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S; R;
1. se S giudica R e prova un sentimento di piacere è un (es.
giudizio di gusto puro! Questa rosa è bella);
questa deve essere la sola relazione! S e R senza esistenza di altri fini;
2. Se giudico gli oggetti/rappresentazioni lo faccio non solo per se stesse, ma anche quello cui questi
oggetti possono essere utili. Es. casa -> se giudico un edificio bello di per se (giudizio estetico), ma lo
valuto per viverci c’è la relazione di S per un fine soggettivo. Il giudizio di gusto non è puro!
-> giudizio di gusto puro. Lo direi anche se fosse una rappresentazione fotografica. Ma se
Il Colosseo è bello
penso al Colosseo come posto per abitarci, bisogna che quel posto esista!
Un edificio è bello in riferimento a un fine (viverci) -> giudizio di gusto non puro, perché provo interesse
all’esistenza dell’oggetto.
3. Relazione di S per fine oggettivo -> Io valuto positivamente qualcosa per le sue conseguenze morali.
Qualcosa mi piace, non solo di per sé, ma in riferimento ad un fine oggettivo/morale. Se un’orchestra
suona male (islamica e palestinese), e dico faccio riferimento al fine oggettivo perché il
E’ bello,
buono influenza il mio giudizio estetico (vedo che le due fazioni sono unite e mi piacciono). Il giudizio
Sono interessato all’esistenza della pace, ma questo non ha a che fare niente
di gusto non è puro!
con la bellezza -> formulo un giudizio ibrido (metà estetico – metà morale).
Perché l’esistenza di un fine sporca il giudizio di gusto e lo rende meno puro? Perché presuppone il nostro
interesse all’esistenza di un oggetto. Qualunque riferimento a fini, oggettivi/soggettivi, rende un giudizio di
gusto meno puro.
Vi è una finalità soggettiva nella rappresentazione di un oggetto: l’oggetto/rappresentazione estetica (rosa,
opera d’arte) è come se fosse fatto apposta per piacerci, il fine di quell’oggetto fosse quello di
come se
piacere alle nostre facoltà rappresentative. Noi abbiamo intelletto e sensi e una rappresentazione che ci piace
le mette in libero gioco, ma queste appartengono solo all’uomo -> come fa la rosa a sapere che deve essere
fatta in un certo modo per poter mettere in moto quelle facoltà rappresentative? E’ come se la rosa fosse
fatta apposta per mettere in moto le nostre facoltà conoscitive. Ma ciò significa che la rosa abbia il fine
non
di piacerci, è come se avesse questa finalità interna, capacità di piacere alle nostre facoltà conoscitive. Ma
non c’è nessun fine oggettivo -> la rosa non si è creata da sola in modo tale da piacerci. Kant dice che quando
contempliamo la rosa, quello che contempliamo è il fatto che quell’oggetto sembra fatto apposta per
piacerci, sembra che ci sia un fine nell’oggetto, ma invece è un puro caso che quest’oggetto ci piaccia, ed un
altro no. E’ la -> la rosa non ci piace per la sua materia (materiale di cui è costituita), ma
finalità soggettiva
quello che ci piace è il fatto che (la sua forma, compiacimento di
sembra esser fatta apposta per piacerci
tipo formale, come se la rosa fosse organizzata in modo tale fatto apposta per piacerci, che mette in
movimento le nostre facoltà conoscitive).
Ciò che ci piace non è l’oggetto di per sé (altrimenti non avremmo criteri per distinguere gli oggetti) ma quello
che ci piace è che ci sembri che la rosa abbia un proprio fine di piacerci, mentre questa non ce l’ha! Questa
relazione contraddittoria tra ciò che la rosa appare e ciò che essa è, è quello che ci piace.
Se indossi un vestito, hai la finalità di piacere agli altri. Kant dice che con la rosa sappiamo che la rosa non ha
finalità intenzionale -> la sua bellezza è pura e autentica. E’ il dove abbiamo l’impressione di
bello di natura,
un riferimento a un fine, ma invece sappiamo che questo riferimento non c’è. La rosa non vuole piacerci, ma
noi percepiamo una finalità. Finalità è armonia tra (come è organizzato e
armonia: forma dell’oggetto
appare) e le nostre E’ la finalità senza un fine: abbiamo un sentimento di un fine, la rosa è
facoltà mentali.
fatta in modo tale da piacerci, ma non c’è nessun fine (la rosa non ha nessun fine nei nostri confronti).
Pg. 199
Nel giudizio estetico il piacere è contemplativo: godiamo nel contemplare la rosa; nel giudizio pratico,
godiamo per la realizzazione di un’azione. La consapevolezza che la rosa sembra fatta apposta per piacerci,
è il piacere stesso: nel valutare la rosa come ente finalistico rispetto noi (che sembra fatto come se qualcuno
l’avesse creato per piacerci) è il piacere. E’ il riconoscimento che esista un rapporto di armonia tra me e gli
altri, ma anche tra me e la natura/oggetti, ma è un’armonia di cui non trovo le ragioni (io so che la rosa non
si è creata in quel modo per piacermi, ma tuttavia mi piace -> finalità senza esistenza di un fine che genera
Ciò che ci aspettiamo e ciò che sappiamo fa nascere il nostro sentimento di piacere.
il piacere della bellezza).
