Riassunto esame Storia e critica del cinema
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LA MODERNITA’ E IL CINEMA
1. Il cinema, l’individuo, la società
Il 900 è il secolo della regia. Secondo Casetti il cinema viene visto come “occhio del
900”.
Secondo Casetti il cinema non è soltanto arte, ma anche “medium”, ovvero strumento
di comunicazione. Il cinema ha saputo cogliere le questioni fondamentali del proprio
tempo e mostrarle a un largo pubblico come reinterpretate.
Lo scrittore MaksimGor’kij parla del cinema come un’invenzione che logora i nervi,
producendo dipendenza nello spettatore. In Italia Pirandello lo vede come un nemico.
Benjamin mette in luce le potenzialità positive del dispositivo.
1.1La modernità del cinema
Benjamin vede il cinema come un potente strumento per interpretare la realtà.
Oppone l’idea di esperienza come acquisizione di capacità guadagnata nel tempo a
quella di vissuto individuale e immediato. Esperienza che trova la sua origine in stretta
relazione con il “contatto con le grandi masse cittadine”, soggetto al flusso continuo di
stimoli della metropoli. La folla è sia soggetto che oggetto della rappresentazione
cinematografica.
Georg Simmel aveva descritto l’esperienza quotidiana dell’individuo nella grande città
come una successione di “avventure”, di incontri separati non collegati, nella quale
l’”avventuriero”, uomo, non può che percepirsi come soggetto discontinuo e plurale.
1.2La modernità come stile
I tratti stilistici del moderno cinematografico sono stati individuati
nell’improvvisazione, nel rifiuto alla spettacolarità, nel predominio della regia sulla
sceneggiatura e dell’inquadratura sul montaggio, nell’ambiguità interpretativa. È un
cinema problematico, del dubbio.
Laddove nel cinema classico il procedere degli eventi era mostrato attraverso l’azione
dei personaggi grazie al movimento, il nuovo modo del narrare rende indiscernibili il
“décadrages”
vero e il falso sin dalla scelta dei temi ed è reso visibile grazie all’uso di
(procedimento che provoca il vuoto al centro dell’immagine) e falsi raccordi.
2. Geografia della modernità
2.1Il nuovo cinema internazionale
Con “nuovo cinema” si indica una compagine di esperienze cinematografiche tra la
fine degli anni 50 e i primi anni 70 del 900. 3 livelli: 1) quello degli intenti: la rottura
del passato, superato nelle forme e nei contenuti; 2) quello delle modalità operative:
rinnovamento delle politiche produttive che rifiuta lo studio system e promuove
tentativi di produzione indipendenti, cinema povero e leggero, libero, sovraffollato di
film a basso costo girati in bianco e nero e in ambienti naturali, affidati a piccole
troupe; 3) quello degli esiti: il risultato di tutti i movimenti della modernità è
l’elaborazione di un atteggiamento dove realismo documentale e artificio
interagiscono, rivelano la realtà invece di riprodurla. Tale rapporto assume connotati
diversi nei paesi dell’Europa occidentale rispetto a quelli dell’Europa orientale, quella
sotto l’influenza del controllo sovietico.
2.2Nouvelle Vague
Nouvelle Vague significa “Nuova Onda” nasce a fine anni 50. Traduce la diffusa
inquietudine giovanile del tempo in un movimento collettivo ma non unitario.
Tra loro una cerchia di critici cinematografici, altre personalità con esperienza nel
documentario, legami con ambienti letterari del Nouveau Roman. Giovane
generazione di registi che si esprime contro il cosiddetto “cinéma de papa” (un cinema
industriale e tradizionale). Promuovo la “politiquedesauteurs” che riassume un insieme
di principi in virtù dei quali un film non coincide mai con la sua sceneggiatura, la sua
scenografia, i suoi attori, ma solo con la sensibilità di colui che l’ha girato. 2
personalità importanti sono Truffaut e Godard. “Jules e Jim”
François Truffaut vuole rinnovare e arricchire il cinema commerciale. è
ambientato all’epoca della Prima guerra mondiale, gioca con il cinema del passato,
inserendo spezzoni muti.
Jean-Luc Godard è provocatorio. Nei suoi lavori c’è alternanza tra piani-sequenza e
brevi inquadrature, sguardi in macchina, falso raccordo (costituito da uno stacco di
montaggio che lega tra loro due inquadrature identiche).
2.3FreeCinema e Kitchen Sink
2 movimenti che si svilupparono in Inghilterra.
“Free Cinema”
Il riguarda soprattutto cortometraggi e documentari girati tra il 1956 e
il 1959. La tematica è sociale, si rivolge ad un pubblico popolare. I soggetti privilegiati
da entrambi i movimenti sono la società e la vita di tutti i giorni delle classi lavoratrici.
“Kitchen Sink”
Gli scenari scelti nel sono spesso squallidi (appartamenti popolari,
strade, fabbriche, riformatori).
Entrambi i movimenti concentrano l’innovazione sul piano dei contenuti e del discorso
ideologico, mentre il loro apporto alla sperimentazione delle forme, è meno
dirompente. Questi movimenti hanno vita breve. I registi inglesi iniziano a ritrarre la
vita della “swingingLondon” e della subcultura “mod”, moda e musica rock.
2.4JungerDeutscher Film
“JungerDeutscher Film” (“Giovane cinema tedesco”) risale al 1962, quando 26 cineasti
sottoscrivono un Manifesto in cui si dichiara la nascita di un cinema socialmente
impegnato e libero da vincoli commerciali. Tematiche come emarginazione,
smarrimento generazionale, mancata integrazione sociale, con forti influenze del
marxismo e dell’esistenzialismo.
RainerWernerFassbinder dirige 9 lungometraggi in 15 anni, cinema segnato da una
forte teatralità, personaggi allo sbando, caratteri femminili tormentati, relazioni umane
viste come brutali rapporti tra vittime e carnefici.
Werner Herzog è il regista più visionario. Rifiuta l’impostazione teatrale, ambienti
remoti e incontaminati, capaci di riproporre una natura ostile ma irresistibile.
Personaggi non convenzionali.
Wim Wenders è amante del rock e della cultura statunitense. È alla ricerca nella
quotidianità che imprigiona i suoi personaggi, costretti a fronteggiare l’apparente non
significanza della vita e l’incomunicabilità.
2.5Le cinematografie dell’Europa orientale
Tarkovskij è la figura più importante del cinema moderno che si sviluppa in Unione
“L’infanzia di Ivan”
Sovietica. Adotta tematiche antimilitariste. segue le vicende di un
orfano utilizzato come spia dall’esercito sovietico. Fa delle riflessioni estetiche
discostandosi dalle teorie realiste.
In Polonia i temi d’ispirazione sono le conseguenze della guerra, le lacerazioni
dell’individuo e un permanente senso di profondo smarrimento.
Roman Polanski è il regista polacco più affermato a livello internazionale.
Skolimowski ricorre a prolungati piani-sequenza arricchiti da complessi movimenti di
macchina; protagonista dei suoi film è quasi sempre un giovane solitario, deluso dalla
società, che vagabonda senza meta.
La soggettività dell’individuo , così come le contraddizioni storico-sociale, sono al
“”Nova Vlnà” (“Nuova onda”)
centro della cecoslovacca e ungherese.
2.6New American Cinema
La persona più importante del New American Cinema è Jonas Mekas. Egli è contro
l’industria cinematografica hollywoodiana. Sulla East Coast, una generazione di
cineasti prende vita a New York cercando una continuità tra la letteratura beat e il
cinema underground.
Mekas è emigrato dalla Lituania in guerra, attento al percorso della Nouvelle Vague
francese. Mekas si trasforma in un cineasta, redige una rivista dando visibilità alle
opere di registi minori, inventando nuove forme di cooperazione e distribuzione
indipendente.
Kenneth Anger è uno dei nomi più noti dell’underground, con uno stile onirico e
surrealista; tematiche omosessuali.
