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TERPANDRO
Nacque nei primi anni del VII sec. e visse oltre la metà del secolo.
Nel centro di attrazione culturale che era Sparta del VII sec. vi fu Terpandro di Lesbo, dove diede
vita a quella prima organizzazione o scuola musicale spartana. Importanti furono le sue
riforme: fu il primo a sostituire la lira dorica a quattro corde con qiella lidio-lesbica a sette; fu lui a
inventare il barbitos (strumento a corde, suonato con un plettro, fatto di materia dura e con una
forma terminante con un uncino o a punta); il simposiale scolio (?); riformò il nomo citarodico
strutturandolo in sette parti.
T. 83 – Inno a Zeus in armonia dorica, forse questi versi accompagnavano una libagione (spondaì)
in onore del Dio.
ALCMANE
Veniva da Lesbo, fu un poeta e maestro di cori spartani, aveva dei laconici (spartani) valori
religiosi di cui fu appassionatamente cantore.
T. 84 – Componimento scoperto vicino ad una piramide egizia nel 1855. Indirizzato ad una
misteriosa dea dell’aurora ed altre divinità, destinato forse ad un coro di ragazze in occasione di
una festa notturna estiva, forse un rito di passaggio dall’adolescenza alla maturità. Celebra i gesti
rituali e la bellezza delle undici coreute, tra cui Agido, la più bella del gruppo. Forse a loro spettava
l’offerta votiva per la dea e forse proprio Agido affrontava il rito.
T. 85 – Segue la leggenda secondo cui i cèrili, i maschi delle alcioni (forse dei volatili di dubbia
esistenza), sarebbero in vecchiaia trasportati dalle femmine. L’immagine designerebbe la
debolezza senile del poeta, ma può trattarsi anche di un io corale insiste sull’idea di sacralità, dove
l’uccello vola e sfiora l’acqua, quasi a unire cielo e mare.
T. 86 – Frammento misterioso in cui vengono fotografati degli animali in un universale sonno della
natura. Varie interpretazioni, forse un rito femminile notturno.
STESICORO
Si chiamava Tisia ed era nato a Metauro, nell’Italia meridionale, o forse originario di Imera in
Sicilia. Sarebbe nato nel 632/629 e morto nel 556/553, forse a Catania. Prese il nome di Stesicoro
cioè “istitutore di cori”. I suoi componimenti si basano su riprese e rielaborazioni di miti
tradizionali ma con una più fine caratterizzazione psicologica dei personaggi. Molto frequenti in lui
sono gli omerismi.
T. 87 – Eracle riportava al Sole il carro-coppa d’oro che gli era servito per la traversata. In quella
coppa, Hèlios compiva la traversata notturna.
T. 88 – Stesicoro avrebbe perso la vista dopo essersi unito al coro dei detrattori di Elena e delle
Tindaridi (figli di Tindaro). Per recuperarla dovette comporre due Palinodie (componimento poetico
per ritrattazione di parole) in cui ritrattava le offese sino all’elogio dell’eroina spartana. In questo
caso l’anafora dell’incipit della negazione enfatizza la ritrattazione stesicorea.
T. 89 – Lungo discorso tenuto della regina madre di Tebe ai suoi due figli e all’indovina Tiresia. La
proposta consiste in un sorteggio pre cui uno dei due figli avrà il trono, la città, le terre e l’altro gli
animali e il tesoro di Cadmo. La regina esorta alla concordia e alla misura, ma sa che è una
disperata trattazione con il fato. Si conclude con il discorso della regina condotto su toni gentili a
cui si unisce Tiresia e i figli sembrano convinti.
T. 90 – Il fatto che il distratto sovrano si fosse dimenticato di “Cipride dai dolci doni” (cioè Afrodite)
spiega perché proprio Afrodite fosse “adirata” con le Tindaridi e le avesse perciò rese bigame,
trigame e abbandonamariti (quindi traditrici).
IBICO
Con la generazione di Ibico, Senofane e Anacreonte emerge a tutto tondo la figura del poeta
professionista, disposto a girare per le diverse regioni del mondo greco per rispondere alle
promettenti chiamate di committenti cittadini, centri religiosi e soprattutto interessati mecenati e
tiranni desiderosi di poetico lustro per i simposi della corte.
Nato a Reggio, andò a Samo (Grecia) intorno alla metà del VI sec. ma stette in contatto con le città
siciliane e forse anche con Sparta. Ibico era un poeta d’amore, specialista in encomi solenni e
pederotici (relazione tra fanciullo e adulto), capace di narrazioni mitiche “tradizionali”, attratto dalle
implicazioni erotiche dei miti antichi e abile nell’associare tematiche mitologiche e
celebrazione erotica. Ibico fu un poeta musicale.
T. 91 – Ibico si richiama al più celebre dei miti greci (?) per celebrare la forza irresistibile di Cipiride
e l’immortale fascino di Policrate, forse il futuro tiranno. Poi la rievocazione diventa un lungo
catalogo di bei fanciulli. L’elogio del giovinetto si salda alla celebrazione degli affascinanti giovani:
snodo logico del passaggio dal mito all’attualità.
T. 92 – L’azione impetuosa dell’amore che come un vento gagliardo si avventa sui cuori degli
innamorati. Ibico la cala qui in una visione primaverile, un intatto giardino delle Vergini, punteggiato
da mele cotogne bagnate delle correnti dei fiumi e rigoglioso di fiori di vite sotto i pampini.
Contrappone la pace idilliaca del giardino primaverile all’ininterrotto attacco a cui l’amore
sottopone il suo cuore. Eros arriva, impetuoso, perché in nessuna stagione si corica. L’amore-
vento si trasforma in un fermo secondino che con forza e totalmente fa la guardia al cuore,
secondo il topos dell’amore-custode.
