vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
2. IL PROBLEMA DEL CONFINE ORIENTALE NELLA POLITICA ESTERA DI ALDO
MORO: ORIGINE E SVILUPPI DEGLI ACCORDI DI OSIMO
Moro e il problema dei rapporti italo-jugoslavi alla fine degli anni ‘60
Alla fine degli anni ’60, il miglioramento dei rapporti italo-jugoslavi preparava il terreno politico e
diplomatico di Aldo Moro, tornando alla guida della Farnesina ( Palazzo del Ministero degli Affari Esteri
nel 1969.
della Repubblica Italiana)
Moro si era già occupato dei rapporti italo-jugoslavi in passato, preoccupandosi di rafforzare la
cooperazione in campo economico e culturale e di favorire la collaborazione tra i 2 paesi per le
questioni internazionali ( senza affrontare direttamente la questione
Vietnam, Medio Oriente, disarmo)
d’assetto della zona A e B del TLT.
Nel 1965 Moro era stato il 1° Presidente del Consiglio a recarsi in visita ufficiale in Jugoslavia, per
discutere con Spiljak i settori d’intervento politico ed economico, escludendo la questione di Trieste.
Tuttavia, alla fine degli anni ’60 Moro decise di impegnarsi, per il bene dei rapporti italo-jugoslavi, per
la soluzione del contenzioso territoriale italo-jugoslavo, dando vita a un negoziato, che caratterizzò il
quadro internazionale caratterizzato dall’avvio del processo di distensione tra i 2 blocchi, culminato
con la firma del trattato di Helsinki del 1975 e delle rinunce territoriali della R.f. di Germania
seguendo la Ostpolitik.
I cambiamenti nella politica int. favorirono il progetto di Moro di concludere la questione di Trieste per
migliorare le relazioni con l’Austria e la Jugoslavia, con cui esistevano delle tensioni risalenti agli anni
della 2° guerra mondiale.
Moro decise che era il momento di creare una società fondata sui principi di solidarietà –
uguaglianza – pace capace di porre fine agli squilibri esistenti in campo economico – demografico –
culturale – militare.
Migliorare i rapporti con la Jugoslavia significava però andare incontro alle richieste dei socialisti e
comunisti italiani, sostenitori del regime di Tito e interessati a rafforzare il suo regime soprattutto dopo
quello che successe a Praga e dopo la dottrina di Breznev ( linea di politica estera sovietica nel quale
nessuna nazione era consentito di lasciare il Patto di Varsavia, né di turbare gli equilibri dei regimi a partito unico
nei paesi appartenenti al blocco orientale).
Moro era convinto che la sistemazione territoriale stabilita dal Memorandum di Londra del 1954 ( un
protocollo d’intesa tra Italia, GB, USA, Jugoslavia riguardante il TLT determinato dal Trattato di Parigi del ’47, nel
quale si stabiliva che la zona A era italiana e la zona B jugoslava. Il trattato di Osimo del ’75 confermava il confine
non fosse modificabile con la forza o con il consenso.
tra i 2 paesi)
Però Moro si rese conto che bisognava avere una soluzione rapida per la questione di Trieste
attraverso il riconoscimento della spartizione del TLT, ma che avrebbe suscitato reazioni negative sia
a livello locale che nazionale, proprio mentre l’Italia attraversava una fase delicata.
In altre parole, Moro voleva evitare che per ottenere un successo immediato si rovinassero i rapporti
con la Jugoslavia e decise di presentare l’accordo con la Jugoslavia come l’acquisizione definitiva di un
vantaggio territoriale, politico ed economico, attraverso il rilancio dell’amicizia tra i 2 paesi chiedendo
però da parte jugoslava di inserire la questione di Trieste in un negoziato politico ed economico per
ottenere benefici e vantaggi: una proposta articolata in 18 punti accolta positivamente dalla Jugoslavia
che avrebbe dovuto portare alla conclusione definitiva di un accordo tra i 2.
Tuttavia, il negoziato si rivelò piuttosto complesso. Secondo Ducci bisognava accettare il
Memorandum di Londra e formalizzare le frontiere; mentre Ferretti riteneva che la zona B concessa
alla Jugoslavia doveva avere un prezzo, individuato nella restituzione delle sacche e nell’ampliamento
verso sud della zona A e nello spostamento del confine marittimo del Golfo di Trieste.
Tutto ciò contribuì a rendere ancora più difficile il raggiungimento di un’intesa definitiva.
La Jugoslavia invece capiva che il riconoscimento italiano della zona A dipendeva dal riconoscimento
jugoslavo della zona B, altrimenti si rimetteva in discussione l’appartenenza di Trieste all’Italia.
La conclusione portò ad una crisi dei rapporti italo-jugoslavi, aggravati dalle critiche avanzate del
governo dovute alla pubblicazione di notizie relative ai contatti tra i 2 governi, provando proteste e
polemiche, con cui si chiedeva conto al governo delle notizie circolanti su questioni inerenti alla
sovranità italiana della zona B del mancato TLT.
Moro non rinunciò ai legittimi interessi nazionali, cosa che suscitò un irrigidimento da parte jugoslava,
che si colmò con la non venuta di Tito in Italia, che significava il fallito tentativo da parte di Belgrado di
operare una forzatura nei contatti segreti in corso.
Nonostante ciò, Tito tornò a chiedere con insistenza l’inserimento del problema territoriale nei temi di
discussione per esigenza di politica interna e per l’opinione pubblica slovena e croata che iniziavano a
sospettare che l’Italia non volesse concludere l’accordo.
