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Il comunismo e l'autogestione in Francia

In Francia il comunismo si era fortemente insediato nel movimento operaio e la bandiera dell'autogestione venne abilmente sfruttata da Miterrand per far rinascere il partito socialista, e fargli conquistare l'egemonia a sinistra. Miterrand, ostile all'autogestione, proprio per il significato antisovietico, volle che venisse esclusa nel 1972 dal programma comune della sinistra. In seguito il pcf si vide però costretto a introdurre nella sua propaganda alcuni temi autogestionari, se non altro per contrastare la penetrazione dell'alleato-rivale socialista nell'elettorato comune a entrambi i partiti. La mossa finì invece con il conquistare all'autogestione un'intera ala del partito comunista. Nel frattempo, i dirigenti del pcf avevano però avuto modo di rendersi conto che l'autogestione non impegnava praticamente a nulla: bastava adottarla a copertura e a legittimazione del tradizionale programma di nazionalizzazioni della sinistra.

Miterrand riportava così una vittoria a sinistra, benchè il suo ricorso all'autogestione fosse stato non meno strumentale di quello del pcf. Ecco, come nel 1980, il leader socialista spiegava il significato che aveva per lui l'autogestione. Esistono, scriveva, due socialismi, uno storico profondamente segnato dall'impronta di Marx; è questo il nostro socialismo, quello della lotta di classe, della nazionalizzazione dei monopoli privati. C'è poi un altro socialismo, quello che io chiamerei associativo, più sensibile allo sviluppo delle solidarietà di base. Questi due socialismi hanno avuto due storie, che hanno generato due culture differenti e concorrenti. Preferirei che si completassero, per fondersi, piuttosto che continuare a opporsi per distruggersi. Il socialismo ha bisogno di tutti quelli che respingono il potere della classe dominante e rifiutano l'alienazione dell'uomo. L'autogestione viene concepita da anarchici.e sindacalisti rivoluzionari come antitesi radicale alcollettivismo marxista. Mitterrand la considera, invece, soltanto come una mascheralibertaria da sovrapporre al collettivismo, per far credere che quest'ultimo nonprovocherà in Francia i malanni che ha sempre provocato altrove.Non sorprende pertanto che, una volta pervenuto al potere nel 1981, il partitosocialista mitterandiano si sia lanciato in una serie di nazionalizzazioni a tappeto,dimenticandosi completamente dell'autogestione. Di là a poco, sotto l'urgere di unacrisi economica (effetto della politica socialista) che minacciava di farsiincontrollabile, Mitterrand obbligava i suoi a una svolta, trasformando d'improvviso ilpsf da distruttore a gestore leale del sistema. Esproprio dei capitalisti e autogestionenon furono ripudiati, restarono anzi l'anima del partito; ma la loro attuazione vennerinviata a un futuro dai contorni sempre più irreali.Gli stessi problemi ideologici, che

Hanno contrassegnato la vicenda delle principali socialdemocrazie europee negli ultimi vent'anni, si ritrovano, in forma molto più acuta, nella lunga marcia del PCI per svincolarsi dal proprio passato.

Nello sforzo di delegittimarsi come forza di governo, i leaders del PCI hanno trovato l'ostacolo insuperabile in se stessi. Impossibile rinunciare a negare la proprietà privata. Impossibile, però, accontentarsi di ridurre l'abolizione del capitalismo a una parola d'ordine rituale, del tutto teorica e molto futuribile.

Via via che l'aggravarsi della crisi di quel modello induceva i dirigenti del PCI a prendere le distanze da esso, o addirittura (come fece Berlinguer alla vigilia delle elezioni del 1976) a porre il proprio progetto di socialismo sotto la protezione dello scudo della Nato, cresceva obiettivamente il rischio che anche l'anticapitalismo dei comunisti italiani, senza essere ripudiato, venisse perciò a poco a poco relegato in soffitta.

