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ANALISI D’OPERA:
Giulio Romano e bottega: La Stanza di Costantino 1520-24 Palazzi Vaticani
Alla morte di Raffaello (aprile 1520), le imprese decorative affidate alla sua bottega vengono per lo più ereditate da
Giulio Romano, che ottiene da Leone X anche l’incarico di completare la Stanza di Costantino, in linea di massima già
progettata da Raffaello stesso. Quella di Costantino ha una funzione semipubblica di ricevimento e per questo viene
decorata con un programma mirato a celebrare, oltre alle vittorie del primo imperatore cristiano, anche i grandi papi e
le loro virtù, in una commistione storico-allegorica di forte pregnanza politica. Proprio Giulio e suoi collaboratori
spettano l’esecuzione e la rielaborazione del progetto raffaellesco: nella scena della Battaglia di Costantino a ponte
Milvio, il pittore romano conferisce alla scena del combattimento enfasi e dinamismo, esaltando la massa plastica dei
cavalli e dei cavalieri moltiplicando il numero dei singoli episodi di lotta, concentrati intorno alla figura dell’imperatore
a cavallo, a fatica individuabile nell’intrico dei corpi. Sulla seconda parate, raffigurante al centro la scena
dell’Adlocutio di Costantino con la visione della croce, Giulio interviene ancora più radicalmente sul progetto di
Raffaello, accentuando l’andamento diagonale della composizione e moltiplicando gli spunti narrativi, al punto di
inserire in grande evidenzia la figura nano-buffone, colto nel gesto pateticamente minaccioso di cingersi il capo con
l’elmo.
Polidoro da Caravaggio: le facciate e i paesaggi 1524-27
Per Polidoro da Caravaggio, il rapporto con l’antico costituisce uno stimolo emotivo e visionario di grandissima forza;
nella prima fase della sua attività autonoma egli si specializza nell’affresco delle facciate dei palazzi in chiaroscuro con
storie all’antica. Purtroppo l’esposizione all’aperto non ne ha quasi consentito la conservazione, ma sia le
testimonianze dei contemporanei sia l’attività grafica di Polidoro e quella straordinariamente ricca di coloro che ne
ricoprono le invenzioni, ci restituiscono l’espressione dell’energia insieme classica e passionale sprigionata dall’artista.
Polidoro da Caravaggio: l’Andata al Calvario 1530-34 Museo di Capodimonte, Napoli
Nella seconda fase dell’attività di Polidoro, concentrata tra Napoli e Messina e protrattasi dal 1527 fino alla morte,
rimangono vitali il dialogo con i modelli di Raffaello e la passione per l’antico, ma il contatto con l’ambiente
meridionale induce l’artista a esaudire le richieste di una committenza devota. L’Andata al Calvario scaturisce da un
lungo iter progettuale. Polidoro allontana la scena dal primo paino per moltiplicare i gruppi di figure e approfondire
l’ambientazione naturale. Troviamo la Veronica, a destra, con il telo recante effige di Cristo e, sulla sinistra, l’episodio
dello svenimento della Vergine.
Rosso Fiorentino: il Cristo morto 1524-27 Boston
Rosso Fiorentino, giunto a Roma all’aprirsi del pontificato di Clemente VII, prosegue instancabilmente sulla strada
della ricca formale, diventando uno dei massimi promotori del nuovo linguaggio romano, fondato da un alto sulla
conoscenza delle opere di Michelangelo e Raffaello, dall’altro su un’inesauribile vena inventiva, elegante, volutamente
artefatta, spesso quasi profana anche nel proporre soggetti sacri. Nel Cristo morto, dipinto per il vescovo Lorenzo
Tornabuoni di Arezzo, la consueta imago pietatis di origine bizantina, che prevedeva l’offerta da parte degli angeli del
corpo di Cristo all’adorazione dei fedeli, è trasformata in una composizione complicata e intellettuale, impostata su
una gamma di colori cangianti, intessuti sul contrasto dei complementari e inserita in un’ambientazione talmente
compressa da mancare quasi di definizione spaziale. Circondata da angeli ricciuti che recano torce ritorte, spicca al
centro la figura del Cristo morto, plasticissima e connotata da una sensualità talmente materiale da far scomparire
ogni traccia del pathos della morte per sublimare invece l’aspetto terreno dell’incarnazione.
Parmigianino: La Visione di San Gerolamo 1526-27 National Gallery, Londra
In un personaggio scarsamente caratterizzato, mentre San Gerolamo dorme, si distinguono la Vergine con i piedi il
Bambino, librati nel cielo, e in primo paino san Giovanni Battista, unica figura attiva, colto nell’atto di indicare
all’osservatore l’apparizione celeste che si materializza alle sue spalle. Il formato verticale è enfatizzato
dall’allungamento artificioso ed elegante delle figure, che non presentano alcuna connotazione drammatica o
patetica, ma esprimono invece una grazia artefatta e inossidabile, altrettanto lontana dal mondo quotidiano quanto la
terribilità sovraumana delle figure di Michelangelo.
Parmigianino: Madonna con Bambino, un angelo e tre santi 1529-30, Pinacoteca nazionale, Bologna
Sacra conversazione in un notturno incipiente, lunare, in cui il colore diventa brillante, e assiepa le figure intorno a un
centro definito dall’incontro dei volti di Cristo e di Santa Margherita. La direttrice spaziale è definita dalla figura in
primo piano, inginocchiata in una posa sinuosa, e la pala risulta pervasa da una grazia suprema e rarefatta che
caratterizzerà le opere successive dell’artista.