Ken Jacobs è capofila del foundfootage, recupera spezzoni da film, intervenendovi con
accelerazioni, zoom ecc. “Meshes of the Afternoon”
Maya Deren è la madre dell’underground. Gira di cui lei
stessa è protagonista, è l’incarnazione di una figura mitica e spettrale, i movimenti
della donna sono carichi di inquietudine e mistero. Argomenti quali magia,
possessione, danza, rituali voodoo.
Dall’altra parte del mondo
Anche paesi meno industrializzati (ad esempio quelli dell’Estremo Oriente) sviluppano
la propria versione di modernità cinematografica. In Brasile, il “Cinéma Nôvo”: in
aperto contrasto con le usuali pratiche commerciali, rivolte contro il colonialismo e il
capitalismo borghese della nazione. Le masse contadine erano oppresse e
sottosviluppate, puntando a descrivere l’arretratezza con uno stile in grado di colpire
gli osservatori stranieri. Rocha diresse “Il dio nero e il diavolo biondo” che mischia
realtà, fantasia, cultura popolare e mitologia.
In Giappone, fino agli anni 60 il cinema è strutturato sul modello hollywoodiano. Nasce
poi la “Nūberu bagu” (“Nuova onda”), che diede inizio ad un crollo vertiginoso di
spettatori visti i temi prediletti, ovvero l’erotismo e le perversioni.
3. Gli indici stilistici della modernità
3.1Il pluristilismo della modernità e i caratteri del cinema moderno
Le esperienze delle nuove cinematografie internazionali (dalla Nouvelle Vague al New
American Cinema) procedono parallele e si fondono con le poetiche del cinema
d’autore, nonché cinema di genere.
La modernità cinematografica instaura un rapporto con la tradizione, superando le
norme classiche e sperimentando nuovi linguaggi, in rapporto ai cambiamenti
generazionale e alle attese del pubblico.
Conta sempre di più l’azione cinematografica che si compie e sviluppa nell’istante in
cui avviene l’azione reale. Talvolta si tratta anche di un’azione mediata
dall’allucinazione, dalla fantasticheria e dall’irrealtà: realistici piani-sequenza che
rispettano la temporalità concreta, stacchi decisi, frammentazione del montaggio. Gli
stili della modernità possono essere in qualche modo ricondotti a uno “sguardo
moderno”, che anzitutto consta nel mettere in rilievo nuovi oggetti della
rappresentazione e nuove modalità di visione: la “pazienza del guardare” si accorda
con l’inalazione dei personaggi moderni che cercano disperatamente un loro posto nel
mondo, lo sguardo moderno riconduce a una indecifrabilità del reale e all’impossibilità
di cogliere la complessità del mondo, e dunque una costante esplorazione di luoghi.
3.2L’antispettacolarità: Roberto Rossellini e l’avventura neorealista
Tema bellico o resistenziale, nell’immediato dopoguerra, ci troviamo di fronte a una
Roma città aperta”, “Paisà”, “Germania anno zero”
trilogia composta da .
Nella trilogia si distingue un realismo improntato sull’<<immagine-fatto>>.
“Paisà”, grazie all’unione di documentario e finzione dà vita ad un “pastiche”
linguistico. Rappresenta la quotidianità di un paese sconosciuto.
“Roma città aperta” accosta agli aspetti più documentaristici anche elementi
simbolici, gags, nonché aspetti di contiguità con lo spettacolo e il cinema precedenti.
I film neorealisti di Rossellini desiderano raccontare un’Italia nuova, percorsa da
tensioni ma anche da profondi cambiamenti.
La perlustrazione di luoghi, situazioni, paesaggi differenti dà vita a una vera e propria
“geografia neorealista”: lo sguardo di Rossellini sceglie una Roma non ancora liberata
dagli Alleati, in Roma città aperta, così come le macerie di una Berlino completamente
distrutta dai bombardamenti, in Germania anno zero. Ma è forse in Paisà che si scorge
meglio il tentativo di mostrare un’Italia colpita.
cinéma-vérité
3.3L’improvvisazione: e cinema diretto
Il cinema documentario si sviluppa in Francia nel “cinéma-vérité” e vede in Jean Rouch
il suo principale esponente. Il suo documentarismo si esprime in corti e medio
metraggi sulle popolazioni africane, e in seguito in quello che è considerato il film
“Cronache di un’estate”,
simbolo girato per le strade di Parigi. Sit ratta di un
documentario-reportage nel quale una serie di persone viene intervistata. Basato
sull’assenza di mediazione e sull’improvvisazione dei partecipanti. Uso di
apparecchiature più leggere, la macchina a mano e le riprese en plein air.
Il c.d. “cinema diretto” si sviluppa negli stessi anni negli Stati Uniti, in Inghilterra e nel
Canada. Gli esponenti principali sono Perrault e Brault. Uso della cinecamera 16 mm
con magnetofono portatile, che rende possibile una vicinanza diretta con i soggetti
della rappresentazione. Da segnalare in ambito americano è il regista Richard Leacock
“Primary”,
realizza reportage sulla sfida tra Kennedy e Humprey per la presidenza
degli USA. È un cinema che segue costantemente i personaggi, punta su dettagli
inattesi molto spesso. “Primary” verrà poi trasmesso dalla televisione.
3.4Il dispositivo a nudo: il primo Jean-Luc Godard
Godard è considerato il più sperimentatore e radicale dei registi, colui che per primo
rivoluziona il rapporto tra regia e tecnologia, inaugurando in questi anni una riflessione
sul dispositivo, sperimentazioni con il video, con il colore, con i formati.
“Fino all’ultimo respiro”
In si evidenziano i meccanismi del montaggio, reintroducendo
pratiche appartenenti al cinema muto, uso dei mascherini e lo sguardo in macchina. Il
dispositivo è istintivamente incorporato nella dinamica filmica e nell’ambiente, come
se la macchina da presa fosse data per scontata. Nei primissimi film, avviene
soprattutto in luoghi interni. Nel “Il disprezzo”, l’adattamento dall’Odissea permette ai
protagonisti di discutere in più occasioni di classicità, modernità, la natura talvolta
serve a riconoscere le piccolezze degli uomini moderni rispetto alle grandi gesta degli
eroi dell’antichità: così appaiono le dispute di coppia di Paul e Camille. Unico
personaggio “classico” è Lang, simbolo di un equilibrio umano e di saggezza. In questo
senso nell’inquadratura appare spesso Paul isolato agli angoli del quadro, circondato
da una natura immortale.
3.5Realismo e sacralità: la trilogia della borgata di Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini esordisce nel cinema italiano all’inizio degli anni 60. È uno scrittore
e poeta affermato. Trasferisce l’interesse per le borgate romane e il sottoproletariato
Accattone, Mamma Roma, La
dalla letteratura al cinema. Trilogia: ricotta. Il regista
“Accattone”,
esordisce con primo episodio del c.d. “cinema di borgata”. Rappresenta la
“Mamma Roma”
Roma popolare, le sue borgate e le varie periferie, in i volti del
“La
popolo, i “morti di fame” interpretati per lo più da attori non professionisti. In
ricotta”, medio metraggio, presenta nuovamente una vicenda popolare, quella
dell’affamato proletario Stracci che fa la comparsa in un film sulla Passione e alla fine
muore d’indigestione in croce, interpretando uno dei ladroni accanto a Cristo. Ha
caratteristiche inedite: accostamento di modelli e registri differenti: la musica colta e il
twist, il bianco e nero ai colori, la gravità di alcuni momenti sul set e le ironiche corse
accelerate di Stracci per procurarsi la ricotta, simili a quelle comiche del muto.
La morte diventa un tema preferito: la morte come liberazione da un presente difficile
da sopportare (Accattone, nell’omonimo film, che mentre sta morendo dice <<Aaaah..
mo’ sto bene!>>; la morte come condanna per il tentativo di migliorare le proprie
condizioni di vita (il giovane Ettore in Mamma Roma); e la morte come unica possibilità
per il sottoproletariato di mostrarsi agli occhi del mondo (Stracci e la sua morte in
croce, in La ricotta).
