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Nel Testamento Francesco scandisce in tre momenti fondamentali le tappe che lo portarono alla fondazione della
fraternitas minoritica: l’incontro con i lebbrosi (rovesciando il giudizio e comportamento che sta alla base della sua
uscita dal secolo); la duplice dichiarazione di fede nelle chiese e nei sacerdoti (manifestando la sua volontà di un
saldo ancoraggio ortodosso, staccandosi dai movimenti evangelici di quegli anni); l’arrivo dei primi fratelli (forma
embrionale di organizzazione). Nel Testamento segue poi la rievocazione della vita della prima fraternità:
preliminare distribuzione dei propri beni ai poveri, assunzione di una povera tunica, preghiere, rinuncia alla cultura
e sudditanza, lavoro manuale ed eventuale mendicità, saluto di pace per tutti. La scelta del vangelo come forma di
vita segue l’arrivo dei primi compagni, questa scelta viene fatta arbitrariamente da Francesco senza intermediari
(almeno così sostiene il R. Manselli (il quale vede anche un’assenza di gerarchia all’inizio dei francescani), ma solo
dal Signore Dio stesso (revelare significa “mostrare” o “manifestare” sia in questo passo del Testamento che
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nell’Officium passionis ).
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Tommaso da Celano, Vita prima cap VIII par 18: “La prima opera cui Francesco pose mano, appena libero dal giogo del padre
terreno, fu di riedificare un tempio al Signore. Non pensa di costruirne uno nuovo, ma restaura una chiesa antica e diroccata;
non scalza le fondamenta, ma edifica su di esse, lasciandone così, senza saperlo il primato a Cristo. Nessuno infatti potrebbe
creare un altro fondamento all’infuori di quello che già è stato posto: Gesù Cristo. Tornato perciò nel luogo in cui, come si è
detto, era stata costruita anticamente la chiesa di San Damiano, con la grazia dell’Altissimo in poco tempo la riparò con ogni
diligenza.”
cap IX par 21: “Smesso l’abito secolare e restaurata la predetta chiesa, il servo di Dio, si portò in un altro luogo vicino alla città
di Assisi e si mise a riparare una seconda chiesa in rovina, quasi distrutta, non interrompendo la buona opera iniziata, prima
d’averla condotta completamente a termine. Poi si trasferì nella località chiamata la Porziuncola, dove c’era un’antica chiesa in
onore della Beata Vergine Madre di Dio, ormai abbandonata e negletta. Vedendola in quel misero stato, mosso a compassione,
anche perché aveva grande devozione per la Madre di ogni bontà, il Santo vi stabilì la sua dimora e terminò di ripararla nel
terzo anno della sua conversione. L’abito che egli allora portava era simile a quello degli eremiti, con una cintura di cuoio, un
bastone in mano e sandali ai piedi.”
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Giuliano da Spira par 14
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Legenda maior cap II par 7: “Ormai ben radicato nell’umiltà di Cristo, Francesco richiama alla memoria l’obbedienza di
restaurare la chiesa di San Damiano, che la Croce gli ha imposto. Vero obbediente, ritorna ad Assisi, per eseguire l’ordine della
voce divina, se non altro con la mendicazione. Deposta ogni vergogna per amore del povero Crocifisso, andava a cercar
l’elemosina da coloro con i quali un tempo aveva vissuto nell’abbondanza, e sottoponeva il suo debole corpo, prostrato dai
digiuni, al peso delle pietre. Riuscì così, a restaurare quella chiesetta, con l’aiuto di Dio e il devoto soccorso dei concittadini. Poi,
per non lasciare intorpidire il corpo nell’ozio, dopo la fatica, passò a riparare, in un luogo un po’ più distante dalla città, la chiesa
dedicata a San Pietro spinto dalla devozione speciale che nutriva, insieme con la fede pura e sincera, verso il Principe degli
Apostoli.”
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Tommaso da Celano, Vita prima cap VII par 16: “[…]Finalmente arriva ad un monastero, dove rimane parecchi giorni a far da
sguattero di cucina. Per vestirsi ha un semplice camiciotto e chiede per cibarsi almeno un po' di brodo; ma non trovando pietà e
neppure qualche vecchio abito, riparte, non per sdegno, ma per necessità, e si porta nella città di Gubbio. Qui da un vecchio
amico riceve in dono una povera tonaca. Qualche tempo dopo, divulgandosi ovunque la fama di Francesco, il priore di quel
monastero, pentitosi del trattamento usatogli, venne a chiedergli perdono, in nome del Signore, per sé e i suoi confratelli.”
L’episodio in cui Francesco consulta il Vangelo attraverso la pratica delle sortes sanctorum è da ritenere veritiero
dato che si trattava di una pratica sovente combattuta dalla gerarchia ecclesiastica. I tre versetti non vengono
esplicitamente menzionati nel Testamento, ma essi si ritrovano in posizione privilegiata nella Regula non bullata
(Matteo 19,21 e Matteo 16,24 caratterizzano i tratti fondamentali del Christum sequi; Luca 9,3, unito ad altri
frammenti degli altri sinottici, fissa le modalità con cui i fratelli devono andare per il mondo).
L’Anonimo nel riportare l’insieme dei riferimenti evangelici appare più adeguato a delineare la forma vitae del
francescanesimo primitivo di quanto faccia invece Tommaso, che cita solo versetti della “missione apostolica”.
Il racconto dell’Anonimo trova conferma nelle affermazioni del Testamento.
