella fase discendente della sua vita, egli inizia a

credere ai presagi ed il successo non lo accompagna più.

La comunicazione limitata degli indiani, dedicata esclusivamente allo scambio con dio,

lascia negli spagnoli il posto ad una comunicazione umana, in cui l’altro è chiaramente

riconosciuto, anche se non stimato eguale: la presenza di uno spazio chiaramente

riservato agli altri, nell’universo mentale degli spagnoli, è emblematicamente

dimostrato dal loro costante desiderio di comunicare, che si contrappone alle reticenze

di Moctezuma: il primo messaggio di Cortés per gli aztechi è questo: "Poiché avevamo

traversato tanti mari ed eravamo venuti da paesi così lontani solo per vederlo e

parlargli di persona, il nostro Signore e grande Sovrano non potrebbe approvare la

nostra condotta se tornassimo in patria senza averlo fatto" (Bernal Dìaz, 39).

Il solo fatto di assumere un ruolo attivo nel processo di comunicazione, assicura agli

spagnoli una superiorità incontestabile: essi sono i soli ad agire, mentre gli aztechi si

limitano a reagire.

Considerando poi la produzione dei discorsi,

vediamo chiaramente che Cortés si preoccupa

continuamente della interpretazione che gli

indiani daranno ai suoi gesti: egli punisce

severamente i saccheggiatori nel suo esercito

perché costoro, contemporaneamente, prendono

ciò che non bisogna prendere, e danno una

cattiva impressione di loro stessi: nei

villaggi "Cortés annunciò, per mezzo del

banditore, che, sotto la pena della morte,

nessuno doveva toccare nulla all’infuori del cibo; ciò fece allo scopo di dimostrare la

sia buona volontà e di accrescere la sua reputazione presso gli indigeni" (Gòmara, 29):

appare evidente in questo brano l’importanza della finzione, "apparenza" e

"reputazione".

Anche i messaggi che Cortés rivolge agli indiani obbediscono ad una strategia

coerente: per esempio, all’inizio gli indiani non sono sicuri che i cavalli degli spagnoli

siano mortali; per mantenerli in questa incertezza, egli, la notte dopo la battaglia, fa

accuratamente seppellire i cadaveri dei cavalli uccisi.

Il comportamento di Moctezuma è invece contraddittorio, poiché egli non sa se

accogliere o non accogliere gli spagnoli; anche Cortés compie atti altrettanto

contraddittori, non perché sia realmente incerto, ma piuttosto perché vuole lasciare

perplessi e dubbiosi i suoi interlocutori.

Un episodio della marcia verso Città del Messico è esemplare al riguardo: Cortés si

trova ospite in un villaggio, ricevuto dal cacicco locale che spera di essere aiutato nel

rovesciare il giogo azteco; in quel mentre arrivano i messi inviati da Moctezuma ed

incaricati di prelevare i tributi, e Cortés consiglia il cacicco di arrestare gli esattori,

cosa che egli farà prontamente; ma quando gli abitanti del villaggio si preparano a

sacrificare i prigionieri, Cortés si oppone e mette i suoi soldati a guardia della prigione,

convincendoli poi di essere sorpreso di vederli imprigionati e dichiarando di volerli

liberare; egli infatti li fa arrivare sani e salvi fuori dal territorio pericoloso, ed essi

giungono incolumi da Moctezuma; il cacicco locale a quel punto, sapendo che gli

aztechi saranno informati della sua ribellione, giura fedeltà a Cortés e si impegna ad

aiutarlo nella lotta contro gli aztechi.

Le manovre di Cortés hanno due destinatari: da una parte gli indiani del posto, che

vengono indotti ad impegnarsi in modo irreversibile al suo fianco, dato che, mentre il

re di Spagna è lontano ed una pura astrazione, gli aztechi ed i loro gravosi tributi sono

vicinissimi; dall’altra parte, Moctezuma, che sa che i suoi messi sono stati maltrattati

per la presenza degli spagnoli, ma sa anche che essi sono vivi grazie a loro: Cortés si

presenta dunque, contemporaneamente, come nemico e come alleato, obbligando

Moctezuma, che"si preparava a combatterci con le migliori truppe ed i migliori

capitani" ad assumere ulteriori informazioni perché non sa più come regolarsi.

La prima preoccupazione di Cortés, quando è debole, è di non far scoprire agli altri la

verità, e di far credere agli altri che è forte: questa preoccupazione è costante: "Mi

sembrò che mostrare così poco coraggio davtni agli indiani, soprattutto davanti a

coloro che erano nostri amici, fosse sufficiente ad alienarci il loro animo […]" (Cortés,

2).

Egli è poi un uomo sensibile alle apparenze, tanto che, appena nominato capo della

spedizione, spende i primi denari per comprarsi un abito che incuta rispetto (Bernal

Dìaz, 20); l’attenzione alla reputazione non riguarda solo la sua persona, ma anche il

suo esercito, come dice egli stesso: "L’esito della guerra dipende molto dalla nostra

fama" (Gòmara, 114), ed infatti la sua tattica militare preferita consiste nel farsi

credere forte quando è debole e debole quando è forte, di modo da attirare gli aztechi

in imboscate mortali.

