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SECONDA PARTE
L’ingresso nel postmoderno
Sulle rovine del museo
Di Douglas Crimp
Hilton Kramer (critico d’arte, 1928-2012) ironizzava sul rilievo dato alla pittura di salon.
Il destino dei cadaveri è quello di rimanere sepolti, e la pittura di salon veniva considerata
perfettamente morta. Ma ai giorni nostri non c’è arte tanto morta che non si riesca a
scovare uno storico dell’arte pronto a scoprire qualche traccia di vita nei suoi resti imputriditi.
Th. W. Adorno nel suo saggio dedicato alle esperienze opposte di Valéry e Proust al Louvre, si sofferma su
questa mortalità “museale” vedendola come l’effetto inevitabile di un’istituzione presa nelle contraddizioni
della sua cultura e quindi tale da investire tutti gli oggetti in essa racchiusi.
Kramer attribuisce le condizioni di vita e di morte alle opere stesse, la cui qualità è minacciata soltanto dalle
distorsioni che un allesstimento sbagliato può far loro subire.
Una delle prime occorrenze del termine postmoderno nell’ambito delle arti visive l’abbiamo avuta con
Leo Steinberg (storico e critico dell’arte) che studiava la trasformazione della superficie pittorica operata da
Rauschenberg che chiama un “flatbed”. Il “flatbed” costituisce un nuovo tipo di superficie pittorica, il
passaggio più radicale nell’ambito dell’arte, quello dalla natura alla scultura.
Se i “flatbed” di Rauschenberg producono una rottura o una discontinuità tanto forte con il passato
“moderno”, allora possiamo forse dire di stare vivendo una di quelle trasformazioni epocali del campo
epistemologico che Foucault ha descritto.
L’inizio del modernismo si fa spesso coincidere con l’opera di Manet, in cui il rapporto con la pittura con i
suoi antecedenti storico-artistici viene apertamente esibito. Nell’Olympia di Manet, la Venere di Urbino di
Tiziano si propone come un veicolo non meno riconoscibile.
Esattamente cent’anni dopo Rauschenberg realizza una serie di opere usando immagini tratte dalla Venere
Rokeby di Velàzquez e della Toeletta di Venere di Rubens. Ma i richiami sono realizzati in modo
completamente diverso rispetto a Manet. Si è limitato a riprodurre fotograficamente in serigrafia gli
originali su superfici che potrebbero contenere anche immagini di camion o elicotteri.
Foucault in un saggio: “E’ possibile che Le déjeuner sur l’herbe e l’Olympia siano state le prime pitture “da
museo”, per la prima volta tele dipinte non per replicare a Giorgione e a Raffaello ma per testimoniare un
nuovo rapporto della pittura con se stessa, per manifestare l’esistenza dei musei ”.
Ad allarmare Kramer era il fatto che il criterio per ordinare gli oggetti estetici all’interno del museo nell’era
del modernismo, fosse stato dismesso, con il risultato di “far andare bene tutto”.
Negli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda guerra mondiale, il maggior monumento alla
missione del museo è stato eretto dal Museo immaginario di André Malraux.
Egli enfatizza l’idea di una storia dell’arte come disciplina umanistica e in effetti trova nel concetto di stile il
principio ultimo di omogeneizzazione attraverso il medium della fotografia.
La fotografia non si limita a consentire l’ingresso nel museo di vari oggetti, offre anche uno strumento di
organizzazione, riducendo l’eterogeneità, fattasi oggi ancora più vasta, a una singola e perfetta similitudine.
Grazie alla fotografia, nel nostro museo immaginario, quadro, affresco, miniatura e vetrata sembrano
appartenere a un genere unico.
Tutte le opere che chiamiamo arte, che possono essere soggette al procedimento della rispoduzione
fotografica, trovano il loro posto nella grande superopera dell’arte. È questa la confortante “conoscenza” di
cui il Museo immaginario reca testimonianza.
Ma Malraux commette un errore fatale: egli ammette nelle ultime pagine del libro che l’omogeneità si è
costituita su una sola e unica cosa, e quella cosa è naturalmente la fotografia.
Quando a entrare è la fotografia stessa, l’eterogeneità si ristabilisce nel cuore del museo e le sue pretese
conoscitive vengono ridimensionate.
Il complesso espositivo
di Tony Bennett
L’emergere dei musei d’arte è strettamente correlato all’affermarsi di una gamma più ampia di istituzioni
che servirono congiuntamente da tramite per la crescita e la circolazione di nuove discipline con la
formazione del loro discorso, come pure per lo sviluppo di nuove tecnologie della visione.
I musei visti come istituzioni non di internamento ma di esposizione, tali da formare un complesso di
rapporti disciplinari e di potere.
Le istituzioni che formano il “complesso espositivo” operano un trasferimento di oggetti e corpi dai luoghi
chiusi e privati ad arene sempre più aperte e pubbliche, dove, si trasformano in veicoli per inscrivere e
diffondere i messaggi del potere in tutta la società.
Il complesso espositivo fu anche una risposta al problema dell’ordine, ma una risposta che a differenza di
altre tentò di trasformarlo in un problema culturale, sforzandosi cioè di conquistare i cuori e le menti.
Il complesso espositivo verrà esaminato come un insieme di tecnologie culturali volte a organizzare una
cittadinanza disposta ad autoregolarsi.
Nell’esaminare le proposte avanzate dai riformatori del sistema penale intorno alla fine del XVIII sec,
Foucault osserva che la punizione, pur rimanendo una “lezione leggibile”, veniva considerata una scuola
piuttosto che una festa. Il corpo del criminale, da medium per la trasmissione dei segni di potere, fu
promosso a bersaglio delle tecnologie disciplinari volte a modificare il comportamento attraverso la
ripetizione.
Una società disciplinare: questa caratterizzazione complessiva della modalità del