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La novità nella progettazione ippodamea consiste nel fatto che gli isolati sono molto meno lunghi;
sono rettangoli con un rapporto tra lato lungo e lato breve che va da 1:1,5 a 1:1,75. Si supera quindi
la concezione tradizionale secondo cui gli stenopoi sono tutti orientati in un senso, mentre
le plateiai sono orientate solo nell’altro senso oppure formano una maglia reticolare primaria
molto ampia che è riempita da stenopoi paralleli. Le strade sono ora tutte di uguale larghezza; ci
sono semmai solo due strade più ampie, l’una ortogonale all’altra che si incrociano al centro
dell’abitato. C’è inoltre nella urbanistica ippodamea una zonizzazione molto rigorosa, ovvero una
netta distinzione tra aree con funzioni civili, commerciali e religiose le quali vengono ritagliate
all’interno del reticolo ortogonale.
Priene (fig.1.3) sempre in Asia minore nel 331 a.C. adottò lo schema ippodameo, dovuto al fatto che
il fiume Meandro inondava la città, perciò nella sua rifondazione si scalano lungo il pendio vari
settori urbani in forma di vasti terrazzamenti paralleli.
Il metodo urbano Ippodameo per certi versi fu adottato anche per plasmare le colonie romane,
quindi i plateai e stenopoi diverranno cardi e decumani, i Romani infatti furono per
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antonomasia i maestri nell’urbanizzare le città ed i rispettivi territori conquistati, anche quelli
rurali da sud a nord dell’Italia.
L’arte di urbanizzare il territorio assoggettato è stato il fattore più importante, per tenerlo saldo e
soprattutto renderlo funzionale, atto a garantire le esigenze di un grande impero.
In primis iniziavano a edificare gli accampamenti militari su un’area pianeggiane, tracciavano due
croci per impostare il castrum e si eseguiva tutt’intorno al perimetro un fossato e infine
innalzavano palizzate in legno per difenderlo. Molte volte l’accampamento o castrum dopo diverso
tempo diveniva una colonia al centro di un punto strategico (controllo di vie di comunicazione e di
passaggi importanti, in un territorio ricco di risorse, ecc.), quindi iniziarono a pianificare anche il
territorio intorno, così costruirono strade, ponti, acquedotti, fondavano altre colonie, bonificavano
aree paludose, ecc., tutto questo era indispensabile per accattivarsi i popoli autoctoni e dare un
sistema viario di collegamento veloce per la Capitale, ma anche per spostare con velocità merci e
legioni militari da un territorio all’altro dove ce ne era bisogno.
A questo punto vi era anche il territorio agricolo disponibile dopo la conquista militare veniva
suddiviso in CENTURIAE, lotti quadrati di 50 ettari (200 jugeri) di superficie che venivano
assegnati ai coloni , i lotti erano delimitati dai decumani, paralleli alla dimensione maggiore del
territorio o alla strada principale, e dai cardines, perpendicolari ad essi. L’operazione di
suddivisione dei terreni era eseguita con la groma o gnomon da tecnici specializzati (agrimensores
o gromatici), che provvedevano a realizzare due piante in bronzo del sito di cui una rimaneva nella
colonia e l’altra era inviata a Roma.
Se i Greci aprirono la strada alla razionalizzazione dell’area da urbanizzare, sono i Romani a
perfezionare l’urbanistica a tutto tondo, ovvero pavimentavano le strade, incanalavano le acque
meteoretiche e creavano fognature.
Un personaggio importante nel campo urbano fu Vitruvio, scrittore, ingegnere e architetto
romano del I secolo a.C., autore del trattato “De Architectura”, in cui teorizza la città organizzata su
una griglia ortogonale contraddistinta da due assi principali, ortogonali tra loro, Cardo Massimo
orientato a Sud-Nord, Decumano Massimo orientato a Ovest-Est. Queste strade principali dividono
la spazio urbano in quattro grandi parti, a loro volta suddivise in quadrati o rettangoli minori, dalle
strade secondarie tutte parallele al Cardo e al Decumano. Particolare attenzione veniva posta
all’aspetto monumentale e al foro, spazio commerciale e politico, luogo di incontro dell'intera
comunità .
2 fig.2 schema architettonico vituvriano
2 L. Benevolo, L’arte e la città antica, Laterza 1981; 3