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Il rapporto fra libertà politica e condizione sociale

Il rapporto fra libertà politica e condizione sociale diventa molto importante e tormentato per il liberalismo al culmine della rivoluzione industriale, quando la società borghese moderna diviene una società capitalistica nel senso pieno della parola, e genera una nuova aristocrazia (costituita dagli imprenditori capitalistici) e una nuova plebe (costituita dagli operai). In questa fase lo Stato non può più limitarsi ad una funzione puramente negativa (garantire le regole della convivenza fra gli individui) ma deve svolgere un ruolo sempre più interventista nella sfera sociale ed economica (politica fiscale) per alleviare le condizioni dei ceti più miseri e ridurre le tensioni sociali. Senonché questa nuova funzione non può esplicarsi senza una nuova concezione dello Stato e dei suoi rapporti con l'individuo: una concezione che mostra differenze di notevole portata rispetto al pensiero liberale classico. Tale processo.

può essere seguito nell'Inghilterra nel primo decennio del Novecento. Troviamo in alcuni pensatori una profonda trasformazione (indebolimento) degli ideali e della mentalità liberali. Questo movimento di idee culmina nella sintesi liberal-socialista di Hobhouse, per il quale la proprietà privata non è mai soltanto una realizzazione individuale, ma è sempre una realizzazione sociale, e quindi deve soddisfare i bisogni e le esigenze della società nel suo complesso; lo Stato deve garantire a tutti un lavoro e un salario decenti, e quindi deve intervenire ampiamente nell'economia e non limitarsi a sovvenire i ceti più poveri attraverso una rete di provvidenze e di servizi. Hobhouse auspica senz'altro una organizzazione socialistica dell'industria, anche se ha cura di distinguere il proprio socialismo liberale da quello illiberale (marxista). Occorre un nuovo tipo di liberalismo; la libertà non può essere solo

giuridico-politica, ma deve essere libertà anche nella sfera sociale (libertà dal bisogno, libertà di ricevere un'educazione). Su questo cammino non mancheranno estremismi da parte di autori liberali. E' il caso di John Dewey (1859-1952). Per lui il liberalismo non poteva superare la gravissima crisi che lo aveva colpito, se non compiendo un enorme salto qualitativo: abbandonare ogni mentalità liberalistica e costruirsi strumenti ideali e politici di tutt'altro tipo. Le credenze e i metodi del primo liberalismo, diceva Dewey, si sono rivelati inefficaci. Oggi, egli aggiungeva, limitarsi ad attribuire allo Stato il compito di garantire l'ordine fra gli individui e di assicurare riparazione a una persona la cui libertà sia stata danneggiata da un'altra persona, equivale a giustificare l'iniquità dell'ordine esistente. Il nuovo liberalismo auspicato da Dewey mirava a realizzare un'organizzazione sociale che mettessesotto controllo l'industria e la finanza, affinché esse servissero alla liberazione economica e culturale degli uomini. La causa del liberalismo, diceva Dewey, sarebbe stata perduta per molto tempo se non si fosse preparato a socializzare le forze produttive, a instaurare un'economia socializzata. Del carattere liberale del liberalismo di Dewey, è naturalmente lecito dubitare. La socializzazione dell'economia, quale che sia la forma in cui essa viene realizzata, comporta infatti sempre una fortissima coercizione politica da un lato e una gravissima limitazione del pluralismo economico-sociale dall'altro: cioè comporta cose che liquidano i fondamenti stessi della società liberale. Dewey si colloca al culmine di un processo che vede sempre più affermarsi, in determinati filoni del pensiero politico liberale, la distinzione fra eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale. L'eguaglianza sostanziale è assai piùimportantedell'eguaglianza formael; ovvero si sottintende che l'essenziale non è la libertà (civile e politica), bensì l'eguaglianza (sociale). Ma, questa è una posizione ideologica assolutamente incompatibile con il liberalismo. Tale posizione è stata efficacemente criticata da Kelsen, il quale ha osservato che è il valore di libertà e non quello di eguaglianza a determinare, in primo luogo, l'idea di democrazia. Certo, aggiunge Kelsen, anche l'idea di eguaglianza ha la sua parte nell'ideologia liberal-democratica: tutti debbono essere liberi, partecipare alla formazione della volontà dello Stato e essere uguali nei diritti politici. La libertà civile e politica è stata considerata sempre fondamentale dai liberali, perché senza di essa non possono essere raggiunte nemmeno quelle libertà sociali, che stanno giustamente a cuore al liberalismo più avanzato. A ciò si

Può aggiungere che siano assicurate a tutti le stesse opportunità; è un'esigenza che può essere soddisfatta solo da una società integralmente libera. Vero è che assicurare alla collettività determinati servizi e determinate provvidenze, e quindi garantire a tutti le stesse chances, implica una forte ridistribuzione della ricchezza e un ampio intervento dello Stato in molti settori della vita sociale, che vengono sentiti come una seria minaccia da molti liberali.

