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ABITUALI, DIPENDONO DA NNOI E SONO VOLONTARIE.
Coraggio: è una medietà relativa a paura ed ardimento, si chiamerà coraggioso in senso proprio chi non
prova timore nei confronti di fronte ai pericoli di una bella morte improvvisa come quelli che riguardano la
guerra. Egli è intrepido come si conviene a un uomo, quindi avrà paura di ciò che è temibile a misura
d’uomo, così come si deve e come la ragione comanda, e lo affronterà in vista del bello: questo è il fine della
virtù. Quindi chi affronta le cose che deve affrontare è coraggioso e il temerario tenta di imitarlo. Sono
chiamati così anche altri cinque tipi di coraggio: quello civico. Anche l’esperienza dei singoli casi sembra
essere un tipo di coraggio: su questa base Socrate riteneva che esso fosse una scienza. C’è chi riconduce
anche l’impetuosità al coraggio (riprende Omero). I coraggiosi agiscono per il bello e l’impetuosità
collabora con loro, invece le bestie agiscono per dolore. Quindi anche la gente che corre intorno al pericolo
non è coraggiosa. Il coraggio che deriva dall’impetuosità pare essere la forma più naturale di tutte, e
diventa coraggio in senso pieno se gli si aggiungono la scelta e il fine. Nemmeno chi ha fiducia in se stesso è
coraggioso. Essi sono detti tali per il fatto di saper affrontare ciò che procura dolore, perciò il coraggio
comporta la presenza di dolore ed è lodato.
Temperanza: anch’essa fa parte della parte irrazionale dell’anima. Essa è una medietà riguardo i piaceri che
si dividono in quelli del corpo e dell’anima. Non si chiamano temperanti coloro che si dedicano ai piaceri
non corporei. Quindi la temperanza riguarderà i piaceri del corpo. E ne partecipano tutti gli altri animali,
l’intemperanza (akolasia) è il vizio più riprovevole perché ci appartiene in quanto animali e poi eccedono
secondo tutti gli aspetti, di ciò che è odioso che e che non devono e più della media. Essa somiglia a uno
stato volontario, i casi singoli sono volontari Mentre il temperante non si addolora per la mancanza dei
piaceri al contrario l’intemperante desidera tutto ciò che è piacevole. Il temperante si trova in una posizione
mediana: egli non gode delle cose di cui gode l’intemperante ma le detesta. Desidera moderatamente le cose
piacevoli che fanno bene alla salute e alla forma fisica. I desideri devono essere pochi, misurati e mai in
conflitto con la ragione. La facoltà desiderante dell’individuo temperante deve essere in accordo con la
ragione.
Libro IV: le virtù etiche in particolare: generosità, magnificenza, fierezza, giusta ambizione, mitezza,
amabilità, sincerità, arguzia, pudore.
Generosità: medietà rispetto alle ricchezze. La prodigalità e l’avarizia sono forme di eccesso. L’uso delle
ricchezze consiste nello spendere e nel donare, è tipico del generoso dare piuttosto che ricevere ed è
maggiormente proprio della virtù fare il bene piuttosto che subirlo, lo farà con piacere e prenderà da dove è
corretto per esempio dai suoi possessi privati. La generosità si attribuisce in proporzione alle sostanze: esso
non consiste nella misura di quanto viene dato ma nello stato abituale di chi dà, non è facile che egli si
arricchisca. Chi eccede è prodigo. Il generoso è capace di sopportare l’ingiustizia. La prodigalità è meno
peggio dell’avarizia anche se prende anche da dove non è opportuno, molti sono anche intemperanti,
spendendo facilmente e scialacquando per soddisfare le proprie voglie quindi lasciato a sé tende ad assumere
questi vizi. Poi segue la trattazione della magnificenza che è un tipo di virtù rivolta alla ricchezza e si
riferisce solo alle spese ed è da valutare sempre in relazione a chi spende. Lo stato opposto è la grettezza. Le
spese del magnifico saranno grandi ed appropriate per il bello ed è necessario che sia generoso, quindi egli
non può essere povero, non spende per sé ma per il bene comune. Rispetto al magnifico vi è il volgare per
eccesso e il gretto per difetto.
Fierezza ha rapporto con grandi cose. Si stima che sia dotato di fierezza colui che si ritiene degno di grandi
cose, e lo è, mentre chi non si stima secondo il suo valore è un pusillanime. Essa sembra essere un ornamento
della virtù dato che la rende più grande, per questo è difficile esserlo, perché bisogna avere virtù complete.
Senza la virtù non è facile possedere in modo corretto i beni di fortuna. L’uomo fiero disprezza gli altri a
buon diritto, è portato a beneficare e non chiede nulla a nessuno. Si preoccupa più della verità che della
buona fama. Tale virtù si rapporta adeguatamente agli onori e ai disonori. È fiero l’uomo orgoglioso si sé e si
rapporta agli onori secondo due modalità istituendo un rapporto sia a monte che a valle. La fierezza quindi
viene considerata una virtù ma anche ciò che segue ad essa e ciò che di “ornamento” ad essa. Vi è anche un
legame stretto tra fierezza e kalogathia. Essa non può esistere senza le altre virtù, è quella dell’agente
eccezionale. Si dice sia che è un estremo sia che rappresenta il giusto mezzo. Quale tra questa e la giustizia
deve assurgere al ruolo della virtù completa? Entrambe lo sono. La giustizia in quanto è orientata verso gli
altri, la seconda viene vista come coronamento della virtù. Quindi essa è:
1) virtù morale, cioè una tra tante;
2) elemento soggettivo, ovvero come uno stato d’animo che si aggiunge alle altre;
3)apice e coronamento delle virtù.
