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La società feudale

Alla testa era l'Imperatore con ruolo prettamente rappresentativo e religioso; seguiva lo Shogun, un capo assoluto che deteneva tutti i poteri del governo centrale, in una sorta di "feudalesimo centralizzato". La sua legge prevedeva la "chiusura del paese", per cui nessuno poteva lasciare l'arcipelago pena la condanna a morte; come pure vietava agli stranieri di visitare o risiedere in Giappone eccezion fatta per olandesi e cinesi che esercitavano un commercio estremamente ridotto a Nagasaki. La carica di shogun era ereditaria e la sua famiglia possedeva un quarto delle terre, mentre il resto apparteneva a un ristretto numero di signori feudali, i Daimyo, titolari dei 200 feudi (ban) in cui il paese era diviso. Oltre ad amministrare le terre dello shogun essi erano responsabili del potere locale; e, in cambio, godevano il privilegio di riscuotere un tributo annuo, pari al 50% del raccolto in riso, capace di assicurare il loro.

Il mantenimento e quello del seguito. Gerarchicamente dipendenti da questi erano i Samurai (guerrieri): antichi contadini, che avevano giurato fedeltà in guerra come in pace e vivevano delle consegne di riso cui i contadini erano tenuti nei confronti dei daimyo.

Alla larga base della piramide si collocavano i contadini, i pescatori e gli artigiani. Ai contadini era vietato abbandonare la terra, pur non essendo servi, essi infatti proprietari del piccolo lotto che coltivavano, erano stretti in una sorta di comunità di villaggio su cui ricadeva la responsabilità della coltivazione della terra secondo il tradizionale sistema dei tre campi. I mercanti (chonin) gestivano il meccanismo degli scambi campagna – città, ottenendo denaro in cambio di riso dai daimyo.

La popolazione era rimasta stazionaria per oltre 150 anni e per l’80% era rappresentata da contadini. Tuttavia all’arretratezza economica non corrisponde una società di tipo tradizionale, ma

Formattazione del testo

Una società progreditacaratterizzata da una vigorosa cultura urbana nelle grandi città come Edo, Kyoto e Osaka.

LA RIVOLUZIONE MEIJI

Tutto cominciò nel 1850 con una riforma religiosa: il ritorno allo shintoismo che era stato offuscato dal buddismo sotto l'influenza cinese. Di qui la credenza cieca nella natura divina dell'imperatore con il conseguente indebolimento del sistema feudale che poggiava sullo shogun. Su un altro fronte l'aumento della popolazione, la conseguente urbanizzazione e la concentrazione del riso verso le città. Dalla situazione venuta sia creare la classe emergente fu, dunque, quella dei mercanti che riuscì a realizzare lauti guadagni e, per coincidenza di interessi, si avvicinò ai samurai. Nel 1868 le truppe avversarie allo shogun si impadronirono del palazzo di Kyoto e con decreto ministeriale misero fine allo shogunato, a conferma di ciò anche la capitale si spostò a Tokio. Il nuovo governo

(Meiji) era interessato più alla grandezza nazionale che al progresso sociale. Alla debolezza interna si accompagnò l'intervento esterno degli Stati Uniti che desiderosi di conquistare il mercato giapponese, imposero allo shogun l'apertura dei porti al commercio internazionale e la stipula di numerosi trattati di commercio. Sicché la sofferta apertura del governo agli occidentali portò la restaurazione del potere imperiale; lo shogun non poté fare altro che rimettere il potere nelle mani dell'imperatore. La rivoluzione Meiji mise a nudo le debolezze del sistema economico nipponico. Da un lato si prese coscienza dei profitti che si potevano trarre commercialmente con l'Occidente; dall'altro, per evitare una possibile colonizzazione occorreva armare un esercito e una flotta: bisognava creare delle industrie e esportare, onde importare ciò che era necessario all'espansione economica e trasformare l'agricoltura.

