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5. LA COMPOSIZIONE DEL PAESAGGIO

I primi fotografi perseguirono i valori estetici visivi derivati dai generi pittorici insegnati

nelle accademie d’arte, tra cui la pittura di paesaggio. In questo ambito si pose la

distinzione tra pittoresco e sublime, importante ancora oggi per definire il bello nelle

immagini fotografiche di paesaggio. Il pittoresco ambisce a delle vedute che siano scene

idealizzate della campagna come natura; versione che anticipa le moderne convenzioni

dell’industria del turismo nel mostrare, attraverso fotografie, cartoline, guide turistiche,

il punto esatto da cui guardare per poter consumare la bellezza di un luogo pittoresco

appunto, già visto da qualcun altro. I dipinti di Claude Lorrain ad esempio

riproducevano le zone intorno a Roma e Napoli, combinando le parti migliori di quei

luoghi in un singolo paesaggio virtuale, in una composizione paesaggistica idealizzata. Il

sublime al contrario è uno spazio associato al rischio, al pericolo, un luogo sinistro,

spaventoso, intriso di un’aura di minaccia. I dipinti di Salvator Rosa, per esempio,

presentano alberi e rocce incombenti, sporgenti su strapiombi, invocando la natura

come qualcosa di distante dalla quiete che ha in sé il potenziale di una forza totalmente

distruttiva. Anche le famose scene di mare dipinte da William Turner sono sublimi nel

rappresentare la natura colta in tutta la sua furia e potenza. Anche Marco Ricci adottò

come tecnica quella di dipingere a guazzo su cuoio conciato scuro: grazie al colore scuro

del supporto riuscì a dare il massimo rilievo alla nefasta tempesta. La spaventosa

burrasca e il minaccioso destino incombente offrono al pubblico un’esperienza

ansiogena ma piacevole, da cui non si viene completamente schiacciati ma si ha la forza

di sopportarla e contenerla.

Oggi, dal momento che la città è l’ambiente più comune per la popolazione umana

rispetto alla campagna, il sublime urbano appare più familiare. Ogni paesaggio

cittadino in effetti offre spazi inesauribili per angoscia e paura: strade buie, folla, caos,

ignoto. Le fotografie di guerra mostrano spesso paesaggi urbani devastati, evocando il

sublime orrore della distruzione assoluta. Tuttavia da un punto di vista turistico le città

sono considerate anche dei luoghi pittoreschi. È vero infatti che i medesimi elementi

possono essere impiegati per evocare tanto il pittoresco quanto il sublime: il cielo è

pittoresco quando è azzurro, costellato di nuvole bianche ma esso ci sembrerà sublime

se carico di nuvole minacciose, scosso da tuoni e saette. Così i pittori e i fotografi

scelgono di rappresentare gli elementi per produrre diverse sensazioni e stati d’animo in

chi guarda. Anche gli animali possono apparire sublimi o pittoreschi. Quelli domestici

vengono di solito mostrati in una dimensione pittoresca così come quelli selvatici,

ritratti nelle cartoline (i coccodrilli ad esempio possono apparire belli da vedere) ma

diventano sublimi oggetti di paura non appena mostrano una minaccia per l’uomo.

Il paesaggio è un insieme di significati sociali e piscologici dati dalla disposizione degli

elementi al suo interno, dall’illuminazione e dal senso dello spazio.

Con l’invenzione della fotografia, il paesaggio o alti elementi potevano essere indagati

fotograficamente appunto. La visione fotografica si distingueva dagli ideali del discorso

estetico nella pittura di paesaggio, dove il bello e il sublime restavano criteri dominanti.

La visione fotografica produceva l’idea di un puro fatto, faceva emergere la verità e

offriva una visione fedele priva di soggettività. L’idea di una visione fotografica prese

piede in quanto valore descrittivo di una pura fotografia. Le prime spedizioni

fotografiche degli europei nelle colonie e degli americani verso luoghi sconosciuti

all’interno del loro continente nascevano da una conoscenza visuale topografica, intesa

come ricognizione sul territorio, che non aveva nulla a che fare con il piacere estetico e

il bello ma era un’arte di pura descrizione, una registrazione, un documento. Anche

negli anni ’70 i fotografi americani Robert Adams, Lewis Baltz, Stephen Shore, Joe Deal

New Topographics)

e altri (detti volsero le spalle a ogni piacere estetico fotografando il

territorio, alla ricerca di una totale neutralità.

Il fotografo inglese Francis Frith fu uno dei primi a diventare famoso per le sue

fotografie dell’Egitto e della Palestina negli anni ’50 dell’800. Vi si recò diverse volte per

fissare negativi su lastre di vetro e realizzò stampe all’albume destinate a essere

pubblicate sotto forma di libri. Egli impostava la scena con un passaggio in campo

lungo e una veduta in dettaglio o più ravvicinata. Alcune note archeologiche ed

etnografiche accompagnavano le fotografie per rendere più agevole la collocazione delle

immagini all’interno di un campo di descrizione visiva e di conoscenza culturale, per

vedere il vero Egitto in una serie di vedute fotografiche. La vista fotografica di un

paesaggio quindi andava intesa come un’osservazione in termini scientifici, come fatto,

più che come un qualsiasi effetto pittorico specificatamente estetico. Frith enfatizzò la

veridicità delle due fotografie affermando che esse erano indipendenti da qualunque

velleità o effetto artistico, ma era comunque difficile resistere alla tentazione di produrre

una scena pittoresca, anche perché la fotografia introduceva un nuovo tipo di piacere

estetico all’interno del genere del paesaggio: il dettaglio ottico, l’alta risoluzione

dell’informazione contenuta nel dettaglio fotografico. Il pittoresco e il sublime intesi

come regole estetiche per composizioni paesaggistiche, non sparirono ma con la

fotografia andavano a coincidere con i valori di una specifica visione fotografica.