Mitezza: è medietà rispetto all’ira anche se tale nome designa uno stato che tende al difetto. Il mite desidera
restare imperturbabile e non venire trasportato dalla passione ma sembra che erri per difetto dato che non è
vendicativo ma tende al perdono. Il difetto è la flemma, l’eccesso è l’ira e ci si arrabbia per motivi sbagliati
ma smettono presto. Alla mitezza si contrappone l’eccesso .
Amabilità: medietà tra misantropia e chi è compiacenti ma si distingue dall’amicizia perché non si
accompagna ad affetto per chi si frequenta.
Medietà tra vanteria e ironia: è senza nome. Il vanitoso fa mostra di caratteristiche che non possiede e
l’ironico nega le virtù, la persona sincera è nel giusto mezzo ed è degna di lodi.
Medietà tra buffoneria e durezza: i buffoni sono diversi dagli arguti. Ciò si vede anche dalle commedie
antiche e nuove. L’uomo che sta a metà è anche pieno di tatto.
Pudore: somiglia ad una passione che a uno stato abituale. Si definisce come “timore di avere cattiva fama”.
Esso è proprio della giovinezza.
FERMANI: il pudore è un retaggio della cultura greca, esso è una medietà tra la sfrontatezza e la timidezza.
Esso deve gestire le passioni ma non può essere passione dato che non può svolgere entrambi i ruoli. Se la
virtù morale è uno stato abituale, allora il pudore viene a configurarsi come stato abituale e come una delle
capacità che sa orientare verso il giusto mezzo. Poi però si legge che essa non è una virtù. “Esso sembra più
una passione che uno stato abituale”. Ma con il comparativo di maggioranza si intende dire che è più una
cosa che un’altra, non escludere uno dei due termini. Poi si dice che il pudore è “paura di avere una cattiva
reputazione” riprendendo Platone; e viene inoltre detto che vi è una manifestazione fisica del pudore come
rossore (fisicità del pathos). L’accezione usata per pudore generalmente usata è quella di vergogna, ma a
volte di pensa che esso stia ad indicare “ la modestia nelle parole e nel comportamento”., o ancora come “
sinonimo di aischyne, la vergogna, dopo aver commesso una cattiva azione” riferendosi così ad un’azione
viziosa. Ma che esso debba essere lodato è scritto sia in EN II 7 ma anche in EN IV 9. Il pudore viene anche
a configurarsi come irriducibile alla vergogna e come ciò che muove in direzione alla vergogna stessa. Se
chi è pudico ha il timore di doversi vergognare di qualcosa, in chi è virtuoso non c’è nemmeno la possibilità
dell’insorgere del dissidio. Esso è una passione ma è anche ciò che riesce a tenere a freno le passioni. Vi sono
inoltre delle passioni che nutrono in sé la medietà, è una passione sui generis. Cioè come passione mediana
che prepara il terreno alla virtù. I
scenario: il pudore veste i panni del giusto mezzo, della medietà virtuosa tra l’eccesso della sfrontatezza e il
difetto della timidezza.
II scenario: si trasforma in passione, ovvero paura.
III scenario: si propone come passione mediana, cioè come inclinazione naturale alla virtù che rimette in
gioco il suo ruolo di hexis.
Libro V: la giustizia. Determinazione dell’oggetto di ricerca, del metodo da seguire e della multivocità dei
termini giusto e ingiusto. poi esame del giusto in generale, del giusto particolare nelle forme distributiva e
correttiva , delle formule matematiche che lo esprimono, l’esame del contraccambio. Poi nella seconda parte
giustizia e azione giusta , il giusto politico e quello domestico, i diversi tipi di errore e altre cose. Forse si
basa sul metodo degli endoxa. Giustizia è lo stato abituale tale da rendere gli uomini capaci di compiere
azioni giuste. Quindi giustizia ed ingiustizia possono dirsi in molti modi. Giusto è chi rispetta la legge ed è
onesto, quindi tutto ciò che è secondo la legge è giusto. Le leggi tendono all’utile comune prescrivendo di
compiere le opere del coraggioso, del temperante e dell’uomo mite. Essa è virtù completa visto che riguarda
il prossimo e non solo se stesso. Essa non è parte della virtù ma è l’intera virtù ed è uno stato abituale. La
giustizia particolare esiste come anche ingiustizia particolare che trova efficacia nel rapporto con l’altro.
L’ingiusto è stato diviso nell’illecito e nel disonesto. Bisognerà poi capire se l’arte politica o un’altra si
occupa dell’individuo buono in assoluto. Specie della giustizia particolare è quella che consiste nella
ripartizione di onori, ricchezze ed altro; un’altra è quella che stabilisce la correttezza nelle relazioni sociali. Il
giusto inoltre è uguaglianza ed è u