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IMMAGINARE ABU GHRAÏB
Immaginare, immaginario
1.
La diffusione di scene di tortura sugli schermi televisivi, dopo l'11 settembre, ha determinato una
progressiva assuefazione dello spettatore all'uso della violenza negli interrogatori dei terroristi
islamici. Lo studio mette a fuoco la relazione che intercorre tra la produzione seriale televisiva
statunitense e la progressiva definizione di un immaginario della tortura come scelta dolorosa ma
obbligata, nel quadro operativo della Global War on Terror.
2. Le domande, i confini
Dopo la pubblicazione delle fotografie di Abu Ghraïb, sono state avviate molte riflessioni su ciò
che si era verificato in quel carcere, in Iraq.
Lo studio cerca di stabilire se la narrazione televisiva seriale ha avuto un ruolo nella creazione e nel
consolidamento di un preciso immaginario audiovisivo.
3. La favola del Bene contro il Male
Nell'aprile del 2004 vengono pubblicate alcune fotografie amatoriali scattate nel carcere iracheno
di Abu Ghraïb tra il 2003 e il 2004.
Le fotografie pubblicate nel 2004 rompono un incantesimo mediatico, che aveva presentato la
guerra in Iraq come buona e giusta, l'aveva resa indiscutibile e necessaria. Di colpo, invece,
l'Occidente deve fare i conti con la parte oscura della propria coscienza. Il carcere di Abu Ghraïb,
lo steso in cui Saddam Hussein torturava e uccideva i dissidenti politici che si opponevano al
regime, è diventato il luogo in cui i militari statunitensi torturano e umiliano i prigionieri, sospettati
di terrorismo.
La favola semplice del Bene contro il Male si rompe. Ed è proprio l'evidenza dell'immagine che si
offre come prova. L'immagine rivela che il Bene non è puro. Il sopruso della guardia sul
prigioniero appare un evidente contravvenire al ruolo sanificatore del detentore sul detenuto.
Anche le fotografie fanno parte di un progetto deliberato. Non si tratta di errori, di inciampi
involontari e occasionali. Le camere digitali fanno parte della dotazione del carceriere. Sono
anch'esse strumento di coercizione. Il personaggio del soldato coraggioso muta in torturatore
mentre il potenziale terrorista si trasforma in vittima.
È nella retorica del governo Bush che troviamo i presupposti ideologici perché la violenza e
l'umiliazione inferte ai prigionieri diventino uno standard operativo.
È in questa formula ideologica del "whatever it takes" che troviamo ogni necessità e ogni
giustificazione. L'ombrello protettivo a ogni azione violenta è disumana. Ogni mezzo è lecito se il
fine è assoluto. È una crociata contro il Caos e il Terrore: questa è la riedizione della favola del
Bene e del Male. Anche chi compie atti violenti e abominevoli viene giustificato in vista di un fine
ultimo superiore. Quello di preservare la civiltà occidentale e anzi di estenderla. Chi tortura, chi
umilia, chi annichilisce il nemico, non può essere sottoposto al giudizio degli uomini, perché agisce
guidato dalla luce di Dio. Ci troviamo davanti a una guerra infinita e senza esclusioni di colpi. Ogni
buon soldato deve sapere che il nemico non avrà scampo. Sarà scovato ed eliminato. Questa è la
missione e deve essere compiuta senza esitazioni. Uno specifico obiettivo: salvare vite americane e
difendere ideali americani fino alla vittoria della GWoT. Il soldato sa di compiere atti che in altri
contesti sarebbero sicuramente giudicati immorali e illegali ma si abbandona all'ideologia. Perché
la funzione dell'ideologia è proprio quella di spingere a compiere anche le azioni più abiette e
riprovevoli rendendole necessarie. E quindi giustificabili.
4. Atti illegali
Quali sono le mosse del governo Bush a riguardo? Dato che la Convenzione di Ginevra (contro la
tortura e altri crudeli trattamenti e punizioni) si applica ai prigionieri di guerra, basta identificare gli
uomini catturati e imprigionati come "nemici combattenti", non appartenenti a un esercito in
guerra, per sospendere loro ogni diritto. Basta rinominare i nemici con una nuova formula. Non
sono parte di un esercito nemico, ma sono solo dei terroristi.
A mettere in crisi i valori degli Stati Uniti è l'evento luttuoso 11 settembre. È indiscutibile che
prima dell'attentato alle Torri Gemelle sarebbe stato inconcepibile affrontare un argomento come la
tortura. La tortura veniva percepita dell'opinione pubblica semplicemente come un atto criminale,
da perseguire penalmente. Dopo l'11 settembre, si insinua invece il dubbio.
La catena logica secondo cui la tortura potrebbe evitare che si verifichi un nuovo attacco
terroristico su vasta scala trova un crescente consenso determinato dalla paura dilagante,
incontrollabile. C'è una distorsione vera e propria della percezione della realtà generata dalla paura
del terrorismo e questo comporta delle trasformazioni che investono non solo la sfera politica ma
anche quella morale e psicologica.
Dopo la pubblicazione delle fotografie, il presidente George Bush ha parlato pubblicamente 15
volte e ha impiegato tre scenari principali per minimizzare il danno di immagine della sua
amministrazione:
Il primo scenario insiste sul concetto che gli abusi nella prigione irachena sono stati degli
1. incidenti isolati commessi da un numero ridotto di soldati, le cosiddette "mele marce".
Formula denominata Scapegoat Frame.
