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Estratto del documento

La grande guerra aveva indebolito la Gran Bretagna sia finanziariamente sia sul piano industriale e

commerciale. I suoi impianti non erano stati rinnovati, le sue esportazioni erano state soppiantate da

altri paesi e aveva un debito di 4,7 miliardi di dollari nei confronti degli Stati Uniti a fronte di crediti

nei confronti di alleati europei che si rivelarono inesigibili. L’inflazione era superiore a quella

americana, rendendo inevitabile una svalutazione della sterlina. Proprio questo fu il punto cruciale

del crollo della GB, infatti gli inglesi erano convinti che i problemi economici si sarebbero risolti se si

fossero ristabilite le condizioni prebelliche, tra le quali la stabilità monetaria. Quando gli europei

tornarono al gold standard, la GB decise nell’aprile del 1925 di ritornarvi allo stesso tasso di cambio

con il dollaro che vigeva prima della guerra, cioè 4,86 dollari per sterlina. Questa decisione era

dovuta nella fiducia che gli inglesi avevano nella teoria tradizionale che faceva ritornare all’equilibrio

con la flessibilità di prezzi e salari e la corretta applicazione delle regole del gioco nei pagamenti

internazionali e nell’uso delle riserve.

Fu soltanto Keynes a scagliarsi contro l’uso di una teoria obsoleta. Infatti, il governo, per sostenere il

cambio sopravvalutato della sterlina, dovette far uso di una politica monetaria restrittiva con alti

tassi d’interesse che disincentivavano gli investimenti, mentre le esportazioni calavano. La bilancia

dei pagamenti divenne quindi negativa e le riserve diminuirono.

Solo alla fine del decennio la situazione prese a migliorare, per peggiorare però nuovamente ben

presto, a causa della grande crisi. 28

Francia

La Francia subì grosse perdite dalla guerra e pretendeva di ottenere le risorse per la ricostruzione

attraverso le riparazioni, mentre in realtà finì con il ricostruirsi con i propri mezzi, data la scarsità dei

pagamenti effettuati. Il recupero dell’Alsazia e della Lorena, regioni ricche di materie prime e

industrializzate, giocò un ruolo positivo, come anche fu utile l’allargamento della capacità produttiva

nell’industria pesante che era stata realizzata durante la guerra.

Il paese fu afflitto anche da una grande instabilità politica, tra il marzo 1924 e il luglio 1926 si

susseguirono 11 diversi governi, ma questo non portò ad un rischio di dittatura (come in Italia), anzi

il paese trovò un uomo capace, Raymond Poincaré, che nel luglio del 1926 stabilizzò il franco,

riportando ordine nella finanza pubblica e nella politica monetaria, senza danni per la democrazia

francese.

Il franco, al contrario della sterlina, venne stabilizzato al tasso corrente, 25,53 franchi per dollaro,

contro i 5,18 franchi prebellici, prendendo semplicemente atto della svalutazione del franco. Questa

fu la chiave del successo Francese, con brillanti esportazioni (aumentate di circa il 50%), e un

notevole aumento del reddito pro capite (oltre a un terzo).

Italia

Le difficoltà dell’Italia furono drammatiche e la fecero finire in vent’anni di dittatura. Furono molti i

fattori che spinsero il paese fuori dalla democrazia:

 La difficile riconversione delle industrie dalla produzione di guerra a quella di pace, che non

poteva essere sostenuto dallo stato, le cui finanze erano già in grosso deficit, con

conseguenti fallimenti di imprese e banche;

 La disoccupazione e l’inflazione, che portò a conflitti sociali;

 La creazione del partito popolare nel 1919, anno del cambiamento del sistema elettorale da

maggioritario a proporzionale, che portò alla vittoria di due partiti, il socialista e il popolare. I

governi minoritari che ne derivarono erano privi della necessaria autorevolezza;

 La nascita nel 1919 del movimento fascista di Benito Mussolini;

 L’atteggiamento poco garantista del re, che non volle bloccare con l’esercito la marcia su

Roma nell’ottobre del 1922, consegnando il potere a Mussolini.

Tutte questi fattori “aiutarono” ma l’ascesa al potere di Mussolini fu dovuta sicuramente alle

condizioni alterate dalla guerra e la mancanza di aiuti internazionali per la ricostruzione.

Mussolini nominò ministro delle finanze Alberto De Stefani, un economista liberista ma vicino al

fascismo, egli continuò il processo di riequilibrio della finanza pubblica, iniziato precedentemente,

fino ad arrivare al pareggio di bilancio. Gli scioperi vennero proibiti (i sindacati vennero aboliti solo

nel 1925) e l’economia si riprese, ma con un trend troppo inflazionistico che fece decide a Mussolini

di sostituire De Stefani con Giuseppe Volpi. Volpi riuscì a farsi condonare quasi interamente i debiti

con GB e Stati Uniti. La sua volontà era inoltre di stabilizzare la lira al tasso di cambio di mercato,

come i francesi, ma Mussolini impose invece la “quota 90”, cioè un tasso di cambio sopravvalutato di

90 lire per sterlina (stesso tasso di cambio di quando Mussolini era andato al potere, in questo modo

nessuno poteva dire che lasciava perdere potere alla lira). Questo portò Keynes a prevedere una

crisi, dovuta alla caduta di esportazioni e investimenti. Tuttavia il regime si consolidò e questo portò

il governo a manovrare facilmente al ribasso prezzi e salari, evitando una crisi di gravi proporzioni

così che nel 1928 si vedeva già una ripresa.