Il realismo di Pasolini non è di specie documentaria e ancor meno sociologica: non
vuole mostrare le cose o denunciarle ma presentarle nel loro aspetto epifanico. I
protagonisti sono personaggi simbolici investiti di un’aura sacrale, i quali ascendono al
ruolo di martiri. Vi è un aspetto sacrale nella scelta di che cosa riprendere. Questo
aspetto si lega a quella che Pasolini chiama “sacralità tecnica”.
La trilogia presenta poche riprese in continuità e lavora più spesso sul frammento, la
freschezza della messa in scena, l’uso di set naturali, ricorda i film della Nouvelle
Vague. Uso della panoramica, che procede con soste su personaggi e ambienti,
isolando volti e particolari. Rivestono un ruolo determinante i carrelli (soprattutto a
retrocedere, anticipando le camminate dei protagonisti).
“Dèdramatisation”:
3.6 Michelangelo Antonioni e la debolezza del senso
Il regista Michelangelo Antonioni, dopo aver realizzato diversi cortometraggi negli anni
“Cronaca di un amore”.
40, esordisce nel lungometraggio con
“L’avventura”
Gli anni 60 si aprono con che inaugura la cosiddetta tetralogia
“La notte”, “L’eclisse”, “Deserto rosso”.
dell’incomunicabilità, formata anche da Questi
film, molto diversi tra loro, vengono spesso accomunati per le tematiche, l’alienazione
dei personaggi, l’esplorazione di luoghi simbolici. Profondamente correlato con gli stati
d’animo. La costruzione dei film risulta mobile e disomogenea, sia dal punto di vista
narrativo-temporale (con la presenza di ellissi) sia dal punto di vista visivo-sonoro.
L’elaborazione di personaggi che vivono crisi esistenziali e globali, mette in relazione i
film del regista con molte altre esperienze del cinema d’autore europeo (Luis Bunuel).
Il lavoro di Antonioni è stato definito “dédramatisation”: la debolezza e la sospensione
del senso, l’assenza di dramma, la perdita dell’orientamento spaziale e di una bussola
esistenziale, il “giro a vuoto” di personaggi. Luoghi estranei, anonimi o evanescenti,
privi di coordinate. “La dolce vita”
3.7Fare ed essere autore: di Federico Fellini
Federico Fellini è una delle figure più rappresentative del cinema d’autore europeo. Il
suo lavoro racchiude diverse caratteristiche che contraddistinguono l’autorialità degli
anni 60; tra queste, l’accentramento nella figura dell’autore del potere registico, la
dimensione autoriflessiva. È l’insieme dei suoi film e i rimandi da un film all’altro che
permettono così d’individuare uno stile “felliniano”.
“La dolce vita” è uno dei casi più rappresentativi di quel “superspettacolo d’autore”.
Da un lato “La dolce vita” viene visto come un film affresco, dall’altro come film
rotocalco.
“Film affresco” inquadra la capacità del film di Fellini di rimandare al contesto
socioculturale degli anni 60, di anticiparne in molti casi le tendenze, episodi conchiusi
anche se legati tra loro e con i medesimi personaggi.
“Film rotocalco” oscilla tra la cronaca di alcuni avvenimenti e la loro narrazione. In
questo modo La dolce vita costruisce un racconto intorno a eventi divenuti in breve
tempo fenomeni di costume: il bagno nella Fontana di Trevi dell’attrice Anita Ekberg, il
volo sui cieli romani di un elicottero che trasportava una statua di Cristo. La
produzione del film procede di pari passo con la sua promozione, attraverso la stampa
e gli eventi culturali, e finisce per codificare il fenomeno “dolce vita”.
Il film di Fellini presenta figure tipicamente moderne; il protagonista Marcello è un
giornalista e scrittore fallito, intrattiene rapporti (spesso come spettatore passivo) con
una serie di figure sconfitte e problematiche, dalla ricca e annoiata Maddalena alla
fidanzata ossessiva Emma.
LA STAGIONE POSTMODERNA
1. Postmodernità, media, immagini
Durante gli anni 70 si sviluppa il postmoderno, una fase posteriore rispetto al
moderno.
La postmodernità si definisce per differenza e in negativo, come ciò che segue la fine
della modernità, la crisi dei suoi principi ideologici e filosofici.
Si assiste ad una rapida crescita dell’azione e del potere dei mezzi di informazione e
comunicazione (tv commerciali, a pagamento, via cavo, via satellite). Si sviluppa la
tecnologia informatica, in una tecnologia leggera ed economica.
I cambiamenti sociali che ne derivano sono profondi, così da associare l’etichetta
“società dell’informazione” a quella di “società postindustriale” o “postfordista”. I
mass media hanno contribuito a definire una nuova “struttura del sentire”, un nuovo
stile di vita, legato in particolar modo all’esplosione della “popular culture”, che azzera
definitivamente i confini tra cultura alta e cultura bassa.
Nella postmodernità le logiche spaziali e temporali della modernità, definite in modi
oppositivi (vicino/lontano, passato/presente ecc), si indeboliscono, sostituiti da una
spazialità disorientante, composta di frammenti riuniti senza distinzioni, e da una
temporalità fluida. Il soggetto che agisce è a sua volta frammentato. Il rapporto tra
individuo e mondo oggettivo si scolla, sostituito da una “realtà elettronica” del tutto
autonoma.
Il soggetto della società occidentale entra in una condizione esistenziale, definita
“estati della comunicazione”: in essa, il reale, è plasmato dai mezzi di comunicazione.
L’esito è un orizzonte fluttuante privo di profondità, frammentato e appiattito sulle
immagini stesse.
Abbiamo il dominio delle immagini: un flusso di immagini, di superfici che si svuotano
o appiattiscono (immagini pubblicitarie, televisive, cinematografiche, ecc).
1.1Il postmodernismo
È la produzione culturale del tempo che contribuisce a dare forma e sintetizzare lo
spirito dell’epoca della postmodernità.
Il postmodernismo nasce dal riconoscimento <<che l’avanguardia (il moderno) non
può più andare oltre>>.
Il passato <<deve essere rivisitato: con ironia, in modo non innocente>>. Si perde
fiducia nel sapere di non poter più dar vita a qualcosa di nuovo, è una crisi
consapevole, l’ironia compensa questa crisi in modo ludico, disimpegnato, divertito,
ma anche nostalgico. C’è la consapevolezza che tutto è già stato detto, quindi bisogna
riscrivere, riutilizzare, rivisitare, ma con ironia.
Lo “stile” postmoderno è stato descritto come un modo in cui gli stili (tutti gli stili)
vengono impiegati, contaminati, ripensati: tutto è permesso.
Il tempo è sottoposto a continue frammentazioni, rotture, moltiplicazioni. Il tempo pare
essersi annullato in una forma di eterno presente, privo di durata.
Gli stili si contaminano, utilizzando la citazione, il pastiche, ecc. si ha quindi un
pluralismo stilistico, con pluralità di significati e interpretazioni.
C’è un sorta di divorzio tra forme e contenuti, tra significanti e significati. La forma è
prevalente.
Di qui, un ultimo rilievo generale: un’”arte della superficie” finisce anche per
promuovere una logica comunicativa prevalentemente “spettacolare” nella quale i
sensi e lo shock percettivo guadagnano volentieri il primo piano.
2. Il cinema della postmodernità
I cambiamenti che si affermano già a fine anni 70 sul piano dell’organizzazione
dell’industria del cinema e dei media non sono senza conseguenze sulla “forma
filmica”, vale a ire sullo stile e sulle modalità di racconto del film. Il caso del
“blockbuster ne è forse l’esempio più eloquente.
