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Secondo i militari l’Argentina aveva cessato di essere un’economia dinamica e una repubblica stabile quando il
populismo l’aveva portata sulla strada sbagliata.
Una diagnosi così drastica richiedeva rimedi radicali come l’apertura del mercato argentino alla competizione
internazionale, la riforma delle organizzazioni sociali e la sostituzione dei partiti.
I militari non consideravano però che tra i problemi dell’Argentina rientravano anche le Forze armate stesse, essi
agirono come se fossero immuni dal disordine populista e dalla lotta tra bande che devastava il paese. Inoltre ai
civili non poteva che rimanere il ricordo dei tanti buchi nell’acqua delle forze armate al potere.
Il programma del Proceso era tanto radicale e ambizioso quanto vago e incoerente.
Il primo problema del programma del Proceso era sul piano politico l’incapacità di decidere cosa fare di sindacati e
partiti e sul piano economico quello di scegliere un modello da seguire.
Il secondo problema era che enfatizzare il nesso tra decadenza e populismo, non permetteva di concentrarsi sulle
cause strutturali che avevano portato l’economia argentina dagli anni trenta, gli uomini del Proceso amavano
credere che alla base del tracollo del paese ci fossero perlopiù ragioni politiche ignorando difficoltà più profonde.
Il terzo problema fu che il programma del P. mirava più che altro a demolire l’ordine attuale delle cose, più che a
crearne uno nuovo e migliore. Al regime non importarono tanto gli indici di crescita economica, ma piuttosto che i
comportamenti devianti dei rivoluzionari fossero punti e gli attori imparassero la lezione o sparissero.
Capitolo 2 La disciplina attraverso terrore ed economia
Il 24 marzo 1976 una giunta militare, formata dai comandanti delle tre armi: Videla (esercito), Massera (marina
militare) e Ramon Agosti (aeronautica), prese il potere.
Lo stesso giorno furono divulgati gli obbiettivi del regime e il regolamento della giunta. Gli altri organi oltre la
giunta erano CAL: commissione di consulenza legislativa, ne facevano parte tre membri di ogni arma; PEN:
potere esecutivo nazionale.
Il 29 marzo Videla divenne capo del governo e furono nominati i membri del CAL.
La rapidità con cui avvennero le cose spiega l’alto grado di pianificazione che era avvenuta prima del golpe.
L’edificio istituzionale creato dai militari limitava al massimo la personalizzazione del potere, stabilendo che le
cariche potessero essere solo triennali.
In teoria il presidente del governo non poteva essere membro della giunta, sempre per la medesima motivazione
di spersonalizzazione, ma in questo caso di situazione eccezionale ovvero durante la lotta antisovversiva, il
presidente Videla era anche membro della giunta.
Mentre la presidenza del governo fu riservata implicitamente all’esercito, le altre cariche vennero divise
equamente tra le tre armi.
Videla aveva l’appoggio dell’esercito e dell’aeronautica, ma non aveva grandi doti da leader, arrivò al vertice del
potere probabilmente proprio per aver sempre tenuto un profilo basso. Per quanto riguarda la marina e l’esercito
i conflitti col tempo si acuirono sempre di più. Massera non nascondeva la sua intenzione di arrivare prima o poi
alla presidenza e sostituire Videla.
Agli occhi dei civili il golpe del 76 fu giustificato in quanto nel paese già dall’anno precedente continuava
ininterrotte guerriglie tra forze armate e bande di guerriglieri, si respirava già un clima di guerra.
Il piano repressivo messo in atto dalle forze armate consisteva nell’eliminazione dei sovversivi. Il piano aveva due
facce: una mostrava la parte legale e visibile ovvero la punizione dei potenziali oppositori giudicati poco pericolosi
Isabel Peròn e i suoi collaboratori furono arrestati, così come molti sindacalisti e politici peronisti, fu fatto
divieto di scioperare, negoziare nuovi contratti di lavoro, fare attività politica in scuole e università e furono
sospesi molti partiti.
L’altra faccia invece, illegale e nascosta, consisteva in sequestri, torture e sterminio di migliaia di militanti e
dirigenti della sovversione. I militari avevano allestito campi di concentramento e forze armate speciali.
I fautori della rivoluzione, che dal 1974 furono soprattutto l’ERP (esercito rivoluzionario del popolo) e i
montoneros, si rendevano conto che il golpe era imminente e pensavo che esso avrebbe prodotto una
polarizzazione e il popolo avrebbe dovuto scegliere tra militari o rivoluzione.
Nel frattempo però si stava seminando la convinzione che occorresse farla finita con la sinistra violenta e
guerrigliera.
Nel 1976 i guerriglieri causarono 167 vittime, contro le 1187 che causarono le forze armate. I detenuti a disposizione
del potere esecutivo erano 8000 e le persone esiliate tra le 20.000 e le 40.000.
Nel 1977 l’ERP era praticamente scomparso e l’attività dei montoneros era nulla.
CONADEP= comision nacional sobre la desaparicion de personas. Creata quando venne ristabilita la democrazia.
Tra 10.000 e 12.000 persone avevano perso la vita nei primi due anni del Proceso. Fu allora che i militari decisero di
smantellare i campi di concentramento e disattivare l’apparato repressivo.
Il silenzio della Chiesa riguardo questo massacro fu scosso solo in poche occasioni in cui le vittime erano dei
religiosi.