Nonostante molti fotografi abbiano cercato di liberarsi dal velo del bello, per mostrare

come l’idealizzazione del soggetto reprime, ignora o distorce le nostre relazioni sociali

con l’ambiente reale, un’immagine bella e pittoresca continua ad esercitare il suo

fascino in chi guarda. Il piacere fa presa attraverso il modo in cui la composizione

dell’immagine si pone in relazione con chi guarda. Una buona composizione farà in

modo che l’occhio dello spettatore sia trattenuto all’interno dell’inquadratura grazie

all’armonia delle sue parti: ogni cosa deve essere collocata nel posto giusto, organizzata

in maniera precisa, composta e controllata. Una buna composizione elargisce a chi

guarda una sorta di soddisfazione e di piacere che deriva dall’esperienza del bello

vissuta dallo spettatore. Secondo Freud, ciò si spiega con il fatto che l’armonia e

l’organizzazione dell’immagine si identificano con l’ordine e l’armonia a cui tende l’Io, e

soddisfa quindi il piacere che l’Io prova nel riconoscimento di un ordine e di un’unità.

Spesso il paesaggio viene invocato all’interno di discorsi nazionalistici, nell’angoscia di

classe – espressa come paura del disordine sociale – o nella lotta per i diritti di

proprietà, in dibattiti ecologici e durante le guerre. E per questo spesso il paesaggio

viene associato a uno stato d’animo contemplativo prossimo alla malinconia, un piacere

o una gratificazione che deriva dalla brama di qualcosa di passato o perduto. Nel corso

dei secoli ad esempio la scena pittoresca pastorale si è offerta come soluzione al disagio

della civiltà. Secondo Edmund Burke la categoria del bello è connessa alla nozione di

società: il pittoresco per lui suggerisce l’armonizzazione delle passioni individuali con

un tutto (la società), mentre il sublime è connesso a sentimenti anti-sociali o asociali ed

evoca passioni che isolano gli individui in paurosi stati di autoconservazione. Ecco

perché l’avanguardia è spesso stata avvicinata all’estetica del sublime, proprio per

evocare l’impensabile nella società. Tuttavia non è possibile distinguere le categorie del

pittoresco e del sublime come buona o cattiva, reazionaria o progressista, dato che il

piacere che deriva da queste forme dipende dai particolari obiettivi strategici dell’opera.

A metà degli anni ’40 dell’800 Talbot insieme al pittore Richard Jones, lavorò alla

possibilità di unire insieme più fotogrammi in modo da creare un panoramica, detta poi

“stampa congiunta”, una veduta panoramica appunto ottenuta da negativi cartacei.

Una macchina fotografica appositamente progettata per panoramiche era stata

inventata già nel 1847 e l’idea di una scena paesaggistica spettacolare (già resa

familiare dai diorama di Daguerre) divenne una forma comune di paesaggio fotografico,

che spesso mostrava mete turistiche e viste celebri. Vedute paesaggistiche che creavano

un enorme spettacolo, sublime e pittoresco allo stesso tempo; colui che guarda si trova

assorbito tanto nell’impresa tecnologica della rappresentazione quanto nella scena che

può ammirare, che provoca piacere e spinge a un’identificazione con lo spazio in sé.

Dunque, l’obiettivo del bello – cercare un oggetto ideale e una forma che lo contenga – è

qualcosa che non si riesce mai a conseguire definitivamente. Il pittoresco tenta di

assoggettarlo e padroneggiarlo (con la natura ad esempio), il sublime invece evidenzia

l’impossibilità di questo assoggettamento. La relazione dello spettatore con queste

diverse tendenze dipende dal modo in cui le scene sono state ritratte, dal contesto

culturale in cui vengono viste e dalla particolare disposizione dello spettatore nei

confronti di quei sentimenti di compostezza o paura. Anche oggi ogni fotografo di

paesaggio deve affrontare questi principi estetici, persino quando vuole semplicemente

descrivere uno spazio.

6. L’OGGETTO DELLA NATURA MORTA

La natura morta è un genere tanto pervasivo quanto molto spesso screditato. Nella sua

storia dell’arte europea sono gli oggetti domestici dipinti su una tavola a caratterizzare il

genere, rappresentazioni di cibo o fiori; ma la fotografia vi ha aggiunto qualcosa di

nuovo: la rappresentazione dell’oggetto industriale, compresa la fotografia stessa.

Basata essenzialmente sugli oggetti, la natura morta fotografica si presta bene alla

rappresentazione dei prodotti ed è quindi riuscita a trovare in fretta un’applicazione e

una funzione importanti all’interno dell’industria pubblicitaria. Tuttavia essa viene

ancora trascurata dalla critica e dal pubblico che non ne riconosce il virtuosismo

tecnico.

La pubblicità si basa sulle foto degli oggetti mercificati, concepite per mostrare il

product shot,

prodotto di base (pack o cioè fotografia

Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
23 pagine
2 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Pegasus.21 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia e teoria dei media e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Parisi Francesco.