come stava accadendo a quello dei partiti socialisti. In quest'opera di demonizzazione della socialdemocrazia si distinse Berlinguer, l'uomo dello strappo dall'Urss, ma anche l'uomo della "trasformazione rivoluzionaria della società" e della "fuoriuscita" dal capitalismo. Un nuovo modello di socialismo, in grado di assicurare la trasformazione rivoluzionaria della società e la fuoriuscita dal capitalismo senza andare a parare nel collettivismo burocratico e oppressivo, Berlinguer lo trovò nel PSF. Tanto che dopo la vittoria elettorale del PSF del '81, Berlinguer venne additato dal PCI, in contrapposizione a Craxi, come il vero Mitterrand italiano. Il leader comunista, scomparso nel 1984, non visse abbastanza per rendersi conto, fino in fondo, che con la svolta del 1983, anche Mitterrand aveva ceduto alla logica del capitalismo, per cui nella ricerca di una forma di abolizione del capitalismo adeguata all'Occidente, dainstaurare e gestire democraticamente, il PCI era rimasto senza partito guida e senza modello. D'altra parte, non è neppure esatto che l'ideologia di Berlinguer avesse gli stessi connotati di quella di Mitterrand. Divergevano, anzi, su un punto di importanza decisiva. Nelle formule cui ricorse Berlinguer (prima il compromesso storico, poi la "terza via") c'è più o meno esplicita, un'eredità inquietante della tradizione comunista: la nostalgia del partito unico. Il teorizzatore esplicito del superamento del pluripartitismo, è il cattolico comunista Rodano che scriveva nel 1975: "l'esistenza di un'opposizione non è affatto una necessità; nel caso che venisse a formarsi una direzione politica pienamente capace di adempiere i propri compiti, è inevitabile che lo schieramento oppositorio venga a ridursi al minimo o addirittura a scomparire.". Per cui, quando esiste una forza portatrice, storicamente,di una pienezza di verità politica, non si vede assolutamente perché la pluralità dei partiti non debba rapidamente ricomporsi in un indirizzo unitario, anzi in una sola formazione. Alcuni ritenevano (così sintetizzava il loro pensiero Pansa) che come l'immagina Berlinguer, la terza via non è soltanto un oggetto misterioso: è un'illusione non realizzabile, e comunque alla lunga, ha come sbocco un regime a partito unico; quindi, l'unica via che si può percorrere è quella segnata dalle socialdemocrazie. Si capisce per tanto, che ci sia voluto del crollo del socialismo reale per indurre Occhetto a rischiare il tutto per tutto proponendo il cambiamento di nome del partito. Eppure quella svolta non è bastata a esorcizzare neanche dalla mente del suo protagonista, lo spettro del capitalismo: da superare, da abolire, da lasciarsi alle spalle. Nella tradizione socialista, quando si contrappone la socializzazione (come fa Occhetto)alla statalizzazione integrale, si pensa all'autogestione o al socialismo di mercato o alle due cose insieme. Ma anche ammettendo, in via di ipotesi, che collettivismo e mercato si possano conciliare, il risultato non corrisponderebbe affatto al sogno socialista della società armonica. Società armonica cos'altro significa, infatti, se non società di individui pienamente solidali? E dunque di individui impegnati a collaborare nella realizzazione di un piano comune, non a competere tra di loro. Vale a dire una società senza mercato. Proprietà privata e mercato sono insomma, due facce della stessa medaglia: o stanno insieme o cadono insieme. Il comunismo anzi, parte dall'abolizione del mercato (che, basandosi sulla competizione tra gli individui, distrugge la solidarietà) per arrivare a quella della proprietà privata, e non viceversa. Così come non è possibile abolire la proprietà privata, senza abolire il mercato.

Per la stessa ragione non è possibile l'operazione inversa: restaurare il mercato, senza restaurare la proprietà privata. La ragione del fallimento di tutti i tentativi di riformare il sistema, che sono stati messi in opera in Urss, sta proprio nel non aver saputo o voluto capire questa verità.

La perestrojka di Gorbaciov si mosse, con maggiori ambizioni, ma con le stesse contraddizioni. Fu lo stesso segretario del PCUS ad affermare che doveva cercare di migliorare le cose senza cambiare nulla, preservando cioè l'essenza del modello burocratico-totalitario dell'economia. Non ci si deve lasciar troppo suggestionare dal giudizio dello storico marxista Hobsbawm: "Gorbaciov fu e passerà alla storia come una figura tragica che distrusse ciò che voleva riformare e perciò fu distrutto a sua volta in questo processo.". Hobsbawm sembra scaricare sulle spalle di Gorbaciov, sull'incapacità dell'ultimo segretario del

PCUS di essere all'altezza del compito che si era assunto, il fallimento dell'impresa di riformare il socialismo reale, trasformandolo in uno degli "altri tipi di socialismo" possibile. Se avesse capito che la fuoriuscita dal socialismo era l'unico sbocco, forse avrebbe esitato a intraprendere il cambiamento che poi gli ha preso la mano. C'è un futuro, e quale, per i partiti socialisti? La fine del comunismo non ha giovato all'immagine e alle fortune della socialdemocrazia. Il fatto viene solitamente considerato come una fortuna coincidenza storica: il venire ad esaurimento del programma che ha rappresentato la socialdemocrazia: il Welfare State. Tanto che vi è stato chi, come Dahrendorf, ha parlato di fine del secolo socialemocratico. Una fine dovuta alla completa realizzazione del programma. Una, insomma, che è tutt'altra cosa da un fallimento. Nel 1989, Dahrendorf, ribadiva che il programma di una società decente evidentementenon bastava più per l'elettorato delle società avanzate. Ribadiva anche, però, che questo cambiamento di fortune per la forza politica dominante del secolo era dovuto alla vittoria: come i liberali inglesi del 1911, i socialdemocratici alla fine degli anni Settanta avevano conquistato l'Europa. Questa interpretazione, tuttavia, non coglie il nocciolo della questione. Non spiega perché, per la socialdemocrazia, la scomparsa dalla scena del comunismo, non abbia procurato alcun sollievo alla sua propria crisi. Abbia, al contrario, contribuito a conferire ai malanni della socialdemocrazia un carattere agonico, quasi che il fratello siamese l'avesse contagiata della propria morte. D'altra parte, se è evidente che il Welfare State va radicalmente ripensato e riformato, altrettanto evidente è che la sua abolizione pura e semplice appare impensabile. Non dice nulla il fatto che negli anni della Thatcher, che si ispirava al liberismo, la spesa.

assistenziale e previdenziale in Gran Bretagna si è cresciuta del 3% all'anno? C'è inoltre, nel capitalismo democratico

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Publisher
A.A. 2020-2021
28 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/02 Storia delle dottrine politiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lorenzoloru42 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle dottrine politiche e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Giannetti Roberto.