vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
V
-LE CARTE, I RAMI, I BRONZI, I MARMI
All'aprirsi del nuovo secolo (il Seicento) nell'uso e nella tipologia della scrittura d’apparato si delineano
due diversi e opposti filoni:
- l’uno di tradizione tardo rinascimentale, derivato direttamente dalle litterae sixtinae di
Orfei, rigoroso e ancora legato al rapporto rigidamente geometrico tra disegno delle lettere,
-
disposizione dello scritto e superficie adoperato prevalentemente per le scritte esterne, fatte per
-
essere inserite in un contesto architettonico aperto e per le grandi dimensioni proprio della
committenza pubblica;
- l’altro invece aperto a nuove tecniche nuove sperimentazioni, sia nella forma delle lettere,
-
sia nel rapporto fra esse e gli spazi monumentali usato soprattutto negli interni, per iscrizioni di
-
limitate dimensioni e iscritte in monumenti soprattutto funebri più legato alla committenza
privata.
Le iscrizioni pubbliche eseguite a Roma durante i pontificati dei papi eredi e continuatori di Sisto V
appartengono al filone orfeiano e ne costituiscono quasi il culmine e il coronamento stilistico e espressivo:
ma ne esaltano e ne esagerano anche le caratteristiche formali.
Mentre Sisto V aveva avuto al suo servizio un grande grafico, cioè Luca Orfei, della cui attività sappiamo
molto, Clemente VII e Paolo V ne ebbero altri, di altissima qualità professionale, ma di cui sappiamo assai
poco oltre il nome. Primo fra questi va considerato Marcantonio Rossi, scrittore miniatore di libri liturgici.
La cifra architettonica dell’epoca (il Seicento) era la novità, la stranezza, che si esprimeva anche -se non
soprattutto- attraverso la mole, la grandiosità, l’incoerenza delle strutture, cui necessariamente si
contrapponeva la gigantesca scrittura epigrafica all’antica disegnata dalla mano sicura degli ultimi ed
oscuri epigoni della tradizione grafica orfeiana.
VI -LUTTO, DISSIMULAZIONE, CELEBRAZIONE
Non soltanto le forme, ma la destinazione e la funzione stessa delle scritture di apparato si andavano
rapidamente modificando nella società e nel gusto dell'Italia del tempo, parallelamente all'affermazione
definitiva di quelle innovazioni già affacciatesi nell’ultimo quarto del ‘500 che avrebbero caratterizzato
quasi tutta la produzione epigrafica di natura funeraria del ‘600.
1) Il ricorso alla finzione di materie improprie su cui disporre i testi (es. superfici dure
raffiguranti cartigli lignei, drappi increspati, pelli di animali…);
2) La dislocazione della scrittura secondo linee di movimento ricurve o ondulate
caratteristiche dello stile figurativo dell’epoca con conseguenti deformazione del segno e
diminuzione di leggibilità;
3) La policromia degli scomparti scritti, che sempre più di rado sono bianchi e sempre più
spesso bianchi, rossi o di marmi variegati per richiamare un motivo araldico;
4) La policromia delle lettere incise, ora bianche su fondo nero, ora gialle, dorate, metalliche;
5) La fuoriuscita del testo dallo schema tradizionale a targa piatta quadrangolare e
l’affermazione di formati plurimi diversamente articolati;
6) La scomposizione del testo in più scomparti o sezioni parallelamente alla complessa
partizione del monumento e delle sue figurazioni.
L'epigrafia funeraria del periodo barocco esprimeva vivamente una serie di tendenze comuni all'arte e alla
poetica artistica del tempo, innanzitutto la ricerca del movimento questo segna la rottura con la tradizione
epigrafica classica, mai come ora negata e ininfluente.
In realtà l’incisione delle lettere su finte materie improprie, il ricorso alla policromia, la dislocazione dello
scritto su piani diversi, la rottura dello schema geometrico piano erano tutti elementi che riducevano di per
sé la leggibilità dei testi incisi, ma tale effetto era consapevolmente ricercato.
> Nei nuovi spazi che l’architettura urbana seicentesca andava aprendo nelle città italiane la scrittura
monumentale esposta non trovava più una sua funzione e un suo ruolo es. sono prive di scrittura
d’apparato piazza San Pietro e piazza Navona a Roma, come anche le ville suburbane degli aristocratici:
> >
dislocazione dissimulazione negazione dello scritto.
Il pubblico si faceva protagonista del processo interpretativo, un pubblico che era divenuto protagonista
dell’uso e della funzione stessa delle scritture d’apparato perché committente delle iscrizioni e dei
monumenti stessi che le contenevano, ma anche perché padrone degli spazi nei quali essi andavano esposti
è un pubblico formato da nobili di corte, di ecclesiastici, di professionisti e aspiranti alla nobiltà. Tale
fenomeno fu agevolato dalla selvaggia iconoclastia contro-riformistica che svuotò le chiese della
produzione figurativa esistente, condannata per ragioni ideologiche, e ne consegnò lo scheletro a reti di
promozione sociale della classe dominante.
Roma e Venezia sono i due poli dell’epigrafia d’apparato barocca.
VII -MONUMENTALE EFFIMERO MONUMENTALE CARTACEO
“Il cannocchiale aristotelico” di Emanuele Tesauro (1655), un trattato di stile epigrafico è manifesto
teorico e pratico dell’epigrafia barocca; molto sentita era la preoccupazione della funzione del genere
epigrafico in rapporto a un preciso pubblico di leggenti, cui i messaggi insiti nei singoli elaborati dovevano
giungere ben comprensibili.
