CAPITOLO QUINTO: AUTORITÀ E LIBERTÀ
Per Proudhon l’ordine politico si fonda su due opposti principi: l’autorità e la libertà. La loro antinomia è la sicura garanzia del fatto che un terzo termine è impossibile; dall’altra parte il rapporto tra queste due polarità non può risolversi in un completo annullamento della prima a favore della seconda. Vi è invece la concezione di una complementarità fra i due termini, nel senso che la libertà è completa solo quando si accorda con la necessità.
La libertà non può farsi soggetto assoluto. Anch’essa deve rispettare le particolarità e le determinazioni del reale.
Proudhon avverte una sorta di rischio assolutistico insito nel concetto di libertà, qualora essa non venga divisa fra più soggetti politici e sociali.
La necessità è dunque la condizione della libertà. La chiara consapevolezza
del rapporto fra necessità e libertà non impedisce comunque a Proudhon di continuare a pensare che solo nell'attendenza al superamento della costrizione fisica e sociale l'uomo si realizza come libero. A suo giudizio, in tutto il corso della storia umana sono stati concepiti essenzialmente solo quattro regimi politici. Fondamentale quadripartizione che egli stesso così sintetizza: Regime d'autorità: - governo di tutti da parte di uno: monarchia o patriarcato - governo di tutti da parte di tutti: panarchia o comunismo Carattere peculiare di questo regime è l'indivisione del potere. Regime di libertà: - governo di tutti da parte di ciascuno: democrazia - governo di ciascuno per sé: anarchia o autogoverno Carattere essenziale di questo regime, nelle due specie, è la divisione del potere. L'anarchia è l'estremo svolgimento logico della democrazia, così il comunismo è...l'estremosvolgimento logico della monarchia. L'ordine politico poggia le sue basi su due principi contrari: l'autorità e la libertà, il primo dei quali iniziatore, il secondo determinante. Questi due principi formano, per così dire, una coppia, i cui due termini, indissolubilmente legati fra loro, sono tuttavia irriducibili l'uno all'altro e restano, a dispetto di ogni nostro sforzo, in lotta perpetua fra loro. Se sopprimete l'una, l'altra non ha più senso: l'autorità, senza una libertà che discuta, resista o si sottometta, non è che una vuota parola; la libertà, senza un'autorità che le faccia da contrappeso, è un nonsenso. Il principio d'autorità, principio familiare, patriarcale, magistrale, monarchico, teocratico, tendente alla gerarchia, alla centralizzazione, all'assorbimento, è dato dalla natura. Il principio di libertà, personale, individualista.critico, che porta alla divisione, all'elezione, alla transazione, ci è dato dallo spirito. In ogni società, anche la più autoritaria, una parte è necessariamente lasciata alla libertà, così come in ogni società, anche la più liberale, una parte è riservata all'autorità. Tutte le costituzioni politiche e tutti i sistemi di governo, compreso il federalismo, possono ricondursi a questa formula: l'autorità controbilanciata dalla libertà, e viceversa. Data la tendenza del nostro spirito a ricondurre tutte le sue nozioni a un principio unico, e quindi a eliminare quelle che sembrano incompatibili con quel principio, due differenti tipi di governo si possono dedurre a priori da quelle due nozioni basilari, secondo la preminenza o preferenza che si vuole accordare all'una o all'altra, e sono: il regime di autorità e il regime di libertà. Ed essendo inoltre la società.composta da individui, e potendosi classificare i rapporti fra l'individuo e la società in quattro diversi modi, ne risultano quattro tipi di governo, due per ciascun regime: 1. Regime d'autorità: a) governo di tutti da parte di uno: monarchia o patriarcato; b) governo di tutti da parte di tutti: panarchia o comunismo; Il carattere essenziale di questo regime d'autorità, in ambedue le specie, è l'indivisione del potere. 2. Regime di libertà: a) governo di tutti da parte di ciascuno: democrazia; b) governo di ciascuno per sé: anarchia o autogoverno; Il carattere essenziale di questo regime di libertà, in ambedue le specie, è la divisione del potere. Ebbene, in ciò sta precisamente l'errore. 1. Noi sappiamo qual è la base del governo monarchico, espressione primitiva del principio d'autorità (mi basti rimandarvi a de Bonald): è l'autorità paterna. La famiglia.è l’embrione dell’amonarchia: i primi Stati furono in genere famiglie o tribù governate dal loro capo naturale, marito, padre, patriarca e, finalmente, re. In tal regime, lo Stato si sviluppa in due modi: o per generazione e moltiplicazione naturale della famiglia, tribù o razza; o per adozione, cioè incorporazione volontaria o forzata delle famiglie e tribù circostanti, ma in modo tale che queste nuove tribù vengano a comporre con la tribù madre una sola famiglia, restando come questa sottoposte allo stesso capo domestico. Questo secondo sviluppo dello Stato-famiglia può arrivare a proporzioni immense, fino a centinaia di milioni di uomini sparsi su centinaia di migliaia di leghe. La panarchia poi, o pantocrazia, o comunità, si produce naturalmente per la morte del monarca o capo famiglia e la dichiarazione dei sudditi, fratelli, figli o associati, di restare indivisi senza tuttavia scegliersi un nuovo capo. Questa formaLa politica è rara per non dire praticamente inesistente, poiché l'autorità dello Stato è in essa più pesante e l'individualità più oppressa che con qualunque altro regime. Non la possiamo vedere adottata se non dalle associazioni religiose, le quali, in tutti i Paesi e con qualunque culto, hanno mirato sempre all'annientamento della libertà. Tuttavia il suo principio è naturalmente dedotto dall'idea di autorità, come il regime monarchico, e si può trovarlo applicato in certi governi "di fatto"; cosicché ci era pur necessario farne menzione. Così la monarchia, fondata sul fatto naturale della famiglia e giustificata dal naturale principio d'autorità, ha una sua legittimità e una sua moralità; e lo stesso si può dire del comunismo. Malgrado la loro origine patriarcale, il loro ideale pacifico, il fascino dell'assolutismo e del diritto divino.