abolendo la feudalità. L'ABOLIZIONE DELLA FEUDALITÀ L'abolizione della feudalità fu il primo atto del nuovo governo Meiji: - fu proclamata la libertà del lavoro e l'abolizione dei diritti feudali; caduta la distinzione tra classi tutti furono uguali di fronte alla legge; - le terre dei signori feudali furono restituite ai contadini e le altre furono accatastate; sicché il contadino anziché versare la metà del raccolto al signore, fu obbligato a pagare allo Stato il 3% del valore della terra, in denaro, a titolo d'imposta fondiaria; - la perdita dei privilegi da parte dei daimyo e dei samurai, ossia la soppressione dei diritti feudali, comportò il pagamento di una indennità; una sorta di pensione che fu commisurata ad un reddito pari alla metà del valore dei diritti perduti. I risultati furono rivoluzionari: i destinatari degli indennizzi depositarono i titoli in banca e ottennero in cambio le azioni, le quali,quotate in borsa, ben presto accrebbero il potere economico dei loro possessori che si trasformarono da padroni della terra a padroni del denaro. L'aumento sostenuto della popolazione offrì all'industria nascente abbondante mano d'opera a buon mercato. Una serie di industrie nuove venne alla ribalta negli ultimi venti anni del 1800; create dallo Stato, passarono nelle mani dei privati. L'agricoltura ebbe livelli di produttività tali da realizzare i surplus necessari per dare l'avvio al processo di industrializzazione.

IL MODELLO INDUSTRIALE

Il decollo dell'economia fu pilotato dallo sviluppo delle ferrovie, delle costruzioni navali, dell'industria tessile (cotone e seta), del carbone e delle fonderie. Una caratteristica assai peculiare è la sopravvivenza di piccole imprese accanto alle grandi concentrazioni (zaibatsu), divise da un profondo divario in termini di produttività. Infatti, mentre le grandi imprese potettero

dotarsi di maggiori attrezzature e di tecnologie avanzate, grazie alle maggiori possibilità di accesso ai finanziamenti; le altre dovettero accontentarsi di macchine di seconda mano, scartate dalle prime o di macchinari a buon mercato, utilizzando in modo massiccio la forza lavoro, con enormi differenze di salari tra impresa e impresa. I maggiori salari nelle grandi imprese trovarono giustificazione nella maggiore specializzazione e nel migliore addestramento della mano d'opera e nel fatto che esse agivano in regime di monopolio. L'elasticità dell'offerta di lavoro fece mantenere l'aumento globale dei salari ad un livello più basso di quello della produttività. Le novità più importanti furono la creazione delle zaibatsu e la garanzia dell'occupazione che tolse alla manodopera ogni incentivo a combattere le innovazioni. Fu intrapresa una riforma monetaria e creditizia; e, oltre a disciplinarel’attività di emissione, fu creata nel 1882una banca centrale (Banca del Giappone) e si emanarono norme destinate a regolare il funzionamento di unsistema bancario privato. Il principale datore di lavoro delle persone istruite fu lo Stato che, con i suoi salari digran lunga superiori, vanificava le attrattive del settore privato. Le chiavi del successo: - lo Stato intervenne direttamente sotto varie forme: la creazione di imprese industriali, la richiesta diprestiti esteri, un’accorta politica fiscale, una sapiente utilizzazione dell’inflazione monetaria; - successivamente provvide all’acquisto di materiale straniero, introdusse nel paese nuove tecniche etecnici occidentali, fece propria l’innovazione senza sottomettere il paese alla penetrazione diretta deicapitalisti stranieri; - infine si fece in modo che il popolo giapponese non conoscesse il livello dei consumi dei paesiindustrializzati e chiedesse troppo in fretta un elevamento del proprio tenore.

Il modello di formazione del capitale è stato così descritto dagli economisti Ohkawa e Rosovsky:

  • Il livello dell'investimento pubblico fu in generale superiore a quello dell'investimento produttivo privato.
  • L'investimento nelle costruzioni ebbe un peso maggiore di quello dei beni durevoli di produzione.
  • Nella loro maggioranza gli investimenti furono connessi all'uso di tecniche tradizionali, senza pertanto incorporare progressi legati all'importazione di tecnologie.

Sarà solo tra il 1911 e il 1917 che la formazione interna del capitale segnerà un brusco cambiamento nella sua composizione: la quota maggiore di risorse fu assorbita dagli investimenti privati in beni durevoli di produzione.

Gli anni '80 del 1800 rivelarono una notevole stabilità del modello dinamico. Successivamente il saggio di crescita conobbe una serie di movimenti ciclici. La prima onda corrisponde ai saggi di crescita sostenuti fino al 1895;

un secondo ciclo ha inizio durante la guerra russo-giapponese, comprende la grande espansione corrispondente agli anni del primo conflitto mondiale e si chiude con il terzo decennio del secolo con saggi di crescita alquanto modesti. Per quanto riguarda i tipi di investimento bisogna dire che quello privato crebbe più in fretta di quello pubblico nei periodi di più rapida espansione. Il successo del Giappone risiede nella capacità di ammodernarsi senza perdere il senso della propria identità nazionale.