Intendiamoci: ben pochi liberali contestano le esigenze e le finalità del cosiddetto Stato del benessere (Welfare State). Su questo punto si registra una sostanziale convergenza fra liberali e democratici, o addirittura fra liberali e socialisti. E anche uno scrittore liberale come von Hayek, considerato da molti un conservatore, dopo aver rilevato che tutti gli stati moderni hanno adottato provvedimenti per gli indigenti, gli invalidi, e si sono preoccupati dei problemi

sanitari e della diffusione della scienza, ha affermato che non c'è ragione che, con il generale aumento della ricchezza, non aumenti anche il volume di queste attività di puri e semplici servizi, e che è impossibile negare che, quanto più ci arricchiamo, tanto più dovrà aumentare il ruolo dello Stato nel settore delle assicurazioni sociali e dell'educazione.

La differenza, semmai, fra liberali e democratici sorge sui modi e sui criteri di applicazione di tali provvedimenti. Poiché mentre i liberali sono più attenti ai meriti e agli sforzi della persona, e quindi sono propensi a mantenersi stretti nell'ammontare dei sussidi, i socialisti, invece, sono pronti a maggiori larghezze.

E Hayek, a sua volta, traccia quella che egli ritiene un'importante distinzione tra due diversi modi di concepire la sicurezza: c'è una limitata sicurezza che può essere realizzata per tutti e che pertanto non è un privilegio,

e assistenza sociale sia gestita da enti privati, in modo da garantire una maggiore efficienza e flessibilità. Il liberale ritiene che la sicurezza sociale debba essere basata sulla responsabilità individuale e sull'iniziativa privata, piuttosto che sull'intervento dello Stato. Pertanto, sostiene che ogni individuo debba essere libero di utilizzare le proprie capacità per raggiungere i propri obiettivi personali, senza essere vincolato da principi di giustizia distributiva imposti dall'esterno. Tuttavia, il liberale non nega l'importanza di garantire un livello minimo di sicurezza e benessere a tutti i membri della società. Pertanto, riconosce la necessità di fornire un minimo di mezzi di sussistenza per tutti e di garantire un certo livello di vita. Tuttavia, ritiene che questi obiettivi possano essere raggiunti in modo più efficace attraverso l'iniziativa privata e la gestione da parte di enti privati, piuttosto che attraverso l'intervento diretto dello Stato. In conclusione, per il liberale la sicurezza sociale è importante, ma deve essere garantita in modo tale da preservare la libertà individuale e promuovere l'iniziativa privata.

sociale siano forniti mediante la creazione di istituti assicurativi concorrenziali, al fine di evitare il monopolio. Invece, ha aggiunto von Hayek, la decisione di fare dell'intero campo delle assicurazioni sociali un monopolio statale, nonché quella di trasformare l'apparato costruito a tale scopo in un grande meccanismo di ridistribuzione del reddito, hanno condotta a una crescita progressiva del settore pubblico e dell'economia e a un costante restringimento di quell'area dell'economia in cui ancora prevalgono i princìpi liberali.

I fondamenti filosofici del liberalismo

Come sappiamo, i fondamenti filosofici del liberalismo sono stati in primo luogo giusnaturalistici. Il giusnaturalismo è la concezione alla quale si sono richiamati Locke, Montesquieu, Kant, Constant.

Ma non tutto il pensiero liberale è stato giusnaturalistico. Con Jeremy Bentham il liberalismo viene posto su basi largamente nuove. Bentham (1748-1832) sferra un violento attacco

Contro le concezioni giusnaturalistiche, e pone a fondamento dellapolitica l'utilità. Per lui il principio dal quale il buon legislatore deve partire non deve essere astratto (come i principi giusnaturalistici) ma concreto ed empirico. L'influsso sul pensiero liberale da parte di Bentham, è stato assai notevole. Su Mill, in primo luogo. Il quale, nella introduzione al suo saggio Sulla libertà, là dove espone i princìpi ispiratori della propria concezione, afferma: considero l'utilità il criterio ultimo in tutte le questioni etiche. Mill aggiunge però, che deve trattarsi dell'utilità nel senso più ampio, fondato sugli interessi permanenti dell'uomo in quanto essere progressivo. L'utilitarismo di quest'ultimo, nella fase più matura del suo pensiero, è assai lontano dall'utilitarismo di Bentham, dal quale lo divide una concezione assai ampia....Abbiamo parlato di fede

nell'individuo (l'individuo viene sempre prima di tutto). Einfatti alla radice del liberalismo c'è, né più né meno, una scelta di valore, alla quale è impossibile dare una base scientifica (la scienza del resto, non si occupa di scelte di valore). Tipico, il caso di Popper, il quale ha cercato di ricavare le regole e le procedure della società liberal-democratica, dalle regole e dalle procedure della scienza. Così egli ha sostenuto, in primo luogo, che, come la scienza progredisce verso teorie sempre più soddisfacenti ma mai definitive, così la società politica può evolvere verso forme e assetti migliori, ma mai definitivi (ogni assetto istituzionale è quindi sempre rivedibile e migliorabile). In secondo luogo, secondo Popper, come il problema della scienza è quello di controllare continuamente le teorie e di correggerne gli errori, così, sul piano politico-costituzionale, occorreIl testo formattato con i tag HTML corretti sarebbe il seguente:

Riconoscere all'organo in cui hanno luogo la discussione e il confronto (cioè al Parlamento) un ruolo decisivo, rispetto al quale il ruolo del governo, in quanto organo

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Publisher
A.A. 2020-2021
39 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/02 Storia delle dottrine politiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lorenzoloru42 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle dottrine politiche e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Giannetti Roberto.