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Il museo deve avere una missione, una mission statement: una dichiarazione esplicita sui fini, gli
obiettivi e le politiche del museo, così come sul ruolo e la composizione dell’Amministrazione
responsabile. La missione deve tener conto del tipo di collezione e dei principali pubblici di
riferimento, ma anche della realtà circostante al museo.
2. L’evoluzione
La storia del museo presuppone il collezionismo, il patrimonio culturale (conservazione, dispersione,
interesse pubblico), le discipline museali, i fenomeni sociali/politici/economici. Quando tutti questi dati
si incrociano nasce il museo, nell’epoca dei Lumi.
2.1 Le premesse
La cultura ellenistica si preoccupò di preservare le vestigia del proprio passato. Le fonti del III sec aC
come Senocrate di Atene e Antigone di Caristo collocano se stessi nella fase finale della parabola
“biologico-evolutiva” (nascita, sviluppo, apice, declino), invece il vertice è rappresentato dall’età dei
Pericle e di Alessandro Magno (Policleto e Lisippo). Da questa visione retrospettiva nasce il
collezionismo. La prima grande raccolta è quella degli Attalidi a Pergamo che tentano di riprodurre il
modello dell’Atene di Pericle collocando nella terrazza del santuario di Atena delle statue del periodo
classico selezionate anche in base alle scuole di appartenenza. Con la presa di Siracusa nel 212aC
vi è l’esodo delle opere greche verso Roma che durerà fino a Nerone (all’inizio prese come bottini di
guerra e poi date dalle città greche per i problemi finanziari).
A Roma il collezionismo è prestigio sociale e investimento, nascono i “valori fittizi” delle opere d’arte
(cioè l’antichità, la rarità, l’integrità, la serie completa, la patina). Al termine delle opere greche si
creano le copie, e Villa Adriana è piena di riproduzioni.
A Roma il problema della destinazione pubblica delle opere è testimoniata dall’episodio di Tiberio che
asporta l’Apoxyomenos di Lisippo (messo da Agrippa davanti alle terme) sostituendolo da una copia
ma date le violente proteste del popolo è costretto a rimettercelo. Dalla seconda guerra punica fino al
II sec dC le opere esposte in luoghi pubblici sono inamovibili e inventariate in appositi registri.
Nell’età cristiana le statue antiche permangono in quanto “ornamenta” della città anche dopo la
chiusura dei templi pagani nel 391-392. Il collezionismo imperiale si sposta a Costantinopoli dove
affluiscono gli originali greci (come nel V sec l’Atena Promachos di Fidia dal Partenone, poi esposta
nel Foro di Costantino, ma anche lo Zeus di Olimpia di Fidia e l’Afrodite di Melos di Prassitele trovano
poi posto nell’ala del Grande Palazzo detta Lauseum).
Le raccolte delle cattedrali e delle abbazie medievali sono eterogenee, con valenza simbolica
(reliquie nelle teche, vasi sacri con gemme e smalti, croci d’oro e argento, gli avori, i cristalli di rocca,
uova di struzzo, corni, coccodrilli imbalsamati, oggetti magici ed esotici nelle enciclopedie, nei bestiari
e nei lapidari), alcuni manufatti reimpiegano cammei e gemme antiche (es reliquiario Scrigno di Carlo
Magno nel quale il cristallo di rocca riporta l’effigie di Giulia figlia di Tito), oppure prodotti di arte
orientale (vetro, metallo, stoffa). A queste collezioni si ispirano quelle delle corti tardo medievali (es
raccolta del duca Jean de Berry 1340-1416 fratello di Carlo V). Dal Medioevo al XIV sec la passione
per la scultura antica sopravvive, ma vi sono solo apprezzamenti estetici, invece con l’Umanesimo si
attribuisce alle opere un valore di testimonianza del passato e di modello per il presente (es la
collezione di monete di Petrarca). Nel 1471 Sisto IV dona al popolo romano alcune sculture legate
alla storia della città da collocare in Campidoglio: la Lupa, il Camillo, lo Spinario, la testa di
Costantino, l’Ercole, le divinità fluviali.
Le corti rinascimentali utilizzano lo studiolo come spazio per la collezione (es quello di Lionello e
Borso d’Este a Ferrara, quello di Federigo da Montefeltro a Urbino e quello di Isabella d’Este a
Mantova). Nel 1500 lo studiolo si evolve in stanza delle meraviglie.
La raccolta papale è all’aperto nel cortile del Belvedere di Bramante e nel 1506 acquisisce anche il
Lacoonte.
L’influsso romano arriva in Francia e Francesco I fa allestire nel 1528 una galleria nel suo castello di
Fontainebleau.
Tra 1560-1580 Francesco I de’ Medici fa allestire negli Uffizi due corridoi (uno per le statue e l’altro
per i dipinti) e aperta a un pubblico ristretto nel 1584.
Dalla fine del 1550 la “galleria” è quella luogo deputato all’esposizione delle collezioni d’arte più
importanti. A Roma le gallerie ospitano raccolte che i papi costituiscono per interposta persona,
attraverso i cardinali-nipoti: Borghese, Ludovisi, Pamphilij, Chigi.
Nel 1600 i sovrani e principi entrano in competizione e cercano di creare raccolte sempre più grandi,
approfittando anche dei dissesti finanziari e politici dei rivali (es il duca Vincenzo vende a Carlo I
d’Inghilterra la collezione Gonzaga di Mantova).
Le raccolte seicentesche sono caotiche, piene di oggetti diversi e provenienti da vari paesi, ma da
questo disordine iniziano i primi tentativi di classificazione delle raccolte.