Blockbuster
Il termine blockbuster è stato usato dopo la Seconda guerra mondiale con l’intento di
definire un prodotto capace di imporsi sul mercato. Temi e dispositivi narrativi precisi e
risultati economici eccellenti. Accanto alle produzioni indipendenti e al cinema degli
autori della New Hollywood si sviluppano le nuove forme del cinema popolare e di
“Il Padrino”,
largo consumo. Il prototipo del blockbuster contemporaneo sarebbe film in
cui l’utilizzo di star conosciute, la discendenza da una romanzo di successo, utilizzo del
tema dei gangster, lo rendono un enorme sogno collettivo. Tuttavia il vero blockbuster
“Lo squalo”
è (Spielberg), il suo successo è dato da una serie di strategie produttive e
distributive, tratto dal celebre romanzo, il film poté sfruttare una campagna
pubblicitaria televisiva. Generalmente, nei blockbuster, il plot è piuttosto lineare, i film
chiamano programmaticamente in causa, tramite allusioni e citazioni, una serie di
“E.T.
riferimenti più alti e complessi (ad esempio le dinamiche familiari presenti in
L’extraterrestre”. Il blockbuster contemporaneo sembra far leva su un duplice
dispositivo: dal punto di vista produttivo (strategie di massimizzazione del profitto) e
dal punto di vista semiotico (incontro tra plots poco elaborati e allusioni complesse).
2.1Dallo “studio system” alle industri dell’intrattenimento
L’industri del cinema cessa di operare come industria del film, passa
all’intrattenimento filmato, un business fondato sulla collaborazione con altri settori
(musica, editoria, tv, videogiochi ecc). Vengono valorizzati dei mercati “non-
theatrical”, ovvero quei mercati alternativi allo sfruttamento commerciale del film
nelle sale: quello televisivo e quello dell’”home video”.
L’industria del cinema si riduce quindi a pochi grandi colossi mediali: subisce
un’integrazione orizzontale. Si conclude l’epoca dello studio system.
Il caso Paramount: dopo svariati flop, la casa di produzione viene acquistata dal
gruppo finanziario Gulf & Western Industries. La Paramount è integrata ad altri ambiti
dell’industria culturale (editoria, tv) e appartiene a un più ampio conglomerato
industriale. Nel 1994 il gruppo viene acquisito dal “cartello” Viacom, sviluppatosi nel
settore televisivo, radiofonico e home video. Attualmente la Paramount (che raduna
altri marchi come MTV e Nickelodeon) è parte di un conglomerato internazionale.
Molte altre majors vengono acquisite da conglomerati industriali. A partire dagli anni
80 la trasposizione di contenuti cambia, ora in entrata verso il settore cinematografico
(quando un film viene tratto da un fumetto), ora in uscita (quando un film dà vita ad
una serie tv o a una trasposizione letteraria).
“Star Trek”
Il caso è emblematico. I personaggi e le avventure della saga trovano un
luogo di continuazione, espansione e sviluppo nel cinema, con la produzione di 3
“The Original Series” “The Next Generation”
“serie” di film: (6 lungometraggi), la serie
(5 film), serie di 2 film. Alle avventure televisive si affianca un’intensa produzione di
romanzi, di fumetti, di videogiochi e di riviste. Questo è un esempio perfetto di “media
franchise”, dove l’azione coordinata di media diversi attorno a un unico immaginario
definisce nel tempo una complessa rete intertestuale.
Sinergie di marketing: ad esempio, la Paramount decide di distribuire la videocassetta
di Flashdance quando il film è ancora nelle sale. Il cinema utilizza strategicamente la
tv come canale promozionale (MTV rimontando scene tratte dal film, realizza 4 video
musicali). Questo esperimento ben riuscito genera immediatamente un fenomeno
destinato a continuare fino ai giorni nostri.
2.2Televisione e home video
Un progressivo allargamento dell’offerta, sia in termini di canali trasmessi (con la
nascita di reti commerciali terrestri concorrenziali rispetto a quelle del servizio
pubblico), sia in termini di tempi di trasmissione, sia di possibilità di consumo (tv
pubblica, tv commerciale, pay tv via cavo o via satellite). Ciò costituisce un
considerevole ampliamento della domanda, sia sui mercati nazionali sia su quelli
internazionali, ma anche la sperimentazione di nuove forme di collaborazione, come la
produzione tempestiva di programmi destinati a sostenere l’uscita di un film nelle sale.
La vera novità del decennio è rappresentata dall’home video. Esso viene inizialmente
ostacolato dall’industria del cinema, che ne vede una tecnologia destinata a
compromettere i ricavi provenienti dai film, ma poi esso si rivela uno straordinario
alleato in grado di moltiplicare gli introiti derivanti dalla vendita e dal noleggio di
videocassette. Il DVD verrà introdotto sul mercato solo nel 1994. Dopo l’uscita del film
nelle sale, la pubblicazione, a distanza di qualche mese, dell’edizione video (per il
noleggio e poi per la vendita); dopo un paio di mesi, il film passa quindi alla tv pay-per-
view e poi ai canali a pagamento, infine alle tv nazioni.
3. Il postmodernismo cinematografico
Il momento di avvio del postmodernismo cinematografico si ha con l’uscita nelle sale
“Guerre stellari”,
di George Lucas, 1977. Questo film esemplifica le 2 principali
tendenze stilistiche che caratterizzano il postmodernismo: il riutilizzo come citazione e
omaggio di elementi del passato, e l’intensificazione del piacere fisico della visione,
grazie a stimoli visivi e sonori come gli effetti speciali. Star Wars è un blockbuster.
Il postmodernismo può anche essere visto come un sistema stilistico: esso è il nuovo e
il contemporaneo, uno stile organico alla condizione della società occidentale del
tempo. Ha origini negli USA, ma diventa subito un fenomeno internazionale. Lo stile
postmoderno non configura un sistema chiuso, ma un insieme di strategie narrative,
rappresentazionali e comunicative diffuse nella cultura visiva degli anni 80 e 90.
Una distinzione operativa è quella tra “film postmodernisti” e “film della
postmodernità”- i film postmodernisti sono quelle opere d’autore (Woody Allen,
Quentin Tarantino, fratelli COen) che con maggiore coerenza artistica e
consapevolezza, si fanno interpreti di un rinnovamento. Il film della postmodernità si
deposita in modo parziale o provvisorio.
3.1In dialogo con il passato
Il cinema postmoderno dialoga con 2 tradizioni principali, il cinema classico
hollywoodiano e il cinema moderno europeo (francese e italiano).
Il dialogo con il passato piega frequentemente verso l’omaggio, il recupero nostalgico
e rispettoso e la rilettura appassionata, senza inibire del tutto l’ironia.
I termini di riferimento attorno ai quali ordinare la produzione del cinema postmoderno
si distinguono tra una postmodernità più direttamente influenzata dal modello
spettacolare del cinema classico (primato della narrazione, divismo, appagamento
emotivo) e una postmodernità più modernista, influenzata dall’idea del cinema
d’autore europeo, e dunque fondata sulla ricerca formale, sulla manipolazione
intellettuale dello spettatore. Il “nuovo” della produzione cinematografica risiede
almeno in parte in cui queste 2 tradizioni.
“Velluto Blu”, David Lynch, 1986. Con il suo impasto eclettico di elementi provenienti
dal cinema classico per rivelare le contraddizioni e le zone d’ombra nascoste nella
continuità hollywoodiana. Il sistema classico viene quindi deformato, orientato a
scardinare l’ordine del reale per rivelarne la dimensione misteriose. I riferimenti storici
si appannano, il film sembra contemporaneamente ambientato negli anni 50 e negli
anni 80. La relazione tra gli eventi è causale, tra un plot principale e alcuni subplots,
fino a produrre quell’atmosfera caratteristica di Lynch: né realtà, né sogno, ma un
mondo “dreamlike”.
