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STRAPPI PREVENTIVI

Simona Rinaldi(Riassunto)1. INUSUALI CONVERGENZE TRA LONGHI E BARBINel 1957 il maggior critico d’arte italiano del secolo celebra la prima esposizione didipinti murali staccati allestita a Firenze, con un articolo dove la traccia storica sulrestauro della pittura si accompagna alla formulazione dei provvedimenti a suo avvisopiù adeguati per la conservazione del patrimonio artistico italiano(1). Nell’articolo diRoberto Longhi passa-to e futuro sono colti in stringente continuità grazie ai risultatiottenuti nel presente dall’intensa attività di distacco dei dipinti murali, ritenuta unasoluzione inevitabile dopo gli sconquassi della guerra, ma agli occhi di Longhi daestendere e rendere sistematica a tutti i principali cicli pittorici murali come misurapreventiva per vederne stabilmente assicurata la salvaguardia.La preoccupazione per la salvezza del patrimonio culturale sembra fuori tempo in unanazione da poco uscita.dall'incubo dei bombardamenti, eppure l'allarme di Longhi trova un'eco altrettanto autorevole quanto insolita in un contributo di Cesare Brandi, in consonanza con lo studioso dopo un decennio di polemiche. Le divergenze che caratterizzano i rapporti tra Longhi e Brandi dal 1948 hanno monopolizzato sino ad anni recenti le ricognizioni storiche, tralasciando la loro durata, alla fine piuttosto circoscritta, prima e dopo la quale i due studiosi condividono assai strettamente l'interesse per la conservazione delle opere d'arte. Tale rinnovata consonanza suscita una rilettura delle posizioni espresse dai due studiosi, anche in relazione ai recenti contributi di Laurence Kanter(2) e di Caterina Bon Valsassina (3), per ricondurle al contesto storico degli anni della ricostruzione in Italia e al clima culturale che favorì il sistematico ricorso al distacco dei dipinti murali, esaminandone al contempo i diversi materiali e le differenti tecniche impiegate per.

Eseguirli. Gli "estrattisti" di Roberto Longhi

L'occasione della Mostra di affreschi staccati allestita per la prima volta da Ugo Procacci nel 1957 a Firenze, viene colta da Longhi per redigere una breve ma densa delle stacchi che a suo avviso prende l'avvio dal ferraresericognizione sulla sto-ria Antonio Contri "già sulla fine del Seicento o nei primi del Settecento tra Ferrara, Cremona, Mantova" (4). Se degli stacchi di Contri Longhi non sa indicarne qualcuno sopravvissuto, ne caldeggia tuttavia la tecnica con il conforto dell'ammirazione espressa dal Lanzi, del quale esalta il punto di vista intravedendo tra le righe della Storia pittorica, "un'ipotesi di lavoro" sull'impiego degli stacchi nel futuro della tutela artistica. Ciò che consente al Lanzi (come a Longhi) di sostenere la funzione di salvaguardia degli stacchi, è la raffinata tecnica raggiunta sullo scorcio del XVIII secolo da Giacomo Succi, che

riceve dal pontefice la designazione di Estrattista. Comprendendo perfettamente le motivazioni e le concezioni alla base di tale concessione (perché limitasse la sua attività) (5), Longhi non sembra cogliere la profonda cesura culturale con l'ampia diffusione ottocentesca, a partire dal territorio lombardo. Omette infatti la citazione del fondamentale saggio di Cicognara che gli avrebbe consentito di disegnare il percorso dello stacco nelle regioni pontificie differenziandolo nettamente dall'attività del Barezzi e del Gallizioli (6), per saltare subito al bergamasco Giovanni Secco Suardo, autore di quel capolavoro di scienza artigiana che è, ancor oggi insuperato, il suo Restauratore dei dipinti. Pur individuando una profonda frattura culturale tra i sostenitori e gli oppositori degli si avvede della natura sostanzialmente compilatoria dell'opera stacchi, lo studioso non del Secco Suardo, che si rifà.alla manualistica francese precedente alla metà dell'Ottocento. Il rifiuto degli stacchi viene infatti imputato da Longhi "al nostro ritardato romanticismo", addebitando la concezione italiana al gusto tipicamente ruskiniano per le rovine. Contrapponendo il ruinismo inglese all'interventismo francese, Longhi trascura la via imboccata in Italia (sin dal Seicento) dagli eruditi che guidano i restauri eseguiti dagli artisti, come è storicamente documentato per Bellori con Maratti, Fea con Palmaroli, Cavalcaselle con Botti. Questa tradizione erudita del restauro pittorico si origina e alberga prevalentemente nello Stato Pontificio, contagiando a fine Settecento le Gallerie fiorentine (Sampieri guidato da Puccini) e sinutre in primo luogo di una accorta selezione di materiali e metodi di intervento del tutto tradizionali, al fine di proteggere, preservare e custodire il patrimonio artistico e eredità. Il rifiuto dello stacco appare.