Il piacere che ci dà il contemplare la rosa, rispetto noi e il nostro sentimento, ha la rosa ci fa sentire,
causalità:
causa, un sentimento di piacere, anche se non c’è legame oggettivo. Perché la rosa ci provoca un sentimento
di piacere? Non lo so. Non so perché mi causa un sentimento di piacere, ma c’è causalità (credo che sia la
rosa ad essere la causa del mio sentimento di piacere) -> succede tutto nella mia mente. Ci fermiamo a
contemplo, ossia mi soffermo a contemplare la rosa. Sento l’esigenza di continuare a
considerare il bello:
contemplarla perché sento le mie capacità vivificate dalla contemplazione, come se fosse la rosa ad avere
quell’effetto, quella causalità su di me, anche se so che la rosa non ha la finalità di piacermi. Contemplo ciò
che ritengo essere la causa del mio piacere (la rosa). Più contemplo l’oggetto bello, più le mie facoltà sono
vivificate, più la mia percezione della finalità senza fine rafforza se stessa. Quando diamo una valutazione
estetica, essa ci spinge a contemplare: quanto più lo contempliamo, tanto più sentiamo un sentimento di
piacere.
Prg. 13
Kant dice che il puro giudizio di gusto ha niente a che fare con le emozioni. Il gusto è barbarico quando
non
contiene in sé riferimento ad attrattive ed emozioni.
Kant dice che è bello ciò che non ha il fine di piacermi, se qualcosa è stata fatta apposta per piacermi, quel
qualcosa non è veramente bello. Es. voglio dare una valutazione estetica su una persona, dico Quella persona
Ma se quella persona sa che a me piace il rosso, e indossa un vestito rosso per piacermi di più, e il
è bella.
mio giudizio è condizionato da questo, è meno puro. E’ l’attrattiva: quello che è evidentemente fatto apposta
per piacermi, se io lo riconosco, rovina il giudizio estetico puro. E’ un giudizio che ha a che fare con l’attrattiva:
il rosso piace a me e non potrebbe piacere a qualcun altro. Qui viene meno il valore universale. Più abbiamo
attrattive nell’oggetto, tanto meno il giudizio di gusto è puro.
Quello puro è qualcosa che do a qualcosa che non vuole piacermi, ma che è fatto come se volesse piacermi.
E’ il apprezziamo esteticamente qualcuno che fa di tutto per apparire bello, ma
principio della naturalezza:
solo quando questo sforzo non appare e la bellezza sembra naturale. Se qualcuno si mette in posa nelle foto,
è qualcosa fatto apposta per piacere, invece noi apprezziamo la naturalezza, qualcosa che sembri non voler
essere attraente. Deve essere attraente come se volesse esserlo per me -> qualcuno che si veste ostentando
le attrattive, vuole piacermi! Quindi il giudizio di gusto è corrotto.
Se la persona non lo sa (di vestirsi di rosso), e io so che non lo sa, c’è un giudizio di gusto puro!
E’ un po’ come gli effetti speciali al cinema, noi sappiamo che è tutto finto e ci piace -> il film sembra naturale.
Se vedessimo che è artificioso, non ci piacerebbe più. Apprezziamo ciò che ha la finalità, ma non ha fine.
Ripasso -> Il puro giudizio di gusto è indipendente da attrattive e emozioni. Ogni interesse corrode il giudizio
di gusto e gli toglie imparzialità: se connesso a interesse, che sia soggettivo (privato) o oggettivo (universale),
avremo un giudizio di gusto non puro. Kant dice che qualunque tipo di interesse corrompe il giudizio, ma in
particolare quando noi colleghiamo il giudizio di gusto il sentimento del gradevole. Il collegamento al giudizio
con un interesse morale è meno grave, rispetto al collegamento col gradevole. Quanto più il nostro giudizio
è influenzato dal gradevole, tanto meno deve avanzare la pretesa di universalità.
Ciò che è veramente bello è ciò che non ha il fine di piacere: ciò che sembra fatto apposta per piacere, ma
che non ha il fine di piacere. E’ la non vincolata tramite un riferimento ad attrattive. Per noi
bellezza libera,
attrattiva ed emozione sembrano collegate alla bellezza: Kant dice che nei fatti empiricamente spesso
tendiamo a indentificare la bellezza con la presenza delle attrattive e delle emozioni, ma se noi cerchiamo
quali siano le condizioni di un giudizio di gusto autentico e puro, dobbiamo determinare meglio i concetti.
Kant fa la distinzione tra:
materia;
• forma.
•
Ciò che chiamiamo bello deve piacerci per la forma e non per la materia. Posso apprezzare un edificio perché
la contemplazione dell’edificio mi suscita un sentimento di piacere (il mio sentimento è collegato alla forma),
oppure posso apprezzarlo per la sua materia (per l’uso che posso fare per l’edificio -> abitarci -> non ho un
giudizio di gusto puro, ma collegato ad un interesse, materialità dell’oggetto).
Kant introduce esempi. I giudizi estetici possono essere:
hanno a che fare con un dato dei sensi/esperienza -> predicato il gradevole/non gradevole.
empirici,
• Sono giudizi estetici materiali;
-> predicato il bello. Contengono riferimento alla forma.
puri
•
Ogni qual volta per avere un sentimento di piacere devo consumare un oggetto materialmente, avrò un
giudizio empirico; al contrario la forma ha a che fare con una mancanza di interesse. Posso apprezzare
un’opera d’arte perché mi piace formalmente oppure perché voglio possederla a casa mia -> giudizio di gusto
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