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FUA (Federaciòn Universitaria Argentina, dove sfidarono il governo e la reazione dei
gruppi nazionalisti, a partiti, che ripresero a farsi sentire e a negoziare alleanze
necessarie per creare un fronte coeso di radicali, socialisti, comunisti e perfino
conservatori decisi ad ottenere la resa del regime e la caduta di Peron. Alle proteste si
unirono anche le associazioni rurali, degli industriali e dei commercianti che non
credevano più nella volontà di Peron di conciliare capitale e lavoro. Il 19 settembre per
le strade della capitale sfilò la marcia della Costituzione e della Libertà che reclamava
l’immediato ritorno dei militari nelle caserme, la consegna del potere alla Corte
Suprema in attesa di libere elezioni e la testa di Peron. Fu allora che Peron spinse al
culmine la sua politica sociale, che accelerò i tempi per trasformare la CGT nell’unico
sindacato riconosciuto dallo Stato. Il 17 ottobre 1945, il popolo lavoratore scese in
piazza a salvare Peron.
I dirigenti operai, sconcerti dalle dimissioni di Peron del 9 ottobre e dal timore che le
riforme sociali fossero cancellate, iniziarono a mobilitare i lavoratori in sua difesa. La
direzione della CGT indusse uno sciopero per il 18 ottobre 1945, ma già dalla mattina
del 17 ottobre migliaia di lavoratori si riversarono nelle piazze della capitale. Il 17
ottobre 1945, passò alla storia argentina come l’architrave simbolica del peronismo,
oltre che festa nazionale e giorno della lealtà dei lavoratori verso il loro leader.
Cominciò una lunga e tesa campagna elettorale in vista dell’elezioni fissate per il 24
febbraio 1946. Fu in questo periodo che Peron sposò Eva Duarte, di umili origini e
dall’aspetto etereo si trasformerà nell’astro più luminoso e controverso del peronismo.
Ben pochi avrebbero scommesso sulla vittoria di Peron all’elezioni convinti della troppo
sproporzione a suo svantaggio. L’opposizione si affrettò a formare un fronte chiamato
Uniòn Democratica (UD), nome scelto per sottolineare che il punto chiave della sua
campagna sarebbe stata la difesa della democrazia contro lo spettro fascista
impersonato da Peron. L’UD s’avvaleva dell’aperto sostegno, sia politico sia finanziario
dei più potenti gruppi economici e della stampa; inoltre aveva dalla sua l’influente e
tutt’altro che discreto appoggio dell’amministrazione Truman. All’inizio della
campagna, Peron poteva sembrare fragile: non aveva un partito, la stampa gli era
contro, i gruppi economici e gli USA non vedevano l’ora di liberarsene. In realtà, le
cose era diverse: Peron poteva contare sull’appoggio dei sindacati, dell’esercito e della
Chiesa cattolica. Per vincere le elezioni serviva un partito e visti i tempi stretti era
difficile che nascesse un suo partito, così a candidarlo furono due partiti: il partito
laborista, fondato da un gruppo di dirigenti sindacali e il secondo, era una frazione del
partito radicale, la Junta Renovadore (JR), di tendenza più moderata e con esperienza
politica e amministrativa alle spalle. La campagna elettore fu costellata da grandi
comizi e numerosi incidenti, scioperi e attentati. Il colpo decisivo fu inferto da Spruille
Braden da Washington: l’11 febbraio 1946, il dipartimento di Stato pubblicò un libro
Libro azul,
che divenne celebre con il nome di una raccolta di documenti, fatti,
circostanze, testimonianze tesi a dimostrare i vincoli di Peron e del regime. L’UD
pensava di avere in mano il colpo del KO ma si sbagliava, perché l’interferenza
statunitense accreditava l’immagine, cara a Peron, di uno scontro tra l’Argentina e i
suoi nemici esteri. Peron non tardò a tappezzare le città argentine di manifesti che
intimavano gli elettori a scegliere tra lui e Braden e a mandare alle stampe una sorta
Libro azul y blanco,
di arringa difensiva dal titolo più importante del contenuto: i colori
della bandiera argentina. Peron vinse le elezioni del 24 febbraio 1946.