abolita (10). La mancata assimilazione delle finalità "di differenziazione storica tra stacco e strappo, così salvare da certa ruina" del Secco Suardo ribadite nel breve excursus del Procacci a premessa del catalogo del 1957 (11), conducono a tralasciare pregi e difetti delle diverse tecniche, forse perché non chiaramente individuati, ma certamente perché sottovalutati a fronte di una vulgata storica sui restauri valutati positivamente o negativamente a seconda della fama degli operatori, come testimoniano i riferimenti sempre negativi agli interventi eseguiti da Domenico Fiscali sottoposti ai caustici Rilevando l'assenza negli anni della prima guerra giudizi di Adolfo Venturi (12).

mondiale di "un piano organico di salvazione del nostro grande patrimonio murale" Suardo l'attività della (13), Longhi giustamente correlava alla lezione del Secco bottega bergamasca degli Steffanoni in Catalogna, dove il distacco di

Interi cicli pittorici medievali condusse alla nascita del «più bel museo romanico del mondo» (14). Sbeffeggiando «soprintendenti in sombrero a larghe tese pronti a rispondervi con aria ispirata che gli affreschi “debbono morire sul posto”, neanche fossero soldati in trincea» (15), Longhi ricorda la sua proposta di staccare gli affreschi di Mezzaratta, avanzata sin dal 1934. Anche nell’imminente pericolo del secondo conflitto mondiale venne a mancare, secondo lo studioso, «un piano d’urgenza per il distacco degli affreschi più famosi» come da lui proposto. Di fronte all’infuriare della guerra vengono rievocati il salvataggio dell’affresco di Piero della Francesca a Rimini e la perdita del Mantegna a Padova, degli affreschi riminesi di S. Maria in Porto fuori a Ravenna e del Camposanto pisano. E proprio il «salvataggio dei lacerti residui del Camposanto» (16) diviene l’occasione per il

confronto tra la tradizione lombarda dello strappo e la pratica toscana adottata da Leone Lorenzetti e da Leonetto Tintori: nel citare "le squadre del nord dirette dal Pellicioli per conto del nuovo Istituto Centrale di Roma" e "l'auspicata, se anche non raggiunta, unificazione dei metodi" (17), Longhi non solo ricorda a tutti l'originaria designazione di Mauro Pellicioli quale restauratore capo dell'ICR al momento della sua fondazione nel 1939, ma anche i compiti statutari per i quali tale istituto venne fondato e alla cui attività partecipò attivamente come membro del Consiglio tecnico (18). Ma se con l'entrata in guerra la Direzione generale delle Arti aveva risolto il problema della protezione del patrimonio culturale recuperando gli stessi provvedimenti utilizzati nel corso del primo conflitto mondiale (19), nel dopoguerra il drammatico bilancio risultò meno disastroso per le opere mobili rispetto alla distruzione dei

monumenti colpiti impietosa-mente dai bombardamenti. Il ruolo diLonghi nelle numerose campagne di restauro del dopoguerra è in coerente continuitàcon le esperienze precedenti, e si mantiene in costante aggiornamento anche dopol'uscita dal Consiglio tecnico dell'ICR nel 1948, pur risultando assai megliodocumentato dalla corrispondenza privata (20), piuttosto che dai contributi pubblicati.Il volume delle sue opere complete che li raccoglie si apre con l'articolo Buongoverno:una situazione grave, che fu all'origine della polemica nel 1948 con Brandi e del suoallontanamento dall'ICR, per la discussione del quale si rimanda al recente saggio diCaterina Bon, evidenziando soltanto la fiducia forse eccessiva di Longhi nel riuscire ariformare gli uffici pubblici, risultando alla fine troppo distante dalla realtà dellapolitica che stava invece sopravanzando ogni buona intenzione di riforma. Dalla letturadelle minute del Buongoverno appare

chiara l'intenzione di infliggere un violento scossone alla Direzione Generale perché sostituisse alle disparate direttive dei vari funzionari che governavano personalisticamente le Soprintendenze, il rispetto delle norme di tutela, assicurando l'efficacia dell'azione sistematica di riordino, catalogazione e conservazione del patrimonio culturale nazionale. Di conserva anche l'Istituto Centrale del Restauro avrebbe dovuto assumere un'impronta diversa, essenzialmente tecnica, da affidare alle competenze collegiali di una triplice direzione dei laboratori (di restauro, di indagini scientifiche, di studio sui materiali) coordinati da un Consiglio tecnico in grado di indirizzarne l'attività, unificando la gestione dei restauri in tutta Italia (21). La riforma dell'ICR in realtà era già stata in qualche misura prefigurata nella Lettera a Giuliano (Briganti) pubblicata nel 1944, dove Longhi auspicava «un Consiglio

n sistema di comunicazione, in grado di trasmettere e ricevere informazioni in tempo reale. Questo sistema permette di condividere dati, documenti e risorse tra i vari individui, facilitando la collaborazione e aumentando l'efficienza del lavoro di gruppo. Inoltre, grazie alla connessione a Internet, è possibile accedere a una vasta quantità di informazioni e servizi online, rendendo il lavoro ancora più completo e versatile.
Dettagli
Publisher
A.A. 2021-2022
24 pagine
SSD Ingegneria civile e Architettura ICAR/19 Restauro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher marinocarmine di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia e teoria del restauro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Ciancabilla Luca.