in nessuna parte del mondo possiamo trovare monarchia o comunismo che siano rimasti fedeli al loro archetipo. 2. Come nasce d'altra parte il regime democratico, spontanea espressione del principio di libertà? Rousseau e la Rivoluzione ce l'hanno insegnato: in base a una convenzione. Qui la filosofia non c'entra più, lo stato di libertà ci appare non più come il prodotto della natura organica, della carne, ma della natura intelligibile, che è spirito. Se lo Stato si troverà a far guerra e si farà conquistatore, il suo principio lo porterà ad accordare alle popolazioni conquistate gli stessi diritti di cui godono i propri cittadini: è quel che si indica col termine isonomia. Così procedevano i Romani quando concedevano il diritto di cittadinanza. Così allo sviluppo dello Stato autoritario, patriarcale, monarchico o comunista, si oppone lo sviluppo dello Stato liberale, contrattuale e democratico. Comevarietà del regime liberale, ho segnalato l'anarchia, o governo del singolo da parte del singolo, cioè autogoverno. Poiché l'espressione "governo anarchico" implica una specie di contraddizione, la cosa sembra impossibile e l'idea assurda. Tuttavia il difetto è qui soltanto nell'espressione: la nozione di anarchia, in politica, è altrettanto razionale e positiva quanto le altre. Essa consiste nel fatto che, qualora si riducessero le funzioni politiche alle funzioni dell'umana industria, l'ordine sociale risulterebbe dal solo fatto delle transazioni e degli scambi; e ciascuno allora potrebbe chiamarsi autocrate di se stesso, che è l'estremo opposto dell'assolutismo monarchico*. E ancora: come la monarchia e il comunismo, fondati su un fatto di natura e sulla logica, hanno la loro legittimità e la loro moralità, senza che tuttavia possano mai realizzarsi in tutto il rigore e la coerenza.Purezza della loro idea, così la democrazia e l'anarchia, fondate sul principio della libertà e sui suoi diritti, e perseguendo un ideale logicamente dedotto da tal principio, hanno la loro legittimità e la loro moralità. Ma vedremo altresì come, malgrado la loro origine giuridica e razionalista, neppure questi regimi possano, accrescendo e sviluppandosi in popolazione e territorio, mantenersi rigorosamente e limpidamente coerenti con la loro primitiva idea, e restino perciò condannati a uno stato di desiderata perpetuo: malgrado il potente fascino della libertà, né la democrazia né l'anarchia si sono mai in alcun luogo costituite nella pienezza e integrità della loro idea.
Proudhon, in una lettera del 20 agosto 1864 a "l'éditeur du Dictionnaire Larousse", specifica ulteriormente: "Quanto all'anarchia, ho inteso indicare con questo termine il limite estremo del progresso politico."
L'anarchia è, se così posso esprimermi, una forma di governo o di costituzione in cui la coscienza pubblica e privata, formata dallo sviluppo della scienza e del diritto, è di per sé sufficiente a mantenere l'ordine e a garantire tutte le libertà; di conseguenza il principio d'autorità, le istituzioni preventive e repressive e la burocrazia sono ridotte alla loro forma più semplice, e a maggior ragione sono scomparse le forme monarchiche e la forte centralizzazione, sostituite dalle istituzioni federative e dai costumi comunali. Quando la vita politica e l'esistenza domestica saranno identificate, quando, con la soluzione dei problemi economici, gli interessi sociali e individuali saranno equilibrati e solidali, è evidente che scomparirà ogni costituzione e saremo in piena libertà, cioè in anarchia. La legge sociale si compirà da se stessa, senza bisogno d'ordine e sorveglianza.
grazie alla spontaneità universale» [N.d.C.]
CAPITOLO SESTO: L'ASSOCIAZIONE DEGLI UGUALI
Il principio proudhoniano d'associazione riprende implicitamente il concetto di forza collettiva
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