Le Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi dell’olandese S. Quiccheberg del 1565 descrivono la
collezione di Alberto V di Baviera distinguendola in classi (storia, scultura, pittura, arte applicata,
scienze naturali, scienza e tecnologia). Il cardinale Federico Borromeo 1564-1631 è il primo che
attribuisce a una raccolta d’arte la finalità di strumento educativo per gli artisti (fonda il complesso
dell’Ambrosiano di Milano nel quale vi è una biblioteca, una pinacoteca e l’accademia del disegno).
A Oxford nel 1683 si fondano una raccolta libraria e naturalistica, i responsabili delle collezioni sono i
“curatores” (conservatori o curatori) e sono docenti universitari, l’ingresso è a pagamento e l’introito
stipendia il personale.
Nel 1714 a Bologna si inaugura il primo museo italiano con dichiarate finalità pubbliche, istituito da
Luigi Ferdinando Marsili in Palazzo Poggi.
2.2 La storia
Vi sono due testamenti che simboleggiano il passaggio delle opere allo Stato: il primo è del 1743
dell’elettrice palatina Anna Maria Ludovica ultima discendente dei Medici dona le raccolte ai Lorena
per incrementare il prestigio dello Stato e l’affluenza degli stranieri; il secondo è quello di sir Hans
Sloane del 1749 (Sloane stabilisce che la sua collezione di scienze naturali e di antichità siano
destinate a un’istituzione che le renda accessibili al pubblico ma sotto un compenso destinato agli
eredi) e nel 1759 nasce il British Museum nel quale confluisce la biblioteca di sir Henry Cotton (ad
oggi nella British Library).
Gli Uffizi vengono aperti al pubblico nel 1769 dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo e nel 1782
l’abate Lanzi fa una classificazione dei materiali per tecniche, scuole e periodi con nuovi criteri
mediati dallo storicismo e dall’antiquaria date le teorie estetiche di Winckelmann (il quale aveva
pubblicato a Dresda nel 1764 la Storia dell’arte e dell’antichità).
Quando Winckelmann giunge a Roma nel 1755 i musei capitolini sono stati riorganizzati e inaugurati
da Clemente XIII nel 1734, dal 1738 iniziano gli scavi di Ercolano poi Pompei e Stabia, quindi W.
Collabora all’allestimento della raccolta antiquaria del cardinal Alessandro Albani e nota che le
sculture romane erano in gran parte riproduzioni di originali greci.
Nel 1770 un ampliamento dei Palazzi Vaticani (il museo Pio-Clementino) è dovuto all’acquisizione
delle collezioni Fusconi e Mattei e lo spazio diventa modello per l’architettura interna del museo
inserendola in un gusto neoclassico. Nel 1763 viene inaugurata villa Albani che contribuisce alla
genesi di una nuova tipologia edilizia museale. Stessa cosa nel 1742 il Museo Reale di Dresda col
progetto di F. Algarotti. Nel 1716 e protrattasi per trent’anni A. Pompei edifica a Verona un luogo per
ospitare la raccolta epigrafica di Scipione Maffei e quest’ultimo aveva indicato i criteri di esposizione.
Le aperture al pubblico sono volute dall’elettore palatino a Monaco (che nel 1779-1783 consente di
visitare la sua raccolta d’arte nell’Hofdarten) oppure da Maria Teresa d’Austria a Vienna (che nel
1792 fa visitare a chi indossa scarpe pulite il Belvedere di Vienna con una pinacoteca secondo criteri
storici e sistematici), oppure Luigi XVI in Francia col Louvre (il quale nomina anche un direttore del
demanio reale: il conte d’Angiviller, il quale è responsabile di conservazione, sicurezza e
illuminazione).
Nel periodo precedente alla rivoluzione l’Assemblea nazionale delibera la nazionalizzazione dei beni
ecclesiastici e poi nel 1792 di quelli della monarchia, a seguito di episodi di vandalismo si provvede
alla tutela e conservazione che comprende la creazione dei musei, quindi il Louvre viene aperto nel
1793 (che con Napoleone avrà un significato di sede nel quale vengono portate le opere
decontestaulizzate perché strappate dai loro contesti originari). -> fino ad allora il museo aveva opere
che provenivano dal collezionismo, invece il prelievo dal territorio non era ancora una pratica
legittimata (eccezione: gli Uffizi avevano approfittato della soppressione dei conventi per prendere le
pale d’altare).
In Italia la soppressione napoleonica degli enti ecclesiastici aveva dirottato verso Milano (nel Palazzo
di Brera) i dipinti destinati alla nuova Pinacoteca Nazionale del 1802. Le opere italiane razziate da
Napoleone vennero quasi tutte riportate da Antonio Canova, molti quadri che rientrarono trovarono
posto alla Pinacoteca Vaticana anziché nei luoghi di origine. Quindi lo Stato Pontificio adotta lo
stesso modello usato dal governo napoleonico per Brera.
A Parigi nel 1816 viene smantellato i Museo dei Monumenti francesi ma sopravvivono altri due musei
pubblici post-rivoluzione: il museo di storia naturale (istituito nel 1793 nel Jardin des Plantes, orto
botanico reale, che diventa Jardin du Roi), e il Conservatorie National des Art set Metiers (nato nel
1794 promosso da un abate e collocato nel priorato di Saint-Martin-des-champs).
In Germania si costruiscono musei completamente nuovi: la Gliptoteca di Monaco del 1830 voluta da
Ludovico I di Baviera e destinata alla raccolta di scultura antica del sovrano, ha forme neogreche
all’esterno e storicistiche all’interno; oppure la Alte Pinakothek di gusto neorinascimentale con un
criterio museografico tipico dell’800 (attenta sicurezza, spazi accessibili da ciascun settore,
ripartizione dei quadri per dimensione e in base alla luce) e un allestimento interno tipico italiano