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Civici all’inizio del 900 la pianta presenta molte chiese, come la seconda
Roma descritta da Borsieri, ma si mostra anche unita e imprendibile, sempre
ricostruita dopo le distruzioni (descrivendo l’importanza dell’espansione parla
del Lazzaretto degli anni 40 dell’800)
Sia nella I° che nella II° edizione del Ritratto di Milano Torre pone molti tratti
autobiografici, non creando una descrizione asettica come Borsieri o
Santagostino, ma letteraria e cordiale, dato che il suo è una sorta di monologo
immaginario di descrizione della città che ama, infatti oltre alla presentazione di
Milano come Seconda Roma, Torre ricorre spesso a campanilismi (Tintoretto
contro i pittori milanesi); oltre alla presentazione si hanno 3 pagine di errata
corrige con la Nota del Sant’Uffizio, si aggiungono poi le 9 incisioni,
presentandone una come antiporta con il genio della Pittura mostrato a ritrarre
un guerrieri barbarico e sulla tela il titolo “Ritratto di Milano di Carlo Torre”= si
aggiungono le altre incisioni poste su doppie tavole, II° Porta Romana e i suoi
Bastioni, III° Ospedale Maggiore, IV° tempio di Maria Vergine presso San Celso,
V° Le Colonne di San Lorenzo, VI° Castello di Porta san Giove, VIII° Palazzo di
Tommaso Marino-Fabbrica di san Giovanni alle case rotte-San Fedele dei Padri
Gesuiti-Duomo la I° tavola è di Busta, la II/IV/VIII di Garavaglia, la III° di Andrea
Biffi, la V° di Ghisolfi, la VI° di Fabrizio Biffi, la VII° di Quarantino, poi per il
Duomo sono ripresi i progetti di Buzzi incisi da Bassano (1655), ma tutte le
incisioni sono fatte da Agnelli= Torre parla molto della famiglia Biffi ed in
particolare di Andrea (il padre Carlo fu Principe dell’Accademia dei Pittori di
Milano), poi dice che molti disegni non poterono essere posti per mancanza di
tempo
Il Ritratto di Milano spacca la città tra sostenitori-detrattori per la richiesta di
correggere gli errori: all’Ambrosiana si ha un Dossier con 7 fascicoli scritti da
Torre sui suoi errori, mostrando l’attenzione alla precisione dell’autore;
l’edizione del 1714 invece venne creata dal figlio di Agnelli, Francesco, dopo la
morte del padre e di Torre con aggiunte e correzioni e cambiando la dedicatoria:
il problema sta nel fatto che non è più il periodo adatto alla sua pubblicazione,
dato che il gusto si è evoluto dal barocco e a Milano si sviluppa la storiografia
laica orientata verso resoconti più documentati= negli anni 30 appunto
Bollandisti e Maurinisti iniziano a praticare in Olanda-Belgio-Francia e attuano
una verifica della storiografia sugli Acta Sanctorum con metodo scientifico; in
Italia si avrà la diffusione di tali precetti con Bacchini, maestro di Muratori,
giunto all’Ambrosiana nel 1695 l’opera di Agnelli è anacronistica e deve
lasciare il posto alla II° Guida di Milano, quella di Latuada 1737-8 “Descrizione di
Milano Ornata con Molti Disegni in Rame delle Fabbriche più Cospicue che si
trovano in questa Metropoli, a spese del mercate di libri Giuseppe Caroli”,
presentando nell’introduzione Torre come inaffidabile dato che non ha verificato
le sue fonti, lasciando un’immagine dello scrittore che si perpetua in tutto l’800
Fattasi eccezione per l’articolo di Bragalini del 2004 non si hanno studi
approfonditi su Torre: egli si era mosso assecondando la sua erudizione
variegata, a contrario dell’accorto Malvasia nella Felsina Pittrice (mette a frutto i
dettami della riforma bollandista), poi altre guide minori seguono quella di