Nel corso della campagna, Cortés rivela il suo gusto per le azioni spettacolari, ben

consapevole del loro valore simbolico, badando bene, ad esempio, a vincere la prima

battaglia e il primo scontro tra brigantini e canoe, a dare alle fiamme un certo palazzo

all’interno della città per mostrare quanto è grande il suo vantaggio; egli punisce di

rado, ma in modo esemplare, facendo sì che tutti lo sappiano: "Cortés ordina che

ciascuno di quei sessanta cacicchi faccia venire il loro erede. Tutti i cacicchi vengono

allora bruciati su un immenso rogo e gli eredi assistono all’esecuzione. Cortés li fa

venire poi alla sua presenza e chiede loro se sapevano in che modo era stata eseguita

la sentenza pronunciata contro i loro genitori assassini; poi, con aria severa, aggiunge

che spera che l’esempio sia stato sufficiente e che non si dovranno più sospettare di

disobbedienza" (Pietro Martire, VIII, 2).

Anche l’uso delle armi ha una efficacia più simbolica che pratica, come si vede bene

dall’episodio della non funzionante catapulta a trabocco, che Cortés dichiara servirà

ugualmente ad intimorire i nemici (3), o dal fatto che, agli inizi della campagna, egli

impiega cannoni e cavalli per veri e propri spettacoli son et lumière, ottenendo, come

ci dicono i racconti aztechi, ottimi risultati: "In quel momento gli emissari perdettero la

testa e svennero. […] e non erano più padroni di sé stessi" (CF, XII, 5).

Questo comportamento di Cortés fa subito pensare al quasi contemporaneo

insegnamento del Machiavelli: non si tratta, naturalmente, di una influenza diretta, ma

dello spirito di un’epoca, di cui entrambi, uno con gli scritti e l’altro con gli atti, sono

due emblematici rappresentanti; del resto Ferdinando il cattolico, il re di Spagna citato

dal Machiavelli come modello del "nuovo principe", era sicuramente conosciuto da

Cortés.

Come non vedere, dunque, l’analogia tra gli stratagemmi di Cortés e i precetti del

Machiavelli, che pone reputazione ed apparenza al vertice della nuova scala dei valori?

Vediamo una pagina dello scrittore fiorentino: "A uno principe, adunque, non è

necessario avere tutte le soprascritte qualità, ma è bene necessario parere di averle.

Anzi, ardirò di dire questo, che avendole et osservandole sempre, sono dannose, e

parendo di averle, sono utile" (Il Principe, 18).

Nel mondo di Cortés e del Machiavelli, il discorso non è più determinato dall’oggetto

descritto o dalla conformità ad una tradizione, ma si costruisce unicamente in funzione

dell’obiettivo che si vuole raggiungere.

La migliore prova della capacità di Cortés di comprendere ed utilizzare il linguaggio

dell’altro, è comunque data dalla sua partecipazione all’elaborazione del mito del

ritorno di Quetzalcoatl.

Nei racconti indiani anteriori alla conquista, questi è contemporaneamente un

personaggio storico ed una divinità, ed è costretto, ad un certo punto, ad abbandonare

il suo regno e a partire verso est, ma, scomparendo, promette di tornare un giorno per

riprendere possesso dei suoi beni; il suo mito non aveva, nell’antica mitologia indiana,

un ruolo essenziale, in quanto egli era solo una divinità tra molte altre.

Ma i racconti indiani posteriori alla conquista, invece, ci informano che Moctezuma

scambiò Cortés per Quetzalcoatl, tornato a riprendersi il suo regno, ed attribuiscono a

questa identificazione un ruolo decisivo nella mancata resistenza all’avanzata degli

spagnoli: vediamo dunque che, tra il primo stadio del mito, quello antico, in cui

Quetzalcoatl aveva un ruolo secondario ed il suo ritorno era incerto, ed il secondo

stadio, in cui il suo ruolo è invece dominante ed il suo ritorno sicuro, è avvenuta una

grossa trasformazione, causata essenzialmente dall’operato di Cortés.

Egli, consapevole che la radicale differenza tra spagnoli ed indiani faceva nascere

l’idea che essi fossero degli dèi, seppe inserire l’anello mancante, spiegando anche

"quali dèi" fossero, e mettendo in rapporto il mito marginale del ritorno di Quetzalcoatl

con la loro venuta.

Da cosa possiamo dedurre quest’opera di Cortés? Le sue stesse lettere all’imperatore

Carlo V ce lo dimostrano, rivelandosi anche assai interessanti per meglio comprendere

la concezione del linguaggio propria di Cortés: in occasione del primo incontro con

Moctezuma, questi dichiarò agli spagnoli che "data la parte da cui dite di venire, che è

quella da cui nasce il sole, e le cose che dite di codesto gran re o signore che qui vi

mandò, crediamo e abbiamo per certo esser lui il nostro naturale signore, tanto più

che dite aver egli notizia di noi da molto tempo", e Cortés risponde "nel modo che mi

parve più conveniente, specialmente per

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Publisher
A.A. 2013-2014
32 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher uappo10 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia e didattica della storia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Strik Leavers Lorenzo.