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La questione della lingua e le tre teorie
La questione della lingua vide opporsi tre teorie, ognuna legata a una "città ideale" che la rappresenta. Per la proposta bembiana la città è Venezia, capitale italiana della stampa e sede della tipografia di Aldo Manuzio. Inventore del formato tascabile e del corsivo, collaborò attivamente con Bembo.
La proposta di Bembo ha una matrice puramente umanistica: vuole creare una lingua sublime, come il latino di Virgilio e di Cicerone, che consenta agli scrittori di raggiungere le massime vette della qualità letteraria, per rendersi immortali.
Come per il latino, bisogna attingere all'età dell'oro, quella delle Tre Corone. Sceglie quindi Boccaccio (scelta obbligata), solo nei suoi registri più alti (cornici e decima giornata) per la prosa e Petrarca per la poesia.
Questa proposta era piuttosto praticabile, dato che era possibile apprendere la lingua con una copia del Canzoniere, una del Decameron e una grammatica.
Tra gli...
Scrittori che seguirono questa strada ci fu anche Ludovico Ariosto, che riscrisse la terza edizione dell'Orlando furioso (1532) eliminando i tratti della koinè ferrarese e adottando il modello petrarchesco.
La corrente "eclettica" o "cortigiana ebbe come città ideale Roma, fortemente cosmopolita, soprattutto all'interno della corte papale. In questa particolare monarchia si susseguivano infatti papi provenienti da tutta Italia, ognuno portando la sua schiera di dotti e la sua koinè.
La lingua utilizzata in questo ambiente era una koinè delle koinè: un volgare senza dubbio di base toscana (il fiorentino trecentesco era parte integrante delle lingue regionali), ma aperto agli apporti provenienti dalle varie realtà italiane.
Tra i fautori di questa teoria troviamo Calmeta, Equicola, Baldassarre Castiglione e Gian Giorgio Trissino. Quest'ultimo in particolare sosteneva che la lingua
poetica di Petrarca non era fiorentina, ma composta di vocaboli provenienti da tutta Italia. Riscoprì il De vulgari eloquentia e lo pubblicò in traduzione, ma fraintese il principio della "discretio" enunciato da Dante: non più un'intersezione, ma una commistione di tutti i volgari. La tesi cortigiana era difficilmente esportabile al di fuori della corte romana, a meno che Roma non si fosse posta come centro irradiatore mantenendo una forte influenza sul resto d'Italia, in quanto "capitale morale". Il sacco di Roma del 1527 pose fine a questa speranza. 3.5.3 La lingua a tuttotondo dei fiorentinisti Entrambe le teorie precedenti non furono gradite a Firenze: in molti si mossero contro il De vulgari eloquentia, negando la paternità dantesca (Ludovico Martelli) o cercando di correggerne il tiro (Machiavelli); ma anche la proposta arcaizzante di Bembo non era accettabile. La città diventò il polo di una terza tesi, quella dei fiorentinisti.fiorentinista: la lingua nazionale doveva essere il fiorentino contemporaneo, quello argenteo, una lingua sia scritta che parlata e niente affatto bassa, come credevano al di fuori di Firenze. Soprattutto, era una lingua viva. Cosimo I decise di usare questo fiorentino "di seconda generazione" come mezzo politico per promuovere il neonato Ducato e il suo affrancamento dalla signoria spagnola. Nel 1541 trasformò l'Accademia degli Umidi in Accademia fiorentina, un organo di Stato controllato anche nei programmi e incanalato in un settore fino ad allora trascurato: la lingua della scienza. Fu promossa la traduzione dei testi scientifici dalle lingue classiche (Cosimo Bartoli tradusse il De reaedificatoria di Leon Battista Alberti). Anche se non uscì mai una grammatica ufficiale, Pierfrancesco Giambullari nel 1552 ne pubblicherà una dal titolo Della lingua che si parla e scrive in Firenze. Inattaccabile dal punto di vista concettuale (multidimensionalità,lingua viva), la soluzione fiorentinista era comunque difficilmente esportabile. Nonostante la spinta politica del Ducato/Granducato, rimase sempre più debole di quella bembiana.
Verso un compromesso: il tentativo di Benedetto Varchi
Risultava evidente la necessità di un compromesso. Benedetto Varchi se ne fece portavoce anche per una particolare situazione personale: era allievo di Bembo e membro dell'Accademia. Nella sua opera principale, l'Hercolano (uscita postuma nel 1570), propose un compromesso.
Cercò di compensare la limitatezza diamesica (solo scritto), diafasica (solo registro alto) e diastratica (solo scrittori) della lingua bembiana, senza però cadere negli usi troppo bassi, proponendo il fiorentino contemporaneo parlato dai "non idioti", ovvero gli illetterati colti, che non parlano latino, ma che per "natura, fortuna e industria" parlano correttamente la lingua natia.
La proposta di Varchi ha due punti deboli:
L'insistenza sul parlato mal si adatta all'ambiente colto italiano; per apprendere questa lingua occorrerebbe un contatto diretto e prolungato con la città.
La soluzione vincente di Lionardo Salviati
La soluzione vincente fu trovata da un allievo di Varchi, Lionardo Salviati. Essa era meno democratica dal punto di vista linguistico, ma più gradita agli scrittori.
Salviati proponeva infatti una lingua scritta e per letterati, ma allargò il modello al fiorentino trecentesco nella sua interezza, comprendendo ad esempio la storiografia (Villani e Compagni) e tutte le "Tre Corone", e diede così maggiore profondità alla lingua proposta da Bembo.