Latuada nel XVIII sec come quella neoclassica di Bianconi “Nuova Guida di
Milano” uscita dal 1783-95 in varie edizioni= la II° Edizione del Ritratto di Milano
presenta 418 pagine e nel frontespizio l’indicazione “edizione seconda
ammendata in più luoghi e accresciuta” con dedica al cardinale Odescalchi e
non presentando l’incisione del Duomo per l’abbandono del progetto di Buzzi o
riferimenti alla morte di Torre il Ritratto di Milano si apre con la descrizione
delle origini storiche della città, che sebbene Torre dica leggendarie non si
astiene da introdurre elementi favolistici alle storie citate da Plutarco a Bossi,
per attirare l’attenzione del lettore sin dal racconto di Brenno; si tratta della
prima di molte introduzioni storiche fatte da Torre, poste ad ogni edificio-opera
La prima Fabbrica da lui descritta è quella di san Rocco, presentando poi tutte le
cose notevoli che incontra nel cammino, attenendosi alla divisione in rioni di
Morigia nel suo Santuario delle Città e Diocesi di Milano del 1603 e la Relazione
della Città e Stato di Milano di Gualdo Priorato del 1666: contro la descrizione di
Morigia però non parte dal Duomo ma vi conclude il suo percorso, dato che volle
partire da Porta Romana, da dove ipoteticamente dovevano provenire i suoi
viaggiatori+ si impegna sempre in descrizioni attente di tutte le fabbriche da lui
visitate, come nel caso di san Nazzaro, raccontandone la storia e modifiche
architettoniche, ponendo le fonti a margine o con abbreviazioni (Statua di san
Calimero), poi nel caso dei nomi degli edifici-luoghi parte sempre con il
beneficio del dubbio dando anche delle interpretazioni bizzarre, mentre per gli
edifici moderni riporta sempre l’architetto (Tibaldi a san Sebastiano) le
vicende storiche sono seguite da una descrizione architettonica per sommi capi
e delle testimonianze artistiche degne di nota e infine sui lasciti ad opere pie,
mentre nel caso degli edifici privati si concentra sulla famiglia che li possiedono
= per questo realizza una descrizione dell’albero genealogico dei Visconti nelle
prime pagine e descrizione delle loro gesta nella parte finale
Il suo interesse tocca anche luoghi cardine della città come La Colonna infame-
Naviglio-Porta Romana che non possono essere detti opere artistiche, ma anche
a grandi edifici civili come la Pinacoteca Ambrosiana e Ospedale maggiore e
luoghi non milanesi come la Certosa di Pavia-Abbazia di Chiaravalle-Residenza
Borromeo sul lago maggiore= oltre all’atteggiamento filospagnolo e
l’identificazione di Ludovico il Moro come il nemico, egli dà una grande lode dei
Borromeo e Sant’Ambrogio tra le sue fonti nomina antiche scritture come
l’Archivio della Colleggiata e una Istoria Manoscritta messagli a disposizione da
Trivulzio per l’analisi delle origini di san Nazzaro, poi Vasari, che lo porta a
vedere in Bramante l’architetto della facciata di san Celso (meraviglie
nell’angustezza), Plinio e Du Fresne; nel rione di Porta Ticinese occupa molto
spazio la descrizione di san Lorenzo, mostrando le modifiche di Basi sull’iniziale
progetto di Tibaldi, come fa con Bramante in Sant’Ambrogio (colonne come
clave erculee contro i maledicenti), mentre per la Basilica di Chiaravalle si
occupa dell’interno e loda la torre campanaria, e nel caso della Chiesa della
Passione in Porta Orientale dice che la cupola è figlia illegittima di quella di
Roma+ apprezza poi molto la Casa degli Omenoni, Porta Giovia, l’Ospedale
maggiore, Lentasio, Palazzo Trivulzio e il Collegio di Brera