T. 93 – Ibico in questo caso, sedotto da un giovane, è costretto controvoglia ad arrendersi difronte
alla sua vecchiaia.
T. 94 – Elogio di Ibico per Eurialo. Tutto il contesto ibiceo appare chiaramente indebitato con la
vestizione della Pandora esiodea, incoronata tra l’altro di fiori primaverili e allestita di tutto punto
dalle Cariatidi. Cosi Eurialo viene descritto e vestito.
CORINNA
Figura misteriosa, nacque in Beozia sullo scorcio del VI sec. I carmi di Corinna avevano una
maggiore connotazione localistica, dal dialetto beotico alla struttura metrica, dallo stile
paratattico e disadorno, alle saghe locali che costituiscono la materia del canto.
T. 95 – L’argomento è una famosa rivalità tra due grandi monti della Beozia, il Citerone e l’Elicone.
Vinse il Citerone ed è probabile che il racconto mistico sfociasse infine nell’eziologia (scienza che
studia la causa di un fenomeno), riconducendo i nomi dei due competitori alle relative montagne
beotiche. [Chi vinceva era il Citerone, chi perdeva l’Elicone e lo adattavano ogni volta]
SIMONIDE
Nacqua a Iulide, vicino la costa sud dell’Attica, nel 556/553. Era stato ad Atene alla corte di
Ipparco insieme ad Anacreonte e Laso di Ermione. Morì nel 467 forse in Sicilia. Fu il primo poeta a
ricevere alti compensi per le sue composizioni, si spostò a pagamento presso committenti di ogni
parte del mondo greco, tiranni e capi democratici sino a fare della propria arte un vero mestiere.
Sue caratteristiche erano la spietata revisione dei valor tradizionali, la dipendenza della virtù dalle
circostanze esistenziali, la relatività della condizione umana e il laico pessimismo sulla sua sorte.
Una figura quasi pre-sofistica, intellettuale cosmopolita, dissacrante e rivoluzionario, seppe
interpretare perfettamente le situazioni politico-culturali in cui si trovò. Capace anche di
commuovere, con pathos, semplice e potente.
T. 96 – Tipico epinicio simonideo, con ironia e autoironia cita una “toelettatura” ad un lottatore
egineta. Non si sa se la tosatura fa riferimento alla pettinatura del lottatore, o ad una sua sconfitta,
o ad una vittoria costata cara
T. 97 – Invitato a cena da Scopas, Simonide avrebbe cantato un elogio ma dando tuttavia ampio
spazio alla celebrazione di Castore e Polluce, così il sovrano gli avrebbe dimezzato la paga
dicendo di chiedere il resto ai Dioscuri. Così il poeta fu chiamato alla porta da due giovani e in quel
momento la casa crollò: i Dioscuri avevano pagato al poeta il loro debito. Ma in questo caso è
chiamato Simonide a comporre il lamento per la sventurata casata di Scopas, e dice che è
nell’essere uomini risiede l’impossibilità di prevedere il futuro e di garantire stabilità al benessere e
al successo. È più veloce di una mosca il cambiamento umano.
T. 98 – Ancora una volta si ripercorre il tema del logorio del tempo e della caducità di tutte le cose.
Qui esprime il concetto della comune destinazione di tutte le realtà umane.
T. 99 – È difficile dire se in questo caso sta celebrando la libertà della Grecia intera o il valoroso
sacrificio di Sparta; se si rivolge ad un pubblico panellenico, ad una città o ad un gruppo. Menziona
le Termopili (Battaglia delle Termopili: Sparta contro i Persiani) e ciò fa pensare che l’esecuzione
del carme avvenisse in un posto diverso, probabilmente dopo qualche battaglia.
T. 100 – La virtù assoluta non è soltanto difficile, ma persino impossibile, ciò che si può
ragionevolmente proporre è se mai una purezza di intenzioni. La virtù era divenuta un problema
filosofico: una parola che aveva perso parte dei propri valori e che aveva bisogno di essere
ridefinita.
T. 101 (Ditirambi?) – Pathos severo e coinvolgente, preghiera ninnananna di una mamma, gettata
con il figlio Perseo in una cassa in balia delle onde del mare in tempesta. Si tratta di Danae, la
figlia del re argivo Acrisio, a cui un oracolo aveva predetto la morte per mano del nipote e che per
questo buttò in mare la figlia e il nipotino. Carme incentrato sulla delicata angoscia di Danae
durante la problematica traversata marina, restano ignoti il genere letterario, il committente e
l’occasione.
T. 102 (Elegie) – Lo scontro che segnò la fine dell’incubo di una dominazione persiana sulla
Grecia, oggetto di poesia per il principale cantore dei valori panellenici contro i Persiani. Venivano
ricordati il triste destino di Achille e la conquista di Troia da parte dei Danai. Il poeta si rivolgeva
direttamente alla Musa, perché lo ispirasse nel momento in cui stava per rendere immortale
l’impresa di coloro che liberarono la Grecia dalla minaccia della schiavitù. La narrazione va
dall’arrivo delle truppe peloponnesiache all’istmo di Corinto. Destinata forse ad una performance
pubblica, forse non molto tempo dopo la vittoria e forse durante una festa panellenica.
PINDARO
Nacque in Beozia, presso Tebe, tra il 522 e il 518. Difensore degli antichi valori aristocratici
proprio nel momento delle loro più profonde e inarrestabili mutazioni. La sua attività si estesa oltre
il V sec. morì circa ottantenne nel 440 circa. I committenti di Pindaro furono numerosi e in tutto il