3.2Intertestualità e metalinguaggio
L’atto stesso di dare corpo a un racconto cinematografico come contenuto, questa
piega meta linguista solleva altre questioni, prime fra tutte quelle dello statuto di
verità delle immagini e del potere “analitico” dello sguardo. Il regime immaginale della
postmodernità, l’impatto delle nuove tecnologie di simulazione sembrano eliminare
una relazione “naturale” tra immagine e realtà. Di qui si possono identificare 3
caratteristiche principali: uno spostamento dell’attenzione dal contenuto della
comunicazione all’atto del comunicare; un’azione percettive che mescola una lettura
presente (seguire ciò che mostra il film) e un’azione memoriale (riconoscere il già
visto), l’intertestualità è un meccanismo di continua inclusione del passato nel
presente; una partecipazione al testo direttamente dipendente dalle competenze dello
spettatore.
L’azione di queste 2 logiche testuali da vita ad alcuni fenomeni produttivi, di cui la
moltiplicazione di pratiche come il sequel, la parodia, il remake.
Nasce l’estetica della ripetizione nella quale è proprio il riferimento esplicito a uno o
più antecedenti a definire il tutto.
Abbiamo un’infittirsi di opere riferibili al genere del “metafilm”, ovvero film che
raccontano la lavorazione di un film. Non interessa più quello che si vuol far vedere,
ma piuttosto l’atto stesso del vedere. Le strategie e i mezzi attraverso i quali prende
forma questo tipo di comunicazione sono, nel cinema postmoderno, moltissimi (ad
esempio dare del tu allo spettatore).
3.3Le forme della narrazione
L’analisi di “Velluto Blu” ci porta a capire che la logica ferrea delle cause e degli effetti
si inceppa, si indebolisce la soglia che marca l’alternanza tra sogno e realtà, la ricerca
del personaggio principale manca di coerenza, non sono immediatamente decifrabili i
meccanismi psicologici, l’economia narrativa appare con rallentamenti e digressioni.
“Velluto blu” racconta la sua storia in un regime misto, tra narrazione debole
(personaggio e ambienti enigmatici o opachi, le azioni e gli eventi si concatenano in
modo incompleto o provvisorio) e antinarrazione (sospensione e stasi, le
trasformazioni vanno a rilento, il tempo si dilata, lo sguardo e la riflessione prendono il
sopravvento).
I narratori postmoderni non sono più onniscienti, sono inaffidabili e confusi di fronte al
compito di ordinare una storia, di distinguere tra realtà e finzione. La narrazione però
non è mai del tutto compromessa, il cinema postmoderno mira esplicitamente anche a
soddisfare il piacere del racconto. Lo spettatore finisce per non potersi più identificare
“Pulp Fiction”
con il personaggio, ma con lo schermo stesso. Ad esempio, ha un
andamento spezzato e contrappone fasi di azioni forti a fasi di azioni deboli.
La narrazione del cinema postmoderno sembra funzionare in un regime di costante
sovradrammaturgia, dove dominano tendenze alla sovrasensazione (come nel gusto
splatter o nell’eccesso di violenza) e alla sovraimmagine (artificio visivo, effetti
speciali).
Nel cinema postmoderno la forma prende il sopravvento sul contenuto del racconto.
Così accanto ad un cinema si osserva l’affermazione progressiva di una tendenza alla
ripresa e al rilancio della logica della continuità.
L’idea è quella di una “continuità intensificata”. Le azioni di un personaggio principale
(“l’eroe”) che si muove dentro a un mondo chiaro, coerente, come nei film di George
Lucas e Steven Spielberg, il cui cinema rinnova la tradizione della grande avventura.
È il ritorno dei grandi racconti, del piacere dell’intrattenimento.
3.4Le forme della messa in scena
La messa in scena, quindi i modi dell’esposizione, ha un ruolo autonomo: fa storia a
se. Cambia la visione del mondo e il modo di guardare: ad esempio prima i piano-
sequenza avevano lo scopo di osservazione lenta, aderenza alla realtà, spesso nel
cinema post-moderno subiscono un abbassamento, uno svuotamento. Lasciarsi colpire
dall’immagine diventa più importante che crederla vera.
Cresce l’importanza dell’esibizione del lavoro della macchina da presa, aumenta la
spettacolarità, il virtuosismo, il trascinamento emotivo dello spettatore, questo grazie
anche alla disponibilità di nuove tecnologie (louma, steadycam, regia digitale).
Il cinema postmoderno è immersivo: lo spettatore si immerge in un bagno di
sensazioni visive e sonore, e una sorta di viaggio del corpo. Ritorna quella logica delle
attrazioni associata solitamente al cinema primitivo, grazie anche all’avvento del
digitale.
DOPO IL POSTMODERNO: IL CINEMA CONTEMPORANEO
1. I media tra digitalizzazione e convergenza
Si diffondono il nuovo linguaggio, il digitale, e una nuova grammatica, quella del
network, che ridefiniscono a fondo i concetti di informazione e conoscenza. Aumenta
l’importanza dell’individuo, essi ora sono in grado di agire in un nuovo orizzonte,
quello del cyberspazio.
La rivoluzione che si afferma a partire dalla fine degli anni 90 è guidata da 4 fenomeni
principali: la diffusione mondiale di un nuovo medium, Internet, dal 2000; la
progressiva digitalizzazione di tutti i tipi di informazione, la loro codifica e
rappresentazione numerica in sequenze di 0 e 1; il potenziamento e la semplificazione
dei software (Facebook, 2004); lo sviluppo tecnologico degli hardware (laptop, tablet).
L’esito di questi processi si chiama “convergenza” dei nuovi media. La disponibilità di
un unico linguaggio (la codifica digitale) per rappresentare informazioni di molti tipi
diversi, permette un livello di integrazione fra codici diversi.
La nuova idea di medium è che nessun linguaggio o mezzo di comunicazione aderisce
a una soltanto di esse: così, ad esempio, oltre che in una sala cinematografica o in tv,
oggi un film può essere anche visto su un computer, un tablet o un telefonino,
tecnologie mobili e multifunzionali. I contenuti sono liberi di migrare da un supporto
all’altro. Si favorisce così in breve, un fenomeno diffuso di rilocazione mediale.
Emerge un nuovo spettatore che può appropriarsi del contenuto, consumarlo nei
media environments che preferisce, organizzando in modo personalizzato i contenuti.
Prima, ad esempio, potevo vedere una serie tv in base ad appuntamenti fissi, ora
posso vederla in streaming.
A definire questo modello sono 3 fattori principali: la personalizzazione del consumo, la
competenza tecnologica e l’interattività. Il consumatore è sempre più invitato a
superare il ruolo di mero “ricettore” per farsi produttore di contenuti originali (si pensi
ad esempio a YouTube che è rapidamente diventato uno spazio in condivisione delle
iniziative creative dell’audience). I vecchi consumatori erano soggetti passivi, i nuovi
sono attivi.
Vi è un dialogo tra i media e questo avviene perché ogni medium influenza un altro e
viceversa, creando una rete di intermedialità.
I linguaggi sono associati ai singoli media. Sembrano oggi spinti sia verso fenomeni di
fusione semantica, sia verso fenomeni di riorganizzazione sintattica. Ci sono linguaggi
che accomunano più media, non c’è un modo specifico in cui ogni linguaggio deve
presentarsi, ma tutto è possibile.
1.1Il cinema in discussione
Nasce una riflessione di tipo ontologico a causa di una progressiva perdita di identità
da parte dei media.
La rivoluzione digitale mette in discussione alcune caratteristiche del cinema: la
capacità del cinema di essere un mezzo di immaginazione e intrattenimento e un
agente attivo dei processi sociali e culturali, sembra oggi perduta o opacizzata, in
parte trasferito ad altri media.
Vi sono dei cambiamenti, come il passaggio dalle procedure analogiche (uso della
pellicola) a procedure di tipo digitale.
La registrazione analogica si basa su un rapporto di dipendenza del dispositivo
cinematografico da una realtà effettiva posta davanti alla macchina da presa.
L’uso di una strumentazione digitale fa sì che l’immagine non si imprima in forma di
fotogramma su una striscia di pellicola, ma venga codificata e archiviata in una
sequenza numerica.