La guida del Torre ci porta a comprendere come fossero gli edifici nel 600, come
nel caso degli spazi davanti a san Rocco usati per poggiare le mercanzie o le
“pitture musaiche “ di sant’Aquilino (non menzionate da Latuada) e la forma
dell’atrio di sant’Ambrogio prima della ricostruzione di Richino (Collegio
Elvetico-Brera) menzionando anche Bramante-Binago-Tibaldi-Bassi-Meda-Buzzi,
ammirando sempre molto le architetture del 600 e non comprendendo quelle
antecedenti; citando le opere plastiche non attua spesso dei commenti ma cita
solo gli autori come Lasagna-Bussola-Garavaglia (san Celso), Bambaia (santa
Marta) e Biffi-Fontana detto maggiore di Michelangelo+ nel caso dei pittori la
categoria più citata è quella del ritratto dichiarandone il migliore Fiammenghino,
poi citando molti milanesi come Scaramuccia-Figino-Gherardini e parlando dei
pittori del 400 dicendo “aridezze, benché buone”, creando invece massime lodi
per i fratelli Campi nelle storie in San Paolo delle Monache, poi per Crespi-
Cerano-Ghisolfi= crea un elogio affettato per Luini (Creazione del Mondo in
Sant’Antonio), poi per Piazza-Rosa-d’Adda-Brandi-Bernazzano-Procaccini,
facendo sempre descrizioni attente delle vite di tali artisti come nel caso di
Cerano ma anche di precise opere come l’Annunciazione di Giulio Cesare
Procaccini in Sant’Antonio e gli affreschi di Lomazzo presenta l’immagine di
Milano dominata dall’influenza borromaica e dalla chiesa ambrosiana, ma dà
anche una grande attenzione al passato, attuandone un recupero critico, dando
una peculiare tutela alle manifestazioni medievali-tardomedievali
(Borromeo)=Lo sguardo alle reliquie porta al rischio di una ricostruzione devota,
accettando maggiormente le sculture (si affida al giudizio altrui) che pitture
medievali, considerando antica anche la pittura locale del 400 e interessandosi
alla problematica artistica del suo tempo: ha merito di essere stato il primo ad
introdurre delle valutazioni nelle trattazioni di opere e cercato di divulgare la
tradizione di Milano
II gli errori del Ritratto di Milano e la differenza tra le due edizioni
All’Ambrosiana si hanno 7 manoscritti composti ed anonimi per la correzione
degli errori del Torre, che dovevano aver avuto circolazione della cerchia dei
letterati della Pinacoteca: hanno titolo in “Il Ritratto di Milano: Dialogo “ I Cento
errori nel Ritratto di Milano di Carlo Torre” “Nuovi errori scoperti nel Ritratto di
Milano” “Piccoli Nei scoperti nel bel Ritratto di Milano” “Cornicione da mettere al
Ritratto di Milano” “Il Compasso sopra il ritratto di Milano” “Avvenimenti attorno
alle Sette Meraviglie osservate nel Ritratto di Milano”; era comune che fossero
realizzati tali testi, ma sorprende la precisione delle correzioni e il fatto che Torre
e Agnelli ne incoraggiassero la pubblicazione: i suoi errori dovevano essere 126
in totale, 10 datazioni sbagliate, 10 ordini architettonici, 13 sui materiali
costruttivi, 15 sulle attribuzioni, 12 sulle strutture architettoniche sono causati
dal fatto che Torre non verifichi in loco le sue fonti= solo negli Avvertimenti delle
Sette Meraviglie si hanno elogi per il Torre (l’autore se ne dice amico) mentre
nelle altre opere viene detto “poco pratico della cognizione sua e dell’arte della
pittura inesperto” nel Compasso, e tacciato “di voler scrivere quello che non si
sa” nel Dialogo questi compositori dovevano essere di una generazione
successiva a Torre, come Latuada, e quindi contrappongono al suo
sensazionalismo l&rsq