Giulio Romano e bottega: Palazzo te 1525-1535 Mantova
Gli interni di Palazzo te, vengono decorati su progetto di Giulio Romano, che si avvale di una schiera di collaboratori,
impegnati a tradurre in affresco e tavola in stucco le mitologie scelte per esaltare i Gonzaga e, dopo il 1530, anche
l’imperatore Carlo V, che aveva concesso a Federico II l’agognato titolo ducale. Alcuni ambienti vengono decorati con
motivi già utilizzati in altre ville dei Gonzaga: esempio la Sala delle Imprese e di quella dei Cavalli, quest’ultima
celebrante i pregiati destrieri dei Gonzaga, ma arricchita da architetture a lesene corinzie che simulano un loggiato da
paesaggi e da finti rilievi raffiguranti le imprese di Ercole. Nella Sala dei Giganti, la vittoria di Giove sui ciclopi ribelli
allude al ruolo di Carlo V dominatore sui nemici, concludendo gli ambienti esplicitamente dedicati da Federico
Gonzaga all’imperatore.: la principale fonte d’ispirazione è costituita dalle Metamorfosi di Ovidio, assai diffuse. La sala
non presenta alcuna partizione architettonica, ma è costituita come un continuum avvolgente e turbinante, privo di
spigoli o angoli fu motivo di enorme meraviglia per i contemporanei.
Giulio Pippi detto Giulio Romano (Roma 1499- Mantova 1546)
Giulio nasce a Roma intorno allo scadere del XV secolo e vi rimane ininterrottamente fino al 1524. Entrato nella
bottega di Raffaello, ne diviene all’allievo prediletto e il principale collaboratore. Giulio diventa l’erede artistico
del maestro, continuandone l’opera nella Stanza di Costantino. Inizia anche una copiosa produzione di dipinto in
proprio e si dedica con successo all’architettura. Dal 1524 data la seconda parte della sua attività, concentrata a
Mantova interamente al servizio di Federico II Gonzaga, che affida all’artista la risistemazione urbanistica
cittadina. Giulio progetta ogni sorta di oggetto e di apparato, di decorazione e di architettura o scultura,
diventando il massimo consulente artistico di tutta l’Italia settentrionale, al punto che perfino Tiziano gli rende
omaggio e ne studia l’opera. A Mantova l’artista raggranella una cospicua fortuna e vive in un decorosissimo
palazzo, donatogli dai Gonzaga, raggiungendo un elevato status sociale. Fino alla sua morte e anche oltre,
Mantova torna a essere come ai tempi di Mantegna, uno dei principali centri di produzione artistica della penisola.
Perin del Vaga: Palazzo Doria 1530-35, Fassolo, Genova
Perin del Vaga si ferma a Genova per un decennio (1528-37) per coordinare la decorazione del Palazzo Doria di
Fassolo, rimaneggiato più volte nei secoli e oggi solo in parte leggibile nel suo aspetto cinquecentesco.
Poiché il palazzo presentava una disorganica estensione orizzontale, si decise di conferirgli un aspetto più uniforme,
affrescandolo sulle due facciate principali con scene mitologiche. Il programma iconografico, incentrato
sull’esaltazione dell’allegoria della potenza di Andrea Doria e del suo protettore, Carlo V, culmina nella Sala dei
Giganti, la meglio conservata tra le molte realizzate, in una serie di lunette a stucco che raffigurano personificazioni di
divinità ed elementi acquatici è sormontata da pennacchi con medaglioni e da riquadri narrativi di soggetto antico,
mentre il grande scomparto centrale, affrescato dallo stesso Perin, mostra l’episodio in cui Giove fulmina i giganti
ribelli. La bipartizione tra cielo e terra impostata da Raffaello nella Disputa sul Sacramento, viene ripresa da Perino che
la aggiorna mediante la compressione dello spazio e l’inedita collocazione orizzontale dei giganti atterrati, le cui
proporzioni allungate e sinuose rimandano allo sperimentalismo inqueto della stagione clementina appena conclusa.
Perin del Vaga: Natività Basadonne 1534, Washington
L’attività genovese del pittore non si limita al rapporto con Andrea Doria, ma viene richiesta anche delle principali
famiglie cittadine, come i Basafonne, che commissionano una pala per la cappella di famiglia posta n Santa Maria della
Consolazione. La Natività Basadonne, è un’importante testimonianza dello sviluppo dello stile di Perino poco prima del
ritorno a Roma ed evidenzia anche riflessioni maturate sui dipinti di Andrea del Sarto e di fra Bartolomeo, oltre alla
ricerca di nuove e più raffinate eleganze e di esibiti effetti chiaroscurali, che conferiscono maggior rilievo sacro alla
scena, animata anche dall’apparizione divina.
Parmigianino: La Madonna dal collo lungo 1534-39, Uffizi
Madonna dal collo lungo, dipinta dal 1534 per la cappella di Elena Baiardi Tagliaferri nella chiesa di Santa Matia dei
Servi a Parma. La vergine assisa in trono guarda il Bambino dormiente adagiato sulle proprie ginocchia, sulla sinistra
della composizione si accalca un gruppo di angeli apteri (senza ali), che offrono un’urna sulla quale riluceva il riflesso di
una croce, oggi quasi invisibile, ma nota perché descritta dal Vasari: a destra, ai piedi di altro colonnato, su un altro
piano, si allunga la figura di un profeta che distende un rotolo.
Parmigianino: Santa Maria della Steccata 1531-39, Parma
Parmigianino decora la chiesa di Santa Maria della Steccata di Parma, dove avrebbe dovuto eseguire l’ornamentazione
della volta del presbiterio e affrescare nell’abside un’Incoronazione della Vergine. In realtà, attratto dagli studi
alchemici, depresso e incapace di ricavare soddisfazione dal proprio lavoro, in quasi dieci anni di dilazioni continue
Parmigianino completa solo una piccola parte del programma, terminato dopo