In complesso gli anni Venti furono abbastanza positivi per l’economia italiana, che vide la propria

produzione aumentare in quasi tutti i settori. 29

Stati Uniti

Per gli USA i ruggenti anni Venti furono un decennio di rapida crescita economica e di profondi

cambiamenti socio-culturali. I governi repubblicani diminuirono la tassazione sulle classi di

popolazione più ricche (molto tassate durante la guerra mondiale), e questa manovra insieme a una

politica monetaria espansiva, crearono un clima favorevole agli investimenti, mentre i consumi

vennero promossi da una politica di salari crescenti. Il protagonismo delle grandi imprese americane

in politica e nella società marginalizzò i sindacati e questo contribuì ad aumentare le diseguaglianze.

Il modello di industrializzazione tipico americano basato sulla produzione di massa standardizzata si

affermò soprattutto con l’automobile, la radio, il fonografo, il telefono, il cinema, l’elettricità, la

chimica e il frigorifero. Il settore agricolo perse di peso. Nel 1929 si produssero 5,5 milioni di

autovetture (20 milioni erano già in circolazione), il 60% delle famiglie ne possedeva una, il 40% un

telefono, il 45% una radio e il 70% l’elettricità.

L’estensione del voto alle donne nel 1920 e la domanda di lavoro nelle corporations cambiarono il

ruolo delle donne, che divennero più libere. Furono anche gli anni del proibizionismo, cioè del

divieto di produzione, importazione, vendita e nel 1919 anche di consumo di alcol. Si affermò il jazz e

si diffusero i giochi sportivi. Tutto questo definì quell’American way of life fatta di beni di consumo

durevoli, di libertà di intrapresa e di rottura delle tradizioni.

10) L’Unione Sovietica dalla creazione alla

seconda guerra mondiale

La rivoluzione d’ottobre

La prima guerra mondiale aveva colto la Russia in un periodo iniziale della sua trasformazione

capitalistica, la privatizzazione delle terre seguita dalla legge di Stolypin era solo agli inizi e il decollo

industriale era localizzato solo in poche città e aree dell’immenso territorio. La Russia fu spinta a

partecipare alla grande guerra dalla parte degli alleati sotto la pressione della Francia e anche per

affermare il suo ruolo di grande potenza, ma l’economia e la società russa non erano in grado di

affrontare l’enorme dispendio di risorse della guerra e non erano nemmeno preparati logisticamente

per far fronte alla riorganizzazione e regolamentazione dei mercati imposta dalla guerra. Si rivelò

quindi difficile assicurare le forniture di derrate alimentari a soldati e alle città industriali che

producevano per la guerra, questo portò a uno scontento generalizzato soprattutto perché la

popolazione non era neanche motivata a combattere. Si arrivò così nel gennaio del 1917 alla

deposizione dello zar con una «rivoluzione borghese» che formò un nuovo governo guidato da

Aleksander Kerenskij. Il grave errore del nuovo governo fu di dichiarare la continuazione della

guerra, e quindi in questo caos crescente fu facile per la propaganda socialista di Lenin e del suo

partito bolscevico fare breccia nel popolo, che si organizzò in consigli rivoluzionari (soviet) e che

nell’ottobre del 1917 lanciarono l’attacco al governo borghese con la pretesa del palazzo d’Inverno a

San Pietroburgo. Seguirono quattro anni di guerra civile, durante i quali l’economia si ritrovò in un

regime di “comunismo di guerra”. Si trattava di un ritorno al baratto, infatti la moneta era stata

eliminata, il commercio privato abolito, i lavoratori erano militarizzati e remunerati in natura con

buoni d’acquisto a livelli di sussistenza, la produzione agricola veniva requisita, le industrie venivano

nazionalizzate e i servizi essenziali erano forniti gratuitamente a un livello minimo. Fu così che i

risultati produttivi furono catastrofici, la produzione industriale nel 1920 cadde ad 1/5 di quella che

era stata nel 1913, la produzione agricola a 2/3 mentre esportazioni e importazioni scomparvero 30

quasi del tutto. Il partito sovietico (era il nuovo partito bolscevico) e i suoi sostenitori riuscirono ad

impadronirsi di tutto il paese, vincendo la guerra civile.

La Nep

Lenin decise all’inizio del 1921 di varare la Nuova Politica Economica (Nep), che pose fine al

razionamento e alle requisizioni, cercando di combinare il mercato con elementi di socialismo. La

moneta venne reintrodotta, commercio e industria vennero liberalizzati per le piccole imprese al di

sotto di 20 occupati, ma fu soprattutto la sorprendente liberalizzazione dell’agricoltura a denotare la

Nep finalizzata a indurre gli agricoltori a produrre di più. Le grandi imprese industriali nazionalizzate,

quelle che vennero ritenute strategiche (le industrie militari, i trasporti, la finanza, ecc.), venivano

sottoposte a decisioni centralizzate, mentre alle altre veniva lasciata una certa autonomia, solo la

loro strategia generale veniva determinata dal consiglio supremo dell’economia nazionale che era

già in funzione durante il periodo del comunismo di guerra. La Nep può essere considerata il primo

esperimento di economia mista, in cui lo Stato svolgeva una funzione programmatrice generale e

gestiva una serie di imprese nazionalizzate. Sul piano produttivo ottenne dei risultati positivi per

permettere la ripresa dell’economia ma presentava anche molti difetti che portarono a

insoddisfazioni e dop

Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
64 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/12 Storia economica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Andrea.DF di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia economica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Pinchera Valeria.