Il secondo scenario si basa sulla promessa di un'indagine trasparente e accurata per
2. assicurare alla giustizia tutti i responsabili degli abusi. Formula denominata Transparent
Investigation Frame.
Il terzo scenario mette a paragone il processo di giustizia americana con il regime di un
3. tiranno come Saddam Hussein. Formula denominata Contrast to Saddam Frame.
Il primo scenario prova a scaricare tutta la responsabilità sulle "rotten apple" di Abu Ghraïb e di
farne sostanzialmente un capro espiatorio. Lo scenario del capro espiratorio ruota attorno a tre
punti fondamentali che vengono costantemente ripetuti: ciò che è successo è abominevole; questa
non è l'America; si tratta di atti commessi da poche persone. I pochi soldati che hanno sbagliato
sono delle "mele marce", perché hanno agito in aperto contrasto con i valori del popolo americano.
Quindi non rappresentano l'America né il suo esercito.
Il secondo scenario è quello che, dopo aver riconosciuto gli abusi, concentra l'attenzione sulla
trasparenza delle indagini che verranno fatte dall'amministrazione. Bisogna davvero capire chi è
pienamente colpevole, senza alcun pregiudizio. Il processo sarà trasparente. Troveremo la verità.
Il terzo scenario è il paragone con il dittatore Saddam Hussein. Se prima nessuno avrebbe
saputo nulla delle torture, adesso invece ci sarà un'inchiesta approfondita. E questo è ciò che il
popolo ha bisogno di sapere. Perché in Iraq l'amministrazione Bush è in grado di assicurare un
sistema detentivo umano e pienamente controllato. Laddove invece sotto il dittatore prigioni come
Abu Ghraïb erano simboli di tortura e morte. Si resta quasi ammirati per la sfacciataggine di un
Presidente che nega l'evidenza dei fatti. Prima carceri come queste erano simboli di morte e di
tortura. E ora invece?
Eppure la ridondanza di queste formule sui media diventa a tal punto convincente, da permettere
una rielezione di Bush e la conferma delle sue strategie per la sicurezza del Paese.
5. I documenti
I corpi nudi di giovani maschi musulmani, abusati dall'esercito americano titillano i più bassi istinti
del variegato pubblico, dalla sete di vendetta post 11 settembre al desiderio morboso dei corpi delle
vittime assoggettati con torture e violenze sessuali. C'è uno schema preciso che riconduce la
narrazione del conflitto entro i termini di un immaginario ormai consolidato da anni di cinema.
La fotografia di guerra è diventato un oggetto fra i tanti nella nostra "società dello spettacolo"
Gli immaginari del fronte di guerra e del sesso si mescolano. Mostrare tutto, da vicino, il più
possibile. Appropriarsi, attraverso il medium fotografico, dell'oggetto rappresentato, reificandolo,
facendolo appunto oggetto passivo di un'azione che prescinde da lui. E stabilendo un rapporto di
potere tra chi fotografa e la cosa catturata, fermata in una registrazione fotografica.
Tre scatti che rappresentano lo stesso soggetto denominato "piramide umana". L'identità dei
prigionieri viene celata, perché a essere mostrata è una massa di carne, secondo il codice della
pornografia. Corpi nudi disposti in modo che sia impossibile riconoscere gli uomini costretti a
partecipare a questa messa in scena umiliante. I prigionieri sono stati ammucchiati l'uno sull'altro,
con il volto incappucciato. Sulla sommità della piramide una militare chinata sui corpi e alle loro
spalle, sorride e guarda in macchina. A sormontare il gruppo umano vi è un altro soldato come a
voler controllare che tutto proceda per il meglio. Ha le braccia incrociate, indossa i guanti e fa il
segnale che tutto procede per il meglio, con il pollice rivolto verso l'alto. Anche lui guarda in
macchina e sorride.
I guanti:
hanno una funzione protettiva perché separano il corpo del torturatore, puro, dai corpi
1. impuri dei prigionieri e indicano che il torturatore sta compiendo al meglio il suo "sporco
lavoro"
fanno parte usualmente della dotazione tecnica dei medici permettendo a chi li indossa di
2. assumere un aspetto professionale, in questo caso rendono il soldato uno specialista
dell'abuso
sono correlati nell'immaginario poliziesco o carcerario a perquisizioni corporali.
3.
L'umiliazione sessuale dei prigionieri attraverso la registrazione fotografica della simulazione di
atti sessuali è stata largamente incoraggiata e utilizzata nella prigione di Abu Ghraïb, perché aveva
la doppia funzione di mortificare i prigionieri torturati che subivano direttamente la violenza, ma
anche di esercitare pressione sugli altri che erano costretti ad assistere o ai quali venivano mostrate
le immagini.
L'immagine successiva riproduce lo stesso gruppo di detenuti, nella medesima posa, con alle spalle
la sola Specialista Sabrina Harman, in posizione eretta e parzialmente tagliata in testa
dall'inquadratura. La donna soldato sta riprendendo con una fotocamera o più probabilmente con
una videocamera.
L'ultima immagine di questo gruppo riproduce ancora la stessa piramide umana e rappresenta una
sorta di controcampo rispetto alle due fotografie precedenti. Qui i prigionieri appaiono di spalle. La
scritta con un pennarello nero sul gluteo e sulla coscia di un prigioniero, in inglese "rapeist"
(stupratore). Alle spalle della piramide umana ancora una volta il sorriso di due militari. Lo