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LO SCENARIO DEL POTERE SOVIETICO
In una conferenza tenuta a Zurigo il 22 gennaio del 1917, Lenin affermava che l'uragano
rivoluzionario del 1905 era solo il prologo di una prossima rivoluzione europea. Tale rivoluzione si
sarebbe caratterizzata come una guerra civile che avrebbe liberato l'umanità dal capitalismo. Solo la
guerra civile e la mobilitazione permanente del movimento rivoluzionario continentale, avrebbe
potuto scuotere la Russia e l'Europa dalla guerra imperialista.
Secondo Weber, il fine della rivoluzione russa sembra condurre a un colpo di Stato che sarebbe
stato realizzato o dai bolscevichi e dai social-rivoluzionari, o da un geniale carismatico come
Napoleone o Washington. La Russia sembrava avviarsi o verso la dittatura rivoluzionaria o verso la
dittatura militare. La rivoluzione russa non poteva essere paragonata a quella francese perché non
attribuiva un valore sacro alla proprietà, un genio come Napoleone avrebbe potuto creare una nuova
Russia fondata sulla piccola proprietà contadina, intraprendendo uno sviluppo europeo.
Petr Stolypin, varò una riforma agraria che doveva realizzare la ricostruzione del mondo rurale e
che fu attuata dal 1906 al 1911: la riforma contemplava lo scioglimento della comune contadina e la
creazione di un ceto di agricoltori indipendenti e solidi economicamente. Alla rivoluzione Stolypin
contrapponeva l'idea di Grande Russia, riuscendo ad ottenere il consenso del liberalismo patriottico
degli ottobristi e del partito constituzional-democratico. Stolypin, secondo Weber, aveva sconfitto
l'opposizione democratica, risvegliando il nazionalismo della Grande Russia. Per alcuni come Pipes
egli era il migliore statista della storia della Russia imperiale, per altri aveva la caratteristica dello
zar. Per Lenin invece, era la guida della controrivoluzione e il protagonista del colpo di Stato del
giugno del 1907 che aveva imposto lo scioglimento della Duma con un pretesto: il parlamento non
aveva accettato la richiesta di togliere l'immunità a sedici deputati socialdemocratici. La rivoluzione
del 1905 e la controrivoluzione di Stolypin per Lenin attestavano che c'era una dittatura e non più
un'autocrazia, una sorta di bonapartismo agrario. Stolypin aveva instaurato la dittatura dei
proprietari terrieri e della borghesia che era l'ultima politica possibile per mantenere la burocrazia.
2. La controversia sulla dittatura del proletariato
Nel 1852, Marx formulava il concetto di dittatura del proletariato inserendolo nel contesto della
storia della lotta di classe al tempo del dominio della classe borghese e del capitale. La lotta di
classe avrebbe dovuto sfociare nella dittatura del proletariato che avrebbe abolito tutte le classi e
portare alla società senza classi. La dittatura del proletariato doveva rovesciare la dittatura della
borghesia, quest'ultima ha il controllo dello Stato in quanto detiene i mezzi di produzione. Il
proletariato deve imporre il proprio controllo sullo Stato, al fine di realizzare la trasformazione dalla
produzione capitalistica alla società comunista.
In Russia l'espressione dittatura del proletariato fu concepita da Plechanov, come supremazia di
una classe particolare che può disporre dell'organizzazione forzata della società. Per Plechanov, non
andava confusa con l'azione violenta, non implicava lo stato d'assedio e poteva coesistere con le
attività parlamentari e legali.
Il menscevico Martynov, afferma che Lenin era favorevole alla conquista del potere e alla dittatura,
lo etichettava come un giacobino ortodosso. La dittatura rivoluzionaria non implicava lo stato
d'assedio contro la vecchia dittatura e l'elevazione della rivoluzione a legge temporanea. Al centro
della diatriba tra menscevichi e bolscevichi c'era la questione della dittatura: Lenin elaborava l'idea
della conquista del potere per mano militare, forgiata da Cenysevskij e da Tkacev, dall'altra parte
concepiva il bolscevismo come un oltrepassamento del radicalismo borghese giacobino e come
affermazione di una dittatura. Quest'ultima poteva essere instaurata solo in base al potere personale
di un capo. Diversamente da Marx, Lenin affermava che si poteva passare dall'autocrazia alla
dittatura del proletariato senza passare attraverso la fase del capitalismo borghese. Lenin in un suo
opuscolo “Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica” negava di essere un
giacobinista ortodosso, insistendo sul fatto che il giacobinismo francese era diverso dalla
rivoluzione russa, quest'ultima aveva metodi d'azioni diversi e conformi al partito operaio. I
bolscevichi volevano elevare la piccola borghesia rivoluzionaria e i contadini al potere, a tal fine la
dittatura avrebbe dovuto necessariamente poggiare sulla forza armata, sull'insurrezione e
sull'armamento delle masse.
3. La dittatura democratico-populista di Kerenskij e la dittatura nazionale di Kornilov
La rivoluzione del febbraio del 1917, da una parte confermava la tesi di Martynov sulla possibilità
di molte opzioni dittatoriali e dall'altra confermava la tesi di Lenin sulla dittatura del proletariato
some rovesciamento del governo provvisorio. Con Kerenskij si affermò il culto del capo del popolo
(vozd naroda) come simbolo della democrazia creato dall'intelligencija populistica patriottica. Dopo
la rivoluzione d'ottobre, il bolscevismo si appropriò di tale culto che assunse le sembianze di Lenin.