Il rapido sviluppo della computer grafica consente ormai di produrre interi film o parti
di film direttamente al computer.
Il cinema appare sottoposto a una pressione di “deterritorializzazione”: una
progressiva sostituzione e, insieme, un passaggio dal cinema al cinematografico; un
insieme di elementi e attributi ancora riconoscibilmente riferibili a un “modo
cinematografico” dell’immagine, ma non più dipendenti, da un ambiente mediale
specifico. A titolo di esempio, si può richiamare la posizione di Lev Manovich secondo il
quale il cinema e il suo linguaggio rappresentano oggi il modello culturale.
La principale conseguenza coinciderebbe con una seconda giovinezza del cinema,
nella quale esso smetterebbe di funzionare come un dispositivo specifico, orientato
alla produzione di un film, per diventare un linguaggio comune e familiare.
L’idea di esperienza è data da un’audience creative e performativa, è la
moltiplicazione dei luoghi e momenti in cui possiamo vedere un film. Questa non
preclude il rinnovarsi di un’esperienza pienamente cinematografica.
Si intende dispositivo cinematografico, una specifica modalità di esposizione, fondata
sulla compresenza di un testo filmico e di uno spettatore fisicamente e psichicamente
orientato a guardare (e ascoltare) una proiezione. Il cinema riesce, ancora oggi, a
esercitare facoltà che gli sono caratteristiche: soddisfare il bisogno che ha lo
spettatore di storie, far sperimentare un mondo che non si conosce, esercitare un
pensiero critico sul mondo contemporaneo.
Il dispositivo e l’esperienza cinematografica sembrano infine imporsi per differenza
rispetto alla logica profonda della postmedialità. Ad esempio alle caratteristiche di
leggerezza e astrazione del flusso della testualità digitale, il cinema oppone il peso
specifico del suo durare, oppone la densità dei suoi racconti, la logica di un pensiero
articolato nella successione temporale, oppone un’esperienza partecipativa complessa
e coerente, fondata sulla contemporanea mobilitazione delle facoltà psichiche e
cognitive, corporee ed emotive dello spettatore.
Il cinema è parte del contemporaneo, ma non vi appartiene fino in fondo o, meglio,
non vi si confonde. Il cinema può incorporare il contemporaneo, metabolizzarne e
disciplinarne le dimensioni caratteristiche.
Il dispositivo cinematografico appare quindi ancora oggi, l’unico in grado di (ri)stabilire
e strutturare quel rapporto attivo tra spettatore, immagine e realtà.
2. Forme e caratteri del cinema contemporaneo
Il digitale alimenta cambiamenti destinati a ripercuotersi direttamente sul piano della
“forma filmica”. Il digitale è solo un mezzo. La contemporaneità del cinema non passa
attraversa la sola adozione di nuove risorse realizzative, produttive o distributive: essa
è una dimensione ben più complessa, e riguarda la capacità del cinema di essere
contemporaneo, vale a dire la sua capacità di filtrare, raccontare, elaborare
criticamente e rendere visibile l’universo sociale e percettivo che lo circonda, i suoi
modi e i suoi ritmi e le forme dell’esperienza.
Nasce un dibattito internazionale che vede scontrarsi i 2 modelli di esperienza e
rappresentazione della realtà: uno segnato dalla tecnologia, l’altro da un ritorno della
storia. La scissione tra una cittadinanza digitale e una effettiva è sempre più
pronunciata.
Si sviluppano 2 modi di produzione: una produzione che enfatizza la presenza e il ruolo
della tecnologia e una più orientata a riaffermare un contatto sensibile, immediato con
la realtà.
Le rispettiva possibilità appaiono amplificate verso i poli opposti di un realismo fondato
sul principio dell’attenzione e sul principio dell’attrazione. In entrambi i casi, il
tentativo appare quello di afferrare un reale autentico.
2.1Tecnologia, spettacolo, società digitale
Si diffonde il cinema superoico (Spider-Man, Iron Man, Superman, X-Men).
La tecnologia assume “evidenza”, riesce a modellare, per lo spettatore, una vera e
propria “esperienza digitale”. La logica profonda del blockbuster contemporaneo è
legata alla creazione di mondo ed esperienze in cui la progettazione informatica gioca
un ruolo permanente, trasformando la realtà. Il genere supereroico è fondato
tradizionalmente sull’archetipo del passaggio da una condizione di vita normale,
quotidiana, a una “super, segnata dall’ampliamento delle facoltà ordinarie grazie a
protesi, travestimenti, modificazioni genetiche.
La caratteristica del blockbuster contemporaneo è lo sguardo digitale.
Abbiamo un’accentuazione della dimensione “attrazionale”, ma verso una vera e
propria perdita di “concretezza”.
L’urto tra una “vita analogica” e una “vita digitale” è ad esempio al centro di
“Oblivion” (Joseph Kosinski) in cui l’ultimo abitante della Terra, Jack Harper, ha qualche
difficoltà, in forma nostalgica, a immaginare di dover lasciare il pianeta. Questione di
ricordi visivi (si accendono in modo intermittente, riportandolo a una New York
preapocalisse, a una donna, a una felicità di cui non riesce a capire fino in fondo
l’origine) e tattili (raccolti in forma di archivio analogico in un angolo che solo Jack
conosce, dove la musica suona su un LP, dove ci sono fotografie e oggetti “veri”). Un
recente passato di singolarità e calore, ricchezza sensoriale e memoriale, a cui si
oppone nettamente il “Nuovo” mondo, che ha la consistenza “fredda” della creazione
informatica, in cui ne va anche dell’originalità e dell’identità (Jack scoprirà di essere
“nessuno”, un clone infinitamente ripetuto). I temi sono l’animazione digitale della
realtà, l’autenticità dell’esperienza e della memoria, l’analisi di un reale tecnologico
che elimina l’umano.
“L’impero della mente”, David Lynch, esibisce apertamente il fatto di essere girato in
digitale. Lynch considera questa tecnologia anzitutto come una risorsa estetica.
Rappresenta un filtro, un medium, un veicolo dello sguardo, in cui si mescolano
indifferentemente realtà, allucinazione, sogno, fantasticheria, desiderio, ecc.
Nel piano stilistico dell’estetica digitale abbiamo in alcuni film la coabitazione
indifferente di diversi “formati” dell’immagine in cui svaporano il valore della
profondità, il principio della prospettiva, la sintassi e il linguaggio cinematografico si
aprono e deformano, il tempo e lo spazio sembrano diventare sempre più fragili.
Il cinema contemporaneo sembra essere in grado di testimoniare un “aggiornamento
tecnologico” e di esprimere compiutamente una sorta di pensiero legato alla società
digitale.
2.2Di fronte alla realtà
Accanto a un cinema digitale nasce un movimento di ricerca parallelo e opposto, al
quale sembra legittimo attribuire la denominazione di “analogico”. Si ha la volontà di
riaffermare un legame tra il cinema e la realtà.
Questa è una reazione orientata a ristabilire i modi di un “realismo attivo”, l’immagine
ha la capacità di far sentire la realtà e, al tempo stesso, di renderci sensibili nei suoi
confronti. Il contemporaneo è inaugurato dallo shock visivo e storico dell’attentato alle
Torri Gemelle.
Alcuni registi danesi firmano il manifesto “Dogma95” per segnare la volontà di cercare
la realtà.
Si diffonde un cinema dell’accadere: la videocamera, quasi affannosamente, insegue
una voce fuori campo, perde e poi ritrova il “centro” dell’azione, passa da un volto a
un altro, da un’angolazione a un’altra, secondo una logica di esplorazione spaziale
fondata su un guardare “lì e allora”, su un “vedere che cosa sta accadendo” (esempio:
“Dancer in the dark”, Lars Von Trier).
Nasce il CCC (contemporary Contemplative Cinema). Ha le caratteristiche di essere
lontano dai modelli della narrazione classica, e in esso l’incontro tra uno sguardo e la
realtà rappresenta la centralità.