Questa soluzione si inquadra nella vicenda delle "rassettature". Il Decameron aveva conosciuto nel corso del Cinquecento numerose riscritture, volte a eliminare gli elementi linguistici centrifughi rispetto alle grammatiche, ma anche (e soprattutto) le parti più licenziose e irriverenti.
Che avrebbero attirato la censura dell'Indice. Le rassettature volevano recuperare la lingua originale dell'opera, tenendo sempre conto del rigore morale e religioso. La prima, del 1573, fu quella dei Deputati (guidati da Vincenzo Borghini); la seconda, del 1582, fu opera di Salviati.
Questa esperienza comportò per lui una profonda riflessione sulla lingua di Boccaccio, che espone negli Avvertimenti della lingua sopra 'l Decamerone (1584-86). Per ovviare ai cambiamenti imposti dalla censura, ricorse a varianti arcaizzanti, creando di fatto una lingua virtuale.
Come diffonderla a livello nazionale? Salviati inventò il Vocabolario, messo in atto dall'Accademia della Crusca.
La lingua nazionale entra in Chiesa
Il Concilio di Trento ebbe varie conseguenze anche per le vicende linguistiche. Il latino rimase la lingua ufficiale della Chiesa, ma il volgare si impose nella predicazione e nella catechesi. Fu così che il clero si fece promotore della
diffusione dell'italiano. Non fu però approvata la traduzione delle Scritture in volgare, come quella che aveva fatto Lutero. Nel 1559 Paolo IV vietò il possesso di bibbie volgari senza apposita licenza, e questo divieto si attenuò solo a partire dal Settecento. Anche la messa rimase in latino, tranne che per la predicazione. Si aprì una "questione della lingua" in seno alla Chiesa, riguardo al volgare da usare, e inizialmente prevale l'influenza bembiana. Nel 1609 Il predicatore di Francesco Panigarola, un trattato sulla predicazione con capitoli sulla lingua, propose un compromesso tra la lingua di Bembo e quella fiorentina parlata.
IV - Una lingua italiana
Dopo un secolo di questione della lingua, si era finalmente individuato un modello linguistico nazionale, il fiorentino trecentesco scritto di registro alto, che si estese poi anche alle discipline scientifiche. Tale rimase fino all'Ottocento. Definita la "lingua tetto",
i volgari diventano dialetti, in una situazione di bilinguismo con diglossia:i due codici convivono, in punti diversi dello spazio linguistico (l'italiano si usa solo in certi contesti,solo nello scritto e solo una piccola parte della popolazione li sa usare entrambi).
4.1 Una bussola per gli scrittori: il Vocabolario degli Accademici della Crusca
Nel 1582, al momento dell'ingresso di Lionardo Salviati, l'Accademia della Crusca non aveva la fisionomia che la caratterizzò poi. Le riunioni della "brigata dei crusconi" erano occasioni per discorsi giocosi e di poco impegno (le cruscate).
Con Salviati l'Accademia indirizzò la propria attività in direzione linguistica e in particolare lessicografica. Alla morte di Salviati, nel 1589, l'impianto programmatico era ormai ben definito; nel 1591 gli Accademici discussero su come fare il Vocabolario e distribuirono i compiti.
Il Vocabolario degli Accademici della Crusca uscì a Venezia
nel 1612. È il primo grande dizionario monolingue europeo, nonché l'archetipo del dizionario moderno, nella sua particolare struttura. Era infatti una raccolta sistematica e indicizzata di materiali autentici, in grado di rappresentare una realtà linguistica (il fiorentino trecentesco), in modo che fosse facilmente accessibile (attraverso l'ordinamento alfabetico delle schede). Era come avere una biblioteca, agilmente "interrogabile" da tutti quei colti che avessero voluto imparare la nuova lingua nazionale. La proposta di Salviati, cioè quella di utilizzare tutti i testi trecenteschi, creò alcune difficoltà agli Accademici, poiché molte opere erano di difficile reperimento. Ad ogni modo, fu creato un corpus rappresentativo, di cui si procedette allo spoglio: ogni singola parola venne schedata, con definizioni ed esempi, poi le schede furono raggruppate per rendere conto delle varie forme e dei vari significati assunti da.un lemma.Il corpus in realtà non si limitava alle sole opere del Trecento fiorentino, ma anche a quelle che sierano ispirate a tale modello: Burchiello, Lorenzo de' Medici, Poliziano, Luigi Pulci, Ariosto, Casa,Bembo, Varchi, Borghini ecc.Bisogna poi ricordare che le definizioni erano scritte nel fiorentino parlato quotidianamente dairedattori, ovvero quello "argenteo". I consultatori dunque entravano a contatto con entrambe lelingue (si può dire quindi che anche la proposta di Varchi sia entrata nel Vocabolario).Questa lingua fu meglio indagata grazie alla messa in rete della versione elettronica del Vocabolario,interrogabile nella banca dati Lessicografia della Crusca in rete.Prendiamo ad esempio la scheda della voce "merenda": troviamo i campi "definizione" e i campi"esempio" (preceduti da abbreviazioni che indicano autori e opere), ma anche i campi cheindividuano le parole latine corrispondenti (in corsivo). Nella
versione elettronica i campi sono resiespliciti.All'interno della trattazione compaiono anche parole dell'uso vivo, come "