GLI ANNI TRA LE DUE GUERRE (1914 - 1940)

Gli anni compresi tra la fine della guerra russo-giapponese e la conclusione del primo conflitto mondiale rappresentano per il Giappone un periodo di rapido sviluppo. Al primo conflitto mondiale partecipò marginalmente alle operazioni militari e non ebbe danni materiali, anzi, fu stimolato a produrre succedanei dei beni d’importazione e strappò una fetta del mercato dei tessili ed altri prodotti a basso prezzo.

Cina e l'India a danno delle esportazioni di Gran Bretagna, Germania e USA. L'industria tessile, metallurgica e del carbone ebbero un notevole slancio. Il Giappone non sfuggì alla recessione mondiale del 1920-21 e alla crisi del 1929 che mise in ginocchio la sua economia; la morsa stretta intorno alla sua economia spinse alla conquista di nuovi mercati esteri. Le spese militari crebbero creando malcontento di cui se ne approfittò l'esercito prendendo in mano il potere politico. Il governo militare abbandonò il sistema aureo e propose una politica di reflazione (moderata nuova inflazione successiva ad una fase di deflazione resa necessaria o per aver spinto quest'ultima troppo in là oppure da una ripresa dell'attività economica che richiede una maggiore quantità di circolante) ottenendo una ripresa economica che porterà il paese ad una situazione di totale efficienza alla vigilia della seconda guerra mondiale.

LA CINA. LO

SVILUPPO DELLE ECONOMIE DI PIANO DALLA CINA TRADIZIONALE ALLA CINA MODERNA (1850 -1966) MODERNIZZAZIONE PARZIALE E ROTTURA DEGLI EQUILIBRI TRADIZIONALI Dopo l'Urss e il Canada, la Cina è il terzo paese al mondo per ampiezza territoriale: da nord a sud copre una distanza di oltre 5.000 chilometri. La sua popolazione, che supera il miliardo di abitanti, rappresenta circa un quinto dell'intera popolazione mondiale. La Cina ha una storia millenaria, caratterizzata da una forte tradizione agricola e da un sistema di governo centralizzato. Tuttavia, a partire dalla metà del XIX secolo, il paese ha subito una serie di trasformazioni che hanno portato alla modernizzazione dell'economia e alla rottura degli equilibri tradizionali. Durante il periodo compreso tra il 1850 e il 1966, la Cina ha attraversato una serie di eventi che hanno segnato profondamente la sua storia economica. Tra questi eventi, possiamo citare la guerra dell'oppio, la rivolta dei Taiping, la guerra civile e la rivoluzione culturale. La guerra dell'oppio, che ebbe luogo tra il 1839 e il 1842, fu un conflitto tra la Cina e il Regno Unito. La Cina, che era un importante produttore di tè, aveva un saldo commerciale positivo con l'Impero britannico. Tuttavia, il Regno Unito voleva bilanciare il commercio e decise di introdurre l'oppio in Cina. Questa decisione portò a una dipendenza sempre maggiore della popolazione cinese dall'oppio e a una crisi economica. La rivolta dei Taiping, che ebbe luogo tra il 1850 e il 1864, fu una ribellione contro la dinastia Qing. Il leader della rivolta, Hong Xiuquan, si proclamò fratello minore di Gesù Cristo e cercò di instaurare un nuovo ordine sociale e politico in Cina. La rivolta causò la morte di milioni di persone e portò a una grave crisi economica. La guerra civile, che ebbe luogo tra il 1927 e il 1949, fu un conflitto tra il Partito Comunista Cinese (PCC) e il Kuomintang (KMT). Il PCC, guidato da Mao Zedong, cercava di rovesciare il governo del KMT e instaurare un regime comunista in Cina. La guerra civile portò a una grave crisi economica e a una divisione del paese. La rivoluzione culturale, che ebbe luogo tra il 1966 e il 1976, fu un movimento politico e sociale promosso da Mao Zedong. L'obiettivo della rivoluzione culturale era quello di eliminare gli elementi borghesi e capitalistiche dalla società cinese e di promuovere l'ideologia comunista. Tuttavia, la rivoluzione culturale portò a una grave crisi economica e a una distruzione di gran parte del patrimonio culturale cinese. In conclusione, il periodo compreso tra il 1850 e il 1966 è stato caratterizzato da una serie di eventi che hanno portato alla modernizzazione parziale dell'economia cinese e alla rottura degli equilibri tradizionali. Questi eventi hanno avuto un impatto significativo sulla storia economica della Cina e hanno contribuito a plasmare il paese che conosciamo oggi.
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Publisher
A.A. 2011-2012
56 pagine
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SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/12 Storia economica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher trick-master di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia economica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Catania o del prof Ventura Domenico.