Interprete emblematico di questo cinema “contemplativo” è l’americano Gus Van Sant,
la cui “tetralogia della morte” (“Gerry”, “Elephant”, Last Days” e “Paranoid Park”) è
direttamente influenzata dall’ungherese Béla Tarr. “Gerry” si segnala come la ricerca di
un codice della rappresentazione in grado di cogliere intensivamente lo scorrere del
tempo, il suo manifestarsi e il suo durare; è un’avventura di corpi in movimento (i due
Gerry camminano, corrono, si fermano, si riposano, saltano, dormono, si dividono, si
ritrovano ecc).
La natura è molto presente attraverso la sabbia, le nuvole e il vento.
Il cinema assume un nuovo ruolo: rinnovata centralità sociale e culturale del cinema,
recupero e rilancio della capacità dell’immagine cinematografica di posizionarsi
“Redacted”
attivamente in rapporto a un reale. Ne è esempio emblematico (Brian De
Palma, 2007) in cui la ricostruzione di un episodio reale (lo stupro di una ragazza
irachena poi uccisa, assieme ai suoi familiari, da alcuni militari statunitensi) viene
ricostruito.
In particolar modo, i “media collage” sono significativamente associati ai principali
eventi storici che hanno segnato l’inizio del terzo millennio, vale a dire gli attentati
dell’11 settembre e il secondo conflitto iracheno. Le immagini che lo compongono
sono frutto delle riprese amatoriali e delle registrazioni audiovisive di un numero
imprecisato di cittadini e giornalisti.
Il dispositivo cinematografico, grazie alla sua forma e alla sua logica, si pone in tutti
questi casi come luogo di convergenza, contenimento e organizzazione della
testimonianza individuale, instaurando un “confronto veridittivo” basato non sul
principio (fragile) della somiglianza tra immagine e realtà, ma sull’intreccio delle
testimonianze. Dà vita a un processo di autenticazione intermediale.
Kathryn Bigelow sceglie di cominciare “Zero Dark Thirty” oscurando ciò che considera
l’inizio della storia, vale a dire l’attacco alle Torri Gemelle. Impone a quella tragedia
tutta visiva uno schermo nero, luttuoso e ormai cieco, lasciando allo spettatore
soltanto una traccia sonora. Segna puntigliosamente luoghi e date, da quell’11
settembre 2001 fino al 1° maggio 2011, quando i “canarini” (la squadra speciale
incaricata della missione finale) entrano nel rifugio di Bin Laden, passando per gli
attentati di Londra, New York; così, per dare avvio a una relazione costruttiva con
quanto indicato dalla frase con cui si apre il film (“Questo film è basato su
testimonianze di prima mano di fatti realmente accaduti”).
La ricerca di un ordine del discorso trova però il suo luogo esemplare nella
(ri)mediazione degli eventi da parte di un solo punto di vista (visivo, conoscitivo,
emotivo), quello di Maya, la protagonista. Maya, appena giunta in Pakistan da
Washington, apre pudicamente il sacco in cui p stato chiuso Bin Laden riportate dai
canarini, e lo guarda; anzi, lo riconosce, confermando così, attraverso quel contatto
visivo, che l’azione si è conclusa. E da qui, solo adesso, può davvero cominciare
un’altra storia, quella (caricata ovviamente anche di valori politici, sociali, morali) di un
pensiero della realtà mediato dalla rappresentazione.
Il cinema e l’11 settembre
Le ripercussioni dell’11 settembre investono in occidente i settori più diversi. Il
cortometraggio “The spirit of America” viene proiettato in oltre 10.000 cinema
americani, un montaggio di sequenze di celebri film statunitensi in cui si mostra la
determinazione degli eroi americani di fronte alle avversità. Se “The spirit of America”
è una sorte di “instant movie” con finalità retoriche piuttosto evidenti, nei 2 anni
successivi all’attacco vengono prodotti alcuni film che, più o meno direttamente,
affrontano l’evento dal punto di vista delle sue ripercussioni sul tessuto sociale
americano e sugli scenari globali.
INTRODUZIONE AL LINGUAGGIO DEL FILM
L'INQUADRATURA
= porzione di spazio delimitato e riprodotto dalla macchina da presa, escludendone
un'altra. Questo
gioco di scarti è sensibile a varie mutazioni (l'utilizzo di determinati obiettivi o cambi
dell'angolo di
ripresa, possono far rientrare nell'inquadratura e rendere visibili, in campo, elementi
che prima
erano relegati al fuori campo.
= sul dato temporale = il brano di film compreso tra 2 stacchi successivi della
cinepresa o 2 tagli della pellicola
- Profilmico
= risultato di un'operazione di selezione, e dunque di esclusione, compiuta dalla
macchina da presa
su ciò che ha di fronte
= tutti quegli elementi che si trovano concretamente davanti alla cinepresa (ambienti,
scenografie,
oggetti, personaggi)
Nella sua costruzione intervengono la disposizione dei personaggi, l'illuminazione, gli
accorgimenti e
le scelte che regolano la messa in scena.
Il cinema è imparentato con il teatro per la disposizione di oggetti e personaggi in uno
spazio.
= contenitore spazio-temporale che accoglie i personaggi, gli ambienti e le
trasformazioni che
costituiscono la materia della narrazione. Le dimensioni e la forma del contenitore
sono legate dal
punto di vista tecnico al formato della pellicola (definito in base al rapporto tra
larghezza e altezza del fotogramma) (formato tradizionale originario di Lumière e
Edison è rettangolare, mentre oggi ci
sono formati più larghi). Alcuni fil furono stampati negli anni '20 in formato quadrato ,
metà degli
anni '50 con una larghezza ancora più maggiore , come il cinemascope, x
spettacolizzare ancora di
più l'immagine.
- Filmico
= azioni svolte all'allestimento dello spazio e degli elementi del racconto
= si avvicina all'allestimento teatrale
= aspetto espressivo del cinema
L'angolazione e ,'inclinazione della macchina da presa e la distanza di essa dagli
elementi inquadrati,
in relazione alla posizione della cinepresa e alla maggiore o minore vicinanza dagli
oggetti e dallo
spazio ripreso ->
~ campo lunghissimo (CLL) = inquadratura estremamente estesa, tanto da
disperdere la visione
dei personaggi e delle loro azioni
~ primissimo piano (PPP) = inquadratura molto ravvicinata che focalizza lo sguardo
su parti del
volto e del corpo di un personaggio o di un oggetto
~ al dettaglio (D) = inquadratura molto ravvicinata che focalizza lo sguardo su parti
del volto e del
corpo di un personaggio o di un oggetto
La scala dei campi e dei piani offre una classificazione dei vari tipi di inquadratura
fondata sul
variare della quantità di spazio, della figura umana compresa entro i bordi del quadro.
Con le innovazioni tecnologiche si è potuto mutare la qualità e la quantità dello spazio
ripreso,
aumentandone la profondità e l'ampiezza. Dagli anni '40, grazie all'avvento
dell'obiettivo a focale
corta insieme ad una pellicola sensibile, è possibile mettere a fuoco sia l'avampiano
che lo sfondo.
-L'inquadratura e lo spazio
Le modalità di rappresentazione avvicinando l'inquadratura cinematografica alla
pittura. quadrum=
L'inquadratura è oggetto iconico bidimensionale illusoriamente profondo.
L'inquadratura è unità di visione = sguardo rivolto all'universo visibile.
L'inquadratura è unità di racconto = finestra su un "mondo altro", sulla diegesi.
Diegesi = personaggi, ambienti, azioni che costituiscono il mondo finzionale.
Entro la cornice dello schermo convivono due componenti: una figurativa e una
narrativa.
- L'inquadratura e il tempo
L'inquadratura cinematografica ha una durata ben precisa, determinata appunto, che
in termini
assoluti coincide con il tempo trascorso tra 2 stacchi successivi della macchina da
presa.