Il triplice confronto tra Testamento, Vita prima e Anonimo testimonia l’inattendibilità del racconto di Tommaso,
non solo per le evidenti carenze di informazione di Tommaso, ma anche perché la collocazione dell’avvenimento
alla Porziuncola e la condizione in cui si sarebbe trovato Francesco (con l’abito da eremita) sembrano frutto di una
costruzione tutta sua, completamente arbitraria e non corrispondente alla realtà delle cose.
Tommaso vuole che la Porziuncola sia stata restaurata da Francesco in quei suoi anni di solitudine, così come vuole
che fosse il luogo in cui Francesco avrebbe ascoltato i versetti evangelici della missione apostolica, così come
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vuole che fosse la sede in cui l’ordine minoritico prese inizio (come ricorda nella Vita seconda ). Questa posizione
privilegiata della Porziuncola si amplierà nella Legenda maior di Bonaventura. Altri autori invece diffidano dalle
notizie riportate da Tommaso, ad esempio Giuliano da Spira non nomina la Porziuncola per quanto riguarda la sede
in cui Francesco avrebbe udito la messa, ma la menziona per la riparazione delle tre chiese e per prima sede dei
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francescani (dopo aver abbandonato il tugurio angusto di Rivotorto ).
L’Anonimo dà indicazioni completamente diverse: Francesco riparò solo San Damiano, mentre la Porziuncola
compare nel racconto solo dopo la conversione di Bernardo e Pietro (i tre non avendo un luogo dove stare si
stabilirono in una chiesetta povera e abbonda nata che si chiamava Santa Maria della Porziuncola, lì fabbricarono
una capanna dove vivevano insieme), l’incontro con questa chiesa è fortuito e nulla fa intendere che Francesco già
l’avesse frequentata in precedenza.
Per la Legenda maior lo stabilirsi dei tre alla Porziuncola si configura come una scelta precisa di Francesco
piuttosto che come un evento casuale.
Invece i Socii non menzionano la Porziuncola né per le chiese riparate da Francesco, né per la sede della messa in
cui egli avrebbe ascoltato i versetti della missione apostolica, ma vogliono smentire e correggere la Vita prima di
Tommaso, a loro ben nota. Questa smentita non venne assimilata dagli storiografi successivi.
Anche dopo il viaggio di Roma, i frati si mossero tra Rivotorto e Porziuncola, ma nulla fa pensare a particolari
rapporti privilegiati che Francesco o i suoi primi compagni avessero stabilito con essa. Quindi la versione di
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L’Officium passionis è un manoscritto realizzato alla fine del XV secolo a Firenze (può essere riferibile alla bottega di
Francesco d’ Antonio del Chierico) in occasione del matrimonio di un membro della famiglia Serristori. Il manoscritto rimanda ai
francescani perché al suo interno vi sono alcune delle più importanti feste dei santi dell’Ordine (es S.Francesco, Santa Chiara,
Sant’Antonio da Padova, San Ludovico da Tolosa e San Bernardino), inoltre vi sono anche importanti feste mariane e alcuni
santi venerati a Firenze.
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Tommaso da Celano, Vita seconda cap XII par 18: “Il servo di Dio, Francesco, piccolo di statura, umile di spirito e minore di
professione, mentre viveva qui sulla terra scelse per sé e per i suoi una piccola porzione di mondo: altrimenti, senza usare nulla
di questo mondo, non avrebbe potuto servire Cristo. E furono di certo ispirati da Dio quelli che, anticamente, chiamarono
Porziuncola il luogo che toccò in sorte a coloro che non volevano assolutamente possedere nulla su questa terra. Sorgeva in
questo luogo una chiesa dedicata alla Vergine Madre, che, per la sua particolare umiltà,. meritò, dopo il Figlio, di essere
Sovrana di tutti i Santi. Qui ebbe inizio l'Ordine dei minori, e s'innalzò ampia e armoniosa, come poggiata su fondamento solido,
la loro nobile costruzione Il Santo amò questo luogo più di ogni altro, e comandò ai frati di venerarlo con particolare devozione.
Volle che fosse sempre custodito come specchio dell'Ordine in umiltà e altissima povertà, riservandone ad altri la proprietà e
ritenendone per sé ed i suoi soltanto l'uso.”
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Giuliano da Spira, cap IV par 26
Tommaso non è conciliabile con notizie sparse e si rivela quindi inattendibile.
Altra cosa inattendibile è l’uso dell’abito eremitico da parte di Francesco prima di udire i versetti della missione
apostolica. I biografi danno notizie confuse ed incerte per la difficoltà nel ricordare i dettagli.
Tutti i biografi sono unanimi nel ricordare la rinuncia di Francesco davanti al vescovo di Assisi espressa in modo
simbolico con la restituzione al padre dei propri vestiti, ma nulla fa pensare a una successiva vestizione di un abito
che ricordasse in qualche modo la sua scelta religiosa. Tommaso lo dice vestito di cenci, costretto a procurarsi a
Gubbio da un amico una “tunicula” con cui potersi vestire:
di cenci, colui che un tempo si adornava di abiti purpurei, se ne va per una selva, cantando le
“Vestito 59
lodi di Dio in francese. […]”
Tommaso più avanti preciserà che Francesco cambiò abito dopo aver riparato San Damiano, ma scrive questo solo
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per presentarlo alla vigilia della sua scoperta in vesti di eremita .
Gli altri biografi seguono la linea di Tommaso, tranne l’Anonimo e il Bonaventura.
L’Anonimo descrive Francesco a piedi nudi, vestito di un misero abito, stretto in vita da una cintura di poco prezzo
(stesso abito indossato più tardi dai compagni), non una divisa ma la veste dei contadini poveri o dei lavoratori
manuali.
Bonaventura accetta tutta la scena della messa (con la consegu