La dittatura nazionale apparve con il comandante supremo generale Kornilov. Egli voleva imporre
la legge marziale e affidare il potere nelle mani del comandante supremo. Al fine di reprimere
l'ammutinamento del comandante supremo, Kerenskij assunse pieni poteri ergendosi a capo
carismatico della rivoluzione. La sconfitta della democrazia russa, secondo Kerenskij doveva essere
attribuita alla comparsa dello spettro della dittatura militare di Kornilov. La scrittrice Zinaida
Gippius, esponente dell'intelligencija che aiutò a forgiare il culto di Kerenskij, era convinta che la
rivoluzione si sarebbe potuta arginare con un triumvirato con Kerenskij, Kornilov e Savinkov( ex
terrorista social-rivoluzionario che partecipò alla guerra civile dalla parte dei bianchi). Tale
triumvirato non si è formato per colpa di Kerenskij che apparve come un “autocrate pazzo”.
La rivoluzione bolscevica aveva inaugurato una feroce guerra civile mondiale che contrapponeva i
rossi ai bianchi. Quest'ultimi erano guidati dall'idea della dittatura nazionale incarnata da Kornilov
che morì nel 1918. Lenin dopo il suo rientro in Russia nell'aprile del 1917, venne visto come colui
che predicava la pace nella guerra imperialista e prometteva la salvezza della Russia attraverso la
spietata guerra civile.
4. La dittatura bolscevica: la polemica tra Lenin e Kautsky
In “Stato e rivoluzione” Lenin afferma che la rivoluzione violenta era la prima fonte di
legittimazione della dittatura del proletariato, quale periodo di transizione dal capitalismo al
comunismo che necessitava di una macchina di repressione per l'epurazione dei capitalisti. In “La
dittatura del proletariato” Kautsky affermava che essa era l'antitesi della Comune di Parigi. Per
Marx la dittatura del proletariato era una sorta di democrazia pura, in quanto essa doveva essere la
maggioranza, i bolscevichi invece erano una minoranza blanquista che aveva conquistato il potere.
Kaustky contrapponeva al metodo dittatoriale dei bolscevichi, il metodo democratico, perché la
rivoluzione proletaria era l'antitesi della guerra civile. I bolscevichi invece avevano instaurato una
dittatura napoleonica e un sistema di guerra civile permanente che era incompatibile con la
costituzione del socialismo. Con la statalizzazione dell'economia e della società e con il culto della
violenza, secondo Kautsky, i bolscevichi avevano elaborato una nuova teoria della dittatura del
proletariato diversa da quella di Marx e che volevano estendere in tutta Europa.
Lenin si scagliò contro il suo accusatore, imponendo la preminenza del bolscevismo nella dottrina
marxista e affermando che la dittatura del proletariato non era una forma di governo, ma la
distruzione violenta dello Stato borghese.
Secondo Trockij, la dittatura del proletariato doveva essere garantita e consolidata con il terrore,
non a caso il vanto della dittatura era la CEKA, l'apparato repressivo del potere rivoluzionario e del
terrore rosso. Secondo Struve, nella rivoluzione russa aveva prevalso il concetto di classe come
unità psichico-sociale e la lotta di classe era stata trasformata in propaganda. L'appartenenza al
proletariato non era collettiva ma individuale; lo stesso Lenin apparteneva al proletariato perché se
lo era imposto psicologicamente. Il nemico di classe, per Struve, era determinato in base a un
criterio psicologico e non economico di classe, l'indistinta avversione contro i borghesi. Il nemico di
classe era definito in base alle passioni distruttrici scatenate dagli interessi individuali. In base alla
concezione soggettiva e psicologica della classe, il socialismo avrebbe potuto incarnarsi in un
singolo uomo che si attribuiva l'identità di superproletario e assumeva in sé il destino del
socialismo.
5. La monocrazia di Stalin
Il socialismo in un solo uomo si realizzò con l'avvento al potere di Stalin, per il quale la dittatura del
proletariato era sinonimo di monocrazia del proletariato, perché a dirigere l'alleanza con i contadini
era il proletariato. La dittatura, per Stalin, era il potere basato sulla forza e il partito non era il
dittatore, ma il maestro e la guida del proletariato. All'inizio degli anni Trenta la monocrazia del
proletariato si identificò con il culto del capo. Per Stalin, la rivoluzione bolscevica inaugurava una
nuova epoca della storia mondiale: da una parte essa non era il continuo di quella francese perché
voleva abolire l'ordine capitalista europeo; dall'altra parte essa non era la insensata rivolta russa di
Pugacev. Berdjaev sosteneva che la Terza Internazionale era la realizzazione della Terza Roma.
Lo stalinismo all'epoca del socialismo in un solo paese non poteva essere una specie di fascismo
russo, non può essere visto come una prospettiva del nazional-bolscevismo e del totalitarismo
nazionalistico, in quanto il bolscevismo non divenne mai nazionale, ma rimase sempre una sorta di
internazionalismo nazionalista. L'esperienza totalitaria non può essere racchiusa né nella guerra
civile e né nella dittatura totalitaria; essa è definita come una nuova forma di autocrazia e una forma
di governo altamente dinamica, o nel caso dell'Urss di Stalin, come una perpetuazione del
dispotismo orientale e dell'asiatismo. Il Grande terrore fu l'espressione dalla massima potenza della
monocrazia anomica con un'estensione fino allo sterminio di massa, della categoria etichettata com