L'immagine cinematografica impone allo spettatore un tempo dato, che si misura in
relazione al
tempo di lettura dell'immagine. Il tempo di lettura è legato sia al contenuto sia alla
dimensione dell'inquadratura, poiché un PPP richiede un tempo di lettura assai minore
rispetto ad un quadro più esteso.
Il rapporto tra durata assoluta e tempo di lettura definisce la durata relativa e,
al variare di
questa relazione, si delineano le differenti situazioni di visione e fruizione
cinematografica.
- L'inquadratura e il movimento
Inquadratura = immagine in movimento.
Il dinamismo è una cosa che differenzia il cinema dalle arti letterarie e teatrali.
Il movimento ->
~ mette in rilievo la capacità di riprodurre in moto un oggetto in tutto il suo
svolgimento senza
soluzioni di continuità.
~ pone l'accento su una fondamentale prerogativa del linguaggio cinematografico:
essere sguardo mobile.
È la possibilità di spostare la macchina da presa a garantire quest'ultima caratteristica:
in modo
continuo, attraverso i movimenti di macchina (la cinepresa si sposta continuando a
filmare), oppure
in modo discontinuo, staccando tra una posizione e l'altra.
1. Il profilmico
= tutto ciò che si trova davanti alla cinepresa (ambienti, personaggi, costumi, oggetti
presenti nello
spazio della ripresa)
= illuminazione
= recitazione
= allestimento del set
La costruzione dello spazio profilmico riporta al teatro, infatti si parla di messa in
scena.
- Naturalistico vs artificioso
2 tendenze che determinano la predisposizione degli ambienti, la confezione dei
costumi e lo stile di
recitazione:
~ naturalistica = allestimento di uno spazio credibile, adeguato alla situazione
rappresentata e
vicino il più possibile all’esperienza degli spettatori
~ artificiosa (costruzione fantastica) = si mostra l’artificiosità, carattere di finzione, di
racconto per
immagini
Quello che appariva verosimile negli anni ’20, oggi può sembrare estremamente
manieroso e teatrale.
L’opposizione naturalistico/artificiale non si riferisce all’ambiente ricostruito in sé, ma
all’atteggiamento, all’intenzione che sottende alla predisposizione di tale ambiente.
Il cinema classico mira alla costruzione di uno spazio naturalistico, che riproduce
illusoriamente le
strutture dello spazio reale, occultando i processi e i meccanismi di costruzione della
finzione.
Nonostante sia orientato verso il verosimile, ammicca al trucco, all’alfabeto segreto
del suo farsi,
tramite l’utilizzo di trasparenti e modelli in scala.
Cinema classico = film girati ad Hollywood dal 1917 agli anni ’60.
Le regole e le consuetudini messe a punto negli USA in questo periodo hannofondato il
canone del film narrativo medio, proponendosi come modello allealtre cinematografie.
Il cinema moderno gioca spesso con la messa in scena del trucco. Ha 2 atteggiamenti:
~ pulsione azzerante, che vuole far piazza pulita dei teatri di posa e degli studi,
preferendo girare
nello spazio della realtà
~ prevale l’approccio meta-discorsivo, la volontà di smascherare, attraverso
l’esibizione di uno spazio
Platealmente teatrale, la natura artificiosa della messa in scena
1.1 L’ambiente: paesaggio e scenografia
Lo spazio dell’azione gioca un ruolo chiave nello sviluppo narrativo poetico del film.
- Ambiente naturale nouvelle
Caratteristica delle tendenze neorealistiche e, successivamente, delle varie
vague, ma anche del western e del noir.
- Ambiente ricostruito
Girare in studio, in ambienti completamente ricostruiti.
Vantaggioso per il controllo del set ( ogni dettaglio) e per la facilità di ripresa (si
organizza l’ambiente in funzione della cinepresa). Si possono costruire edifici ed
oggetti in scala ridotta e si possono usare pareti mobili e altri marchingegni per
facilitare l’uso della cinepresa.
Usato per i generi storici e fantascientifici, dove vengono ricostruiti interi ambienti per
riproporre la
storia vera e propria.
- Uso di modellini
Per realizzare inquadrature complesse, o per evitare costose riprese aeree, il cinema
classico
utilizzava modellini di edifici e città in scala ridotta.
- Uso di trasparenti
Questo trucco viene realizzato tramite la retroproiezione su pannelli trasparenti di
scenari
precedentemente girati (ad esempio in auto, alle spalle dei passeggeri).
1.2 L’illuminazione
La luce è vero e proprio vettore di senso poiché illuminare soltanto parzialmente un
personaggio
(popolare il quadro di ombre scure) significa introdurre una nota di ambiguità, una
sfumatura di
incertezza; mentre illuminare la scena in maniera uniformemente chiara contribuisce a
creare un
clima neutro.
- Sistema a tre luci
Per ottenere l’effetto di naturalezza costruita, il cinema classico utilizza dagli anni ‘20
un sistema a tre luci. La luce più utilizzata è il bianco, ma vengono utilizzati anche filtri
e tonalità colorate in alcuni casi(gelatina arancione davanti alle lampade -> effetto
lume di candela ; filtro blu -> ambientazione
notturna).
~ luce principale (“key light”) = luce primaria, determina la direzione complessiva
del fascio
luminoso e delle ombre
~ luce di riempimento (“fill light”) = potenza inferiore, attenua o elimina le ombre
proiettate dalla
luce principale
~ controluce (“back light”) = posta sul retro della scena per enfatizzare la profondità
spaziale e per dare rilievo a personaggi e oggetti che altrimenti risulterebbero
appiattiti sul fondo della scenografia
Con la sapiente disposizione dei punti luce, che vengono spostati e riposizionati a ogni
fase di ripresa, si afferma la luminosità chiara e diffusa, detta illuminazione in chiave
alta, tipica del cinema hollywoodiano classico.
L’ illuminazione in chiave bassa è caratterizzata da contrasti più forti e da un uso più
marcato del controluce. Tipica dei noir, atmosfere ambigue e drammatiche dei
racconti polizieschi.
- Illuminazione espressionista
Mentre a Hollywood si utilizzava il sistema a tre luci, in Germani veniva sperimentato
un altro approccio all’assetto luminoso in chiave più cupa. Vi era un forte uso del
chiaroscuro, per l’enfasi posta sulle ombre e per la giustapposizione nella stessa
inquadratura di zone estremamente illuminate ad aree
oscure, buie. Per questo effetto occorre indebolire o eliminare la luce di riempimento,
cosicché le
ombre generate dalla luce principale non perdano né contorno né intensità.
1.3 La figura umana: costumi e trucchi
Il personaggio determina il tono, l’atmosfera. Nei racconti ambientati in epoche
passate o in quelli di
fantascienza, il confezionamento di vestiti e accessori è fondamentale per la
collocazione cronologica.
- Costruzione della finzione
Nel genere storico (i film sono detti “film in costume”), la confezione dei costumi
deriva dall’informarsi da fonti pittoriche o da testimonianze iconografiche d’epoca.
Il genere fantascientifico, invece, può attingere dai fumetti e dalle illustrazioni della
letteratura
specializzata. Questo consente molta più libertà di allestimento rispetto al genere
storico.
La forma di un abito descrive e colloca il personaggio in un dato ambiente sociale e
morale.
- Il costume e la costruzione del personaggio
Spesso gli abiti e gli accessori svelano la vera natura del personaggio. A volte i
costumi interagiscono con le dinamiche di recitazione, i gesti e con le azioni del
personaggio.
- Trucco naturalistico e trucco maschera
Il trucco del volto, a contatto con le varie illuminazioni del film, determina la
definizione cromatica e
figurativa del film.
Gli attori sono sempre truccati, anche quando sembrano naturali.
Il trucco serve a far aderire il più possibile l’attore alla figura del personaggio.
Maquillage = il trucco espressionista con la tendenza a trasformare il volto in
maschera, rendendolo quasi un prolungamento della scenografia.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Lau_94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia e critica del cinema e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Genova - Unige o del prof Malavasi Luca.
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