In questi casi vennero mandate delle lettere alla giunta per chiedere l’attenuazione della furia repressiva.
Dopo vari incontri tra l’episcopato e Videla, nel 1978 la Chiesa chiarì che i rapporti con il regime erano cordiali e
continuarono ad ignorare il problema.
I militari si dedicarono a rafforzare la presenza della chiesa nella società e riprendere la loro veste di custodi
dell’unità e mascherare le conseguenze della guerra sporca.
In campo educativo e culturale i militari adoperarono “l’operazione chiarezza” che comportò il licenziamento di
oltre 8000 insegnanti ed inoltre parecchi insegnati e studenti finirono tra le liste dei desaparecidos.
Le repressione illegale colpì duramente anche intellettuali e giornalisti e le trasmissioni radiofoniche e televisive
scesero a livelli infimi.
I giornali e gli altri media non parlavano delle denunce internazionali fatte nei confronti dell’Argentina per la
violazione dei diritti umani e si guardavano bene dal chiamare dittatura il governo.
Nel 1978 alcuni artisti fuggiti dal golpe cominciarono a tornare in patria e riprendere la loro attività.
In quell’anno fu organizzato anche il Mondiale di calcio, un’occasione per il Proceso di dimostrare al mondo intero
l’unità del paese. Durante il mondiale i giornalisti stranieri raccolsero molte voci di sostegno al regime e
costatarono l’isolamento degli organismi di difesa dei diritti umani.
La vittoria della nazionale argentina rafforzò il tutto: intellettuali, politici e artisti si unirono ai festeggiamenti.
Tra il 1977 e il 1978 riprese l’attività dei partiti fino allora congelata. Essi si preoccupavano di come collaborare con il
regime e non di opporvisi.
I più entusiasti della convergenza civico-militare furono i radicali, che ritenevano Videla un uomo sincero quando
dichiarava di voler creare una democrazia ordinata e stabile.
Videla non tardò a rendersi conto che Massera e i generali che gli erano più ostili non erano decisi ad un’apertura
politica, quando appurò che erano stati fatti sparire alcuni civili per mano dell’esercito, allora decise di ritardare le
trattative e la ricerca di alleati tra i civili.
La collaborazione con il mondo economico instaurata ancora prima del golpe fu con MArtìnez de Hoz, di
orientamento liberista e dirigente di grandi imprese, garantì di porre fine all’inflazione, all’instabilità e alle loro
cause populismo e statalismo.
Anche se inizialmente il programma di Martinez de Hoz non provocò obiezioni, le idee stataliste non erano
scomparse del tutto dalle caserme e i conflitti non tardarono ad arrivare.
I militari accettavano l’idea che il potere sindacale fosse ridotto, ma non eliminato e neppure che il mercato del
lavoro fosse del tutto liberalizzato. I militari volevano tornare ad una coabitazione con i sindacati e temevano che
un mercato troppo liberalizzato avrebbe causato licenziamenti e aumento della disoccupazione e una
conseguente protesta sociale.
Videla e De Hoz optavano per una politica economica che riducesse drasticamente il potere dei sindacati, ma non
erano della stessa idea Liendo, Viola e Massera.
La politica economica argentina era molto differente da quella di Pinochet in Cile, che al contrario risultava essere
decisa e applicata da un vertice coeso.
Appena entrato in carica De Hoz congelò i salari e abbassò le barriere doganali: entrambe le decisioni sollevarono
aspre critiche.
Massera non perse tempo per ergersi difensore di imprese e sindacati contro Videla e De Hoz.
Dopo un anno dall’ingresso di Martinez de Hoz al governo l’economia era allo sbando.
La riforma finanziaria di Martinez de Hoz del 1977 consisteva nell’eliminare le tre caratteristiche del sistema
finanziario argentino che vigevano dagli anni trenta: l’assenza di capitali esteri, i tassi di interesse inferiori al tasso
di inflazione per aiutare le imprese e il predominio della banca pubblica.
La riforma prevedeva una liberalizzazione dei tassi di interesse e una graduale eliminazione delle restrizioni
all’ingresso e all’uscita di capitali. Il mondo economico protestò, così fu imposto a De Hoz che la riforma fosse
accompagnata dalla garanzia statale sui depositi.
Il programma ottenne due risultati: indebolire l’industria a favore della finanza e sintonizzare l’economia locale con
quella internazionale.
Capitolo 3 Il Proceso in un vicolo cieco
La sovrapposizione di iniziative dei diversi capi del Proceso aumentarono il caos e ne provocarono la paralisi.
Videla incaricò la segreteria generale delle presidenza di elaborare un piano soddisfacente per tutti o quasi.
Videla fu rieletto solo per due anni, e che egli, Massera e Agosti si ritirassero dal servizio attivo.
Videla annunciò che il suo successore sarebbe stato Roberto Viola, ma ciò non provocò reazioni positive nei
generali, in quanto considerato troppo propenso all’apertura politica.
Nel 1978 i militari furono presi da una nuova questione, il conflitto del Beagle: si intende il disaccordo
tra Argentina e Cile circa la sovranità delle isole del canale Beagle e dello spazio marittimo adiacente, a seguito
delle tensioni insorte papa Giovanni Paolo II nominò il cardinale Antonio Samorè suo rappresentante personale per
dirimere la controversia tra i due stati sudamericani.
Le indagini della commissione sui diritti umani dell’ONU stabilì che la scomparsa di persone era pratica comune del
regime, ci&o