La Jugoslavia voleva almeno il riconoscimento del confine adriatico, anche perché era stata proprio
l’Italia a dichiarare nel 1968 di essere interessata alla sopravvivenze e integrità jugoslava.
Cosi l’Italia diede qualche prova concreta avanzando 2 proposte:
Impegno per la prosecuzione delle conversazioni segrete finalizzate alla chiusura
dei problemi confinari
La decisione dei 2 governi di studiare entro il 1971 delle misure atte a migliorare il
benessere della jugoslava.
Le stesse proposte furono mandate al governo di Roma, ma la risposta fu negativa. Fu l’indisponibilità
italiana a provocare l’irrigidimento del governo jugoslavo, che approfittò a ritirarsi dalla situazione di
stallo in cui si era messo.
Tuttavia la crisi fu superata dopo qualche settimana grazie al colloquio chiarificatore tra Moro e Prica,
precisando che il riferimento ai legittimi interessi doveva essere inteso come un’affermazione di
carattere generale, ovvero valutato alla luce della soluzione globale delineatasi nei corso dei contatti
privati.
Risolta la crisi, Moro precisò che l’accordo doveva essere raggiunto senza provocare polemiche nella
vita pubblica italiana, era necessario dare una soluzione globale a tutte le questioni ancora pendenti
( e non solo al problema di Trieste e Capodistria attraverso un negoziato
sacche, accordi economici)
segreto.
In seguito fu possibile dar seguito alla visita di Tito in Italia nel 1971, un viaggio positivo rispetto a
quanto era accaduto nei mesi precedenti. Tuttavia la nuova amicizia italo-jugoslava dava
l’impressione di 2 paesi deboli e instabili che avevano bisogno di concessioni per sopravvivere.
La Jugoslavia premeva per la rapida chiusura della questione di Trieste attraverso la sua spartizione
nella speranza di riconquistare il consenso sloveno e croato; l’Italia invece vedeva nella
collaborazione con la Jugoslavia, un terreno d’intesa per creare un rapporto duraturo, unica via
d’uscita per superare l’instabilità politica.
Tuttavia, ci fu l’ennesima crisi nei rapporti italo-jugoslavi in quanto ancora una volta gli Jugoslavi
premevano di ottenere il riconoscimento della zona B del TLT; mentre da parte italiana si premeva
per far decorrere le intese della data di entrata in vigore del futuro trattato. In questo modo gli
indennizzi si sarebbero rivalutati e si sarebbero poste le basi per poter esigere un prezzo per la zona B
in termini politici economici e territoriali.
Si stabili che per l’interesse degli jugoslavi e della politica di buon vicinato e di amicizia, nel caso
qualcosa fosse andato storto o di rottura del trattato di pace, si sarebbe attivato un canale segreto
rappresentato da Carbone ( Snuderl (
direttore gen. del Ministero dell’Industria) e presidente del Comitato
federale per i rapporti economici).
Nel 1973 gli jugoslavi proposero un contro-progetto nel quale non tenevano conto né del documento
italiano e rappresentava un passo indietro rispetto ai 18 punti stabiliti nel 1968, e venivano eliminati dal
punto di vista territoriale-marittimo vantaggi per Trieste e Gorizia che avrebbero potuto giustificare la
rinuncia italiana alla zona B; ma nell’ultimo incontro di quello stesso anno, da parte jugoslava ci furono
delle difficoltà di negoziazione sulla base di un pacchetto presentato come “aut aut” prendere o
lasciare da parte italiana, studiato come una soluzione equilibrata in grado di andare incontro alle
esigenze di entrambe le parti.
Il contro-progetto venne rifiutato dalla parte italiana perché prevedeva la completa nazionalizzazione
in cambio di un indennizzo forfetario (somma a titolo di risarcimento pattuita a forfait, ovvero con un
compenso globale, valutato in base alle prestazioni).
Era evidente che la Jugoslavia mostrò un ulteriore motivo di mettere in crisi i rapporti con l’Italia,
minacciando di rendere pubblico il contenuto e l’esistenza stessa delle trattive in corso.
La Jugoslavia non aveva fatto un solo passo concreto in avanti nella soluzione del contenzioso
territoriale. L’ennesimo insuccesso negoziale diede a vita nel 1974 a polemiche alimentate dalla
decisione degli jugoslavi di forzare lo stallo delle trattative apponendo la scritta “Repubblica federativa
socialista di Jugoslavia” nei punti di transito delle zone A e B.
L’Italia rispose con una nota al Ministero degli Esteri con cui si aggiungeva che la linea Morgan era
sotto sovranità italiana, non più sotto un’amministrazione civile provvisoria.
Ma l’effetto fu disastroso poiché ciò venne interpretato come la conferma dei sospetti delle reali
intenzioni italiane.
La Jugoslavia era ancora in crisi con l’Italia alla fine degli anni ’60, destò le preoccupazioni del governo
americano che da tempo che non si interessava più alla questione di Trieste non ritenendolo
importante nella loro agenda politica. Fu il segretario di Stato Kissinger ad intervenire come
messaggero da parte italiana a chiedere la vertenza nel senso desiderato da Belgrado, a condizione
che ciò avvenisse alla fine di un negoziato globale su tutti i punti di contestazione per dare una
soluzione globale ad entrambi. Fu necessario che si attivasse il canale informale come linea di
sicurezza e di sblocco in caso di fallimento del negoziato.
La proposta globale di Carbone e Snuderl prevedeva:
Restituzione all’Italia delle zone occupate dalle truppe jugoslave
La spartizione del TLT lungo la linea Morgan definita dal Memorandum di Londra
La