Il 4 giugno 1946 Peròn giurò come presidente costituzionale e cominciò il suo primo
mandato. Il suo programma consisteva in tre punti chiave: la sovranità politica, la
giustizia sociale e l’indipendenza economia. Non era un economista, perciò affidò la
direzione politica economica a Miguel Miranda, un imprenditore che godeva della fama
di essere un mago delle finanze. Anche se non aveva solide conoscenze della scienza
economica, Peròn aveva tre solide convinzioni: la prima, era che l’economia doveva
essere al servizio della politica, nel senso che doveva essere uno strumento con il
quale il suo governo avrebbe portato a termine la Rivoluzione, riscattando la sovranità
nazionale e una maggior giustizia sociale. La seconda convinzione era che la dottrina
liberista era obsoleta, non che mirasse ad eliminare l’economia di mercato, ma
riteneva che lo Stato doveva essere l’ente regolatore dell’attività produttiva. La terza
ed ultima convinzione era che bisognava eliminare la dipendenza dell’economia
argentina dall’esportazione di materia agricole e dall’importazione di prodotti lavorati
o macchinari industriali. L’industria avrebbe accresciuto il benessere poiché avrebbe
prodotto occupazione e redditi; avrebbe accresciuto la forza e l’influenza argentina ed
infine avrebbe garantito sovranità e sicurezza, sottraendo l’Argentina alla vulnerabilità
del mercato internazionale. Il mercato interno doveva potenziarsi: Miranda adottò una
politica espansiva fondata sullo stimolo del consumo e della domanda interna, tale da
incoraggiare la crescita produttiva e salvaguardare l’industria. Per far ciò occorrevano
ingenti risorse che l’Argentina del 1946 aveva perché durante la guerra aveva
accumulato notevoli riserve monetarie. La strumento più importante della polita
economica di Peròn fu lo IAPI (l’Instituto Argentino de Promociòn del Intercambio)
creato nel 1946 ed affidato a Miranda. Tra le sue funzioni c’era il controllo sul
commercio estero: fino al 1948, lo IAPI, comprava dai produttori agricoli ila merce
pagandola la metà e la vendeva sul mercato internazionale a prezzo pieno. In questo
modo, fissò i prezzi degli alimenti nei negozi argentini, il che giovò alla crescita dei
consumi, e con i guadagni ottenuti trasferì cospicue somme dall’economia rurale a
quella urbana. Su tale impostazione si avviò il primo Piano quinquennale: l’obiettivo
era accelerare l’industrializzazione. I risultati furono incredibili: il prodotto interno lordo
crebbe al ritmo dell’8% e i consumi del 14%. Il modello economico comportò anche
una serie di nazionalizzazioni: i servizi pubblici e le risorse energetiche furono infatti
rilevate dallo Stato; ciò di cui andò più fiero fu la nazionalizzazione della rete
ferroviaria.
La giustizia sociale divenne il marchio di fabbrica del suo governo, esibito ad ogni
manifestazione e comizio. I primi anni del peronismo trascorse in un clima
effervescente, caratterizzato da un fenomeno che interessò in diversa misura tutti gli
strati sociali, ma in particolar modo i ceti medi e i settori popolari: la mobilità sociale.
Quest’ultima trovò un canale privilegiato nel sistema educativo: il peronismo investi
grosse somme, fin dall’inizio. Peròn si premurò fin da subito di trasformare la scuola in
uno strumento per plasmare le nuove generazioni in accordi con i dettami della
Rivoluzione: programmi, libri di testo e selezione dei docenti furono adeguati al nuovo
corso. Un altro settore dove le politiche sociali produssero importanti cambianti fu
quello sanitario, affidato a Ramòn Carrillo, medico cattolico. In poco tempo riuscì a far
lievitare il numero di letti in ospedale e a disseminare ambulatori in tutta l’Argentina;
inoltre, condusse efficaci campagne contro le malattie endemiche che ancora oggi
affliggevano il paese. I risultati furono rapidi: l’indice della mortalità infantile cominciò
presto a scendere mentre cresceva la speranza di vita della popolazione. Il Piano
quinquennale prevedeva anche l’introduzione di un sistema sicurezza sociale
universale, tale da garantire una pensione a tutti i lavoratori a partire dai sessant’anni
di età e la copertura assicurativa in caso di malattie, infortuni, disoccupazione e così
via. Purtroppo, le resistenze dei sindacati non fecero mai nascere un vero e proprio
sistema pensionistico universale; prevalse invece, una frammentazione corporativa,
dove i più avvantaggiati furono coloro che stavano già meglio.
Peròn giunse al potere per via elettorale e giurò fedeltà a una Costituzione che gli
imponeva i tipici limiti di uno Stato di diritto e di un sistema democratico: separazione
dei poteri, diritti individuali fondamentali, pluralismo politico, libertà di stampa e così
via. Egli, però, s’adoperò ad organizzare la società argentina su basi corporative
mantenendo formalmente inalterata l’architettura liberale dello Stato. Concependo la
nazione come un organismo, la cui salute dipendeva dall’armonia delle sue membra e
dalla neutralizzazione dei nemici, Peròn cercò di indurre o di obbligare tutti i settori
sociali e tutte le istituzioni dello Stato ad organizzarsi e a contribuire, ognuno
svolgendo la sua specifica funzione. Tese sempre di più a concentrare il potere nelle
sue mani, a svuotare le istituzioni rappresentative delle loro tradizionali funzioni e a
scardinare lo Stato di diritto. L’impianto liberale iniziò ad indebolirsi e cominciò a
trasformarsi in una facciata dietro al quale si ergeva il potere dello Stato peronista e
delle maggiori corporazioni: il sindacato, le Forze armate e la Chiesa. La separazione
dei poteri si ridusse ad una farsa: il Parlamento divenne presto la cassa di risonanza
delle decisioni di Peròn, un luogo dove i dibattiti erano scarsi. Temendo che la Corte
Suprema mettesse i bastoni tra le ruote alla rivoluzione, lì costrinse a dimettersi per
non aver riconosciuto la legittimità dei governi nati dai colpi di Stato del 1930 e 1943.
Da allora, valse il principio secondo cui ogni volta che un giudice avesse ostacolato la
Rivoluzione, sarebbe stato tolto di mezzo. In quanto alla stampa, Peròn si mosse su
due piani: il primo repressivo, causando la chiusura di diverse testate giornalistiche,
soprattutto radicali, e invitando le grandi testate liberali (La Naciòn e la Prensa) alla
moderazione e in secondo piano, costruì un gruppo editoriale legato al governo
attraverso la Subsecretaria de Informaciones. All’accentramento del potere dei primi
anni corrispose anche lo sforzo per cementare il