Tra le iscrizioni redatte da Tesauro, molte fanno parte di una…
Scrittura d’apparato “effimera”: testi redatti in stile epigrafico ma destinati a una pubblicazione su
pagine, ovvero a una collocazione temporanea su apparati, archi, macchine da adoperarsi in feste e
pubbliche celebrazioni e destinati ad essere distrutti non appena esaurita la loro funzione vestiva o luttuosa;
assai consueta nelle città italiane e europee di Sei-Settecento.
Rapporto fra le due forme: la scrittura effimera offriva all’altra sperimentazioni ardite e diverse, mentre
l’epigrafia su materie dure forniva pur sempre il modello stabile e difficilmente modificabile del rapporto
tra monumento e scrittura; è spesso l’epigrafia effimera ad apparire come pura e semplice ripetizione
dell’altra più nobile.
Tra le due forme esisteva nella cultura scritta dell’Europa scritta un quid medium:
“monumentale cartaceo”: libri contenenti testi epigrafici, di frontespizi e illustrazioni costruiti a modo di
epigrafi o comunque in stile lapidario; costituisce una caratteristica della produzione editoriale europea del
‘600-‘700.
Si trattava di opere di lusso, un prodotto d’apparato con precisa funzione celebrativa: assai diverso dal libro
rinascimentale, consacrato a un uso spettacolare e visivo della scrittura; l’immagine acquistò un suo valore
autonomo e il significante egemonizzò il significato, anche grazie a:
• Concezione unitaria dell’opera come oggetto-prodotto, fatto in ugual misura di testo e
immagini e frutto di collaborazioni.
• Mutamento dei formati e comparsa dei formati grandi od oblunghi a forma di album.
• Alternarsi nei titoli e nei testi di corpi e di caratteri diversi.
• Inserimento della scrittura non a caratteri mobili ma incisa nel contesto stesso delle figure e
degli ornati.
• Introduzione dell’antiporta figurata precedente al frontespizio.
Come in quello dell’epigrafia effimera così i grandi architetti del tempo operarono anche nel campo
dell’epigrafia cartacea, inserendo disegni e illustrazioni dai motivi epigrafici
es. Bernini, Juvarra.
VIII IL RITORNO ALL’ORDINE: TRA RESTAURAZIONE E RIVOLUZIONE
- INDUSTRIALE
Il Settecento accentua a Roma e Venezia, le due capitali della cultura grafica italiana, tendenze e motivi
propri del tardo Barocco.
> a Venezia la produzione libraria di lusso segue una sua stilizzazione caratterizzata dal ricorso a cartelle
floreali e a lettere capitali fiorite di suggestione barocca.
Il più bel libro illustrato del Settecento è “La Gerusalemme liberata” di Tasso, edita Venezia nel 1745.
> a Roma, però, già prima della metà del secolo è possibile cogliere qualche accento nuovo: si torna a
imitare l’epigrafia classica sia nella produzione lapidaria sepolcrale o pubblica sia nell’editoria di impegno,
abbandonando le forme inconsuete barocche e obbedendo a precise regole geometriche ispirandosi al gusto
neoclassico l’interesse per le scritture d’apparato del lontano passato classico pone le basi per una
rivoluzione del gusto grafico che avrebbe cambiato le scritture d’apparato e i prodotti scritti di ogni genere;
i due protagonisti italiani di questa rivoluzione furono:
• Giambattista Piranesi, incisore in rame, pubblicava libri particolari fatti di tavole incise su
rame e di grande formato, appartenenti alla tradizione secolare del trattato scientifico e del volume
celebrativo:
- interesse per la scrittura epigrafica romana, che riproduceva fedelmente mediante
l’incisione in rame immagine di città monumentale scritta come la Roma imperiale
- littera piranesiana a metà degli anni ’50: è la capitale d’apparato che campeggia
trionfalmente nei frontespizi delle sue opere maggiori, incisa sempre in rame in modo da
apparire come scolpita a rilievo perché fosse leggibile nella prospettiva d’angolo delle lastre
dei monumenti (disposte obliquamente).
Antonio Morcelli pubblica il manuale De stilo inscriptiorum latinorum (1781) fatto di regole e esempi
che rappresenta la codificazione definitiva di una normativa neoclassica in campo epigrafico (# Tesauro
epigrafia barocca).
• Giambattista Bodoni, intagliatore di caratteri, tipografo, editore e teorico dell’arte
tipografica, lesse i grandi libri di Piranesi e apprese la littera piranesiana
- le prime prove, come direttore della Stamperia reale di Parma nel 1768, si collocano nel
solco della tradizione barocca del secolo; dal 1770, quando cominciò a incidere caratteri per proprio
conto, concentrò la sua attenzione sul puro elemento grafico Bodoni, a proposito, elaborò principi
teorici ed estetici che elencò nel suo Manuale tipografico: forme grafiche basate sulla regolarità,
nettezza e forbitura dell’intaglio, grazia, perfetta simmetria; i principi riguardavano anche il
rapporto fra scrittura e spazi bianchi (impaginazione), l’uso dell’ornamentazione, l’equilibrio
grafico dei frontespizi ridotti all’essenziale con sobrietà tutta lapidaria. Insistette molto
sull’opportunità dei formati grandi, prendendo una posizione non dissimile da quella di Piranesi.
- Bodoni elaborò moltissimi caratteri latini, ma anche svariati altri alfabeti per altre scritture,
esempio: greca, cirillica…; pubblicò una se