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4. GUERRE D’ITALIA E FORMAZIONE DEGLI STATI TERRITORIALI
4.1 Il principio dinastico e la sua difesa: le guerre d’Italia
La pace di Lodi del 1454 avrebbe dovuto assicurare pace e tranquillità tra gli Stati italiani, invece
nel 1492, con la scomparsa dei due principali protagonisti politici del periodo (papa Innocenzo VIII
e Lorenzo de’ Medici), la situazione degenerò.
Fu eletto papa lo spagnolo Rodrigo Borgia (Alessandro VI; 1492- 1503), che aveva ambizioni
enormi per sé e la sua famiglia, in particolare mirava a costruire uno Stato per il figlio Cesare.
La Repubblica di Venezia poi aspirava a nuove conquiste sulla terraferma e Ludovico il Moro,
signore di Milano dopo aver sottratto il potere al nipote Gian Galeazzo Sforza, voleva consolidare
la sua autorità.
A tutto ciò si aggiunsero le pretese dinastiche dei sovrani stranieri: Ferrante di Aragona riteneva di
essere legittimamente erede del Ducato di Milano poiché Gian Galeazzo Sforza aveva sposato
una sua nipote.
Il re di Francia Carlo VIII pretendeva il trono di Napoli, da cui gli Angioini erano stati cacciati nel
1442, ma dove la nobiltà ne auspicava il ritorno.
Queste rivendicazioni sono giustificate dalla concezione dell’epoca di potere sovrano, visto non
come un governo astratto ma come la gestione di un patrimonio. Il sovrano sentiva dei diritti di
proprietà sui propri domini e tutta l’organizzazione burocratica si basava su questo: le risorse per
l’amministrazione e quelle per la guerra erano soldi privati del sovrano (solo in un secondo
momento si poteva pensare di chiederli ai sudditi) e il personale amministrativo era alle
dipendenze del re, non dello Stato, e la loro paga consisteva in cessioni di demanio personale del
re.
C’erano poi ragioni di onore: parliamo di una cultura cavalleresca in cui la gloria militare era
fondamentale e lo stesso re combatteva personalmente in battaglia.
Ludovico il Moro e i nobili napoletani quindi chiesero a Carlo VIII d’intervenire in Italia. Egli nel
1494 scese dunque a Milano, a Firenze e a Napoli, città che conquistò agilmente.
L’esercito francese si trattenne un solo anno in Italia, poiché venne sconfitto da un’alleanza di Stati
che lo costrinse a tornare in Francia rinunciando al Regno di Napoli (mantenne invece il controllo
su Milano).
A Firenze la signoria medicea, che aveva accolto il re francese, venne rovesciata da un governo
repubblicano ispirato a Girolamo Savonarola.
Intanto nel 1498 morì Carlo VIII e gli succedette Luigi XII (1498- 1515), che proseguì la politica di
espansione. Egli stipulò un accordo col re di Aragona Ferdinando il Cattolico secondo cui il regno
di Napoli veniva spartito tra i due sovrani: alla Francia sarebbero andati Campania e Abruzzo,
mentre alla Spagna Calabria e Puglia.
La guerra che seguì fu però una sconfitta per Luigi XII e l’intero regno di Napoli andò a Ferdinando
il Cattolico.
Il Papa nel frattempo aveva creato uno stato con a capo Cesare Borgia costruito da Marche e
Romagna,
La Repubblica di Venezia allora tentò di approfittarne per conquistare la Romagna, ma il nuovo
Papa Giulio II della Rovere (1503- 1513), in una lega coi principali sovrani europei, la sconfisse nel
1510 e Venezia perse molti dei suoi possedimenti in terraferma.
A Firenze nel 1498 Savonarola venne arrestato e condannato, e istituito un governo repubblicano
oligarchico. Nel 1512 poi tornarono i de’ Medici grazie all’intervento militare del Papa.
Alla morte di Giulio II, il nuovo Papa Leone X (1513- 1521) cambiò politica e nel 1516 stipulò con
tutte le parti in conflitto la pace di Noyon, che pose fine alle guerre fino al 1521.
4.2 Carlo V e l’idea imperiale
Al momento di questa pace, nel 1516, tutti gli interlocutori principali delle vicende italiane erano
cambiati: a Giulio II era succeduto Leone X de’ Medici, a Luigi XII era succeduto Francesco I di
Valois (1515- 1547) e a Ferdinando d’Aragona Carlo I d’Asburgo (1516- 1556).
Quest’ultimo regnava però su un territorio vastissimo e maggiore di quello del suo predecessore:
Carlo era infatti nipote (per via materna) dei Re Cattolici e dunque da essi aveva ereditato
l’Aragona, la Castiglia e i territori americani. Dal padre Filippo d’Asburgo ereditò invece i Paesi
Bassi, parte della Francia orientale e i territori dell’ex Ducato di Borgogna.
Da un secolo circa gli Asburgo riuscivano ad assicurarsi anche la carica di imperatore del Sacro
Romano Impero della nazione tedesca, carica non dinastica ma eletta dal collegio dei 7 principi
elettori. Carlo nel 1519 ottenne tale ruolo grazie all’appoggio finanziario dei banchieri tedeschi che
gli permise di comprare i voti.
Carlo quindi regnava su un territorio simile a quello di Carlo Magno e da tale paragone discendeva
l’aspettativa che lo uguagliasse sia sul piano dell’unita religiosa sia politica. Dal punto di vista
religioso egli dovette far fronte alla Riforma; da quello politico invece un tale impero necessitava di
ingenti risorse, sia per l’esercito sia per la burocrazia, che egli cercò nelle tasse e nello
sfruttamento delle risorse dei suoi territori, cosa che provocò rivolte e ribellioni.
4.3 Le istituzioni statali all’inizio del ‘500
Germania:
I 7 principi elettori erano solo alcuni tra i signori territoriali tedeschi: esistevano infatti centinaia di
Stati, staterelli e città-Stato indipendenti, alcuni governati da un laico, alcuni da un ecclesiastico,
altri ancora da un organo collegiale.
A dare unità a questo insieme erano la figura dell’imperatore e la Dieta imperiale, un’assemblea
composta dai ceti, cioè tutti i principi territoriali e rappresentanti delle città. Il rapporto tra la Dieta e
l’imperatore aveva sia motivi di competizione sia di collaborazione. Tra i primi c’era il tentativo da
parte dell’imperatore di accrescere le proprie competenze giurisdizionali e lo stesso da parte dei
ceti; il controllo delle cariche pubbliche era poi ambito sia dai nobili (che ne traevano vantaggi
economici e non) sia dai poveri che avevano così una fonte di guadagno. I motivi di collaborazione
erano invece la necessità dell’imperatore che, a causa del ridotto apparato burocratico, da solo
non poteva governare senza l’appoggio delle autorità locali; gli eserciti erano forniti dalle nobiltà e
anche le entrate dipendevano dai contributi dei nobili. L’imperatore costituiva poi un arbitro
supremo, un garante di pace e giustizia e un simbolo di unità.
Spagna:
Sia il regno di Aragona sia quello di Castiglia avevano delle assemblee rappresentative, le Cortes,
formate da clero, nobiltà e rappresentanti delle città. A loro volta le città erano dotate di organi di
autogoverno ed erano indipendenti (a parte che per il dovere di rispettare le leggi e pagare le
tasse).
Alla fine del XV sec era stata però introdotta la figura del corregidor, nominato dal sovrano, che
aveva funzione amministrativa della giustizia. Carlo V poi premette molto sulle Cortes per renderle
più docili e i suoi cortigiani fiamminghi occuparono moltissime cariche pubbliche lucrose. Ciò fece
sì che quando Carlo lasciò la Spagna per l’incoronazione a imperatore, molte città insorsero tra il
1520 e ’21 (“rivolta dei comunaros”).
Francia:
La struttura politica era sempre analoga, ma molto più semplice nella gestione: esistevano infatti
anche qua cita indipendenti rappresentate nell’assemblea degli Stati generali, ma quest’ultima
aveva autonomia molto inferiore rispetto a quella delle Cortes e i domini Francesi erano uniti
territorialmente, cosa che rendeva facile la costante presenza sul territorio.
4.4 La rivalità tra Francia e Spagna e la seconda fase delle guerre d’Italia
L’elezione di Carlo d’Asburgo a imperatore ruppe gli equilibri della pace di Noyon: la Francia
doveva rompere l’accerchiamento in cui si trovava e Carlo V doveva riconquistare il Ducato di
Milano.
Nel 1522 i francesi vennero cacciati da Milano e Massimilano Sforza riprese il potere. In più era
stato eletto papa Adriano VI, ex precettore di Carlo V.
Francesco I marciò su Milano e Pavia, ma venne sconfitto e fatto prigioniero fu costretto a firmare
la pace di Madrid (1526) con cui rinunciava per sempre a Milano e alla Borgogna.
Tornato in patria organizzò l’unione di vari Stati italiani (Firenze, Venezia, Milano e persino il Papa
Clemente VII de’ Medici) nella Lega di Cognac contro l’eccessivo potere dell’imperatore Carlo V.
Nel 1527 un esercito di lanzichenecchi (mercenari al servizio dei tedeschi) invase e saccheggiò
Roma. Il Sacco di Roma suscitò grande scalpore nel mondo cattolico, che considerava l’evento
una punizione divina.
Tra il Papa e Carlo V si giunse a un accordo: l’imperatore si impegnava a restituire al papa i suoi
domini e a restaurare i de’ Medici a Firenze (nel frattempo destituiti da una repubblica); invece
Clemente VII riconosceva i diritti dell’imperatore sul suolo italiano e nel 1530 a Bologna lo incoronò
imperatore.
La pace di Cambrai, dello stesso anno e con la Francia, sanzionava lo stato di fatto: Milano
rimaneva all’imperatore e la Borgogna a Francesco I.
Dopo un nuovo periodo di guerra, nel 1544 con la pace di Crépy Francesco I confermò il dominio
imperiale su Milano e in cambio ottenne la Savoia e parte del Piemonte.
Alla morte di Francesco I nel 1547 gli succedette Enrico II, che spostò il conflitto in Germania,
alleandosi nel ’52 coi principi luterani; nel 1555 anche questa fase si concluse (pace di Augusta).
Nel 1559 poi si arrivò alla pace definitiva di Cateau-Cambrésis, che non venne firmata da Carlo V.
Carlo V infatti abdicò nel 1556, ritirandosi a vita privata e dividendo i territori tra il fratello e il figlio:
al figlio Filippo II lasciò i territori spagnoli, americani, italiani, i Paesi Bassi e la parte di Francia
orientale; al fratello Ferdinando I andarono invece Austria, Boemia, Ungheria e territori imperiali.
Tutti gli Stati italiani erano sotto l’influenza diretta o meno della Spagna: Ducato di Milano,
Orbetello e lo stato dei presidi, Regno di Napoli, di Sicilia e di Sardegna erano domini spagnoli;
Ducato di Savoia, Granducato di Toscana, Stato pontificio e Repubblica di Genova pur essendo
indipendenti ne erano particolarmente influenzati. Solo la Repubblica di Venezia era libera, ma
comunque alleata della Spagna nella lotta contro i Turchi.
4.5 Guerre e poteri monarchici
L’impero di Filippo II era ridotto rispetto a quello del padre, ma comunque aveva grandi problemi di
gestione. Già Carlo V aveva introdotto elementi di unità: negli anni ’20 erano stati istituiti o
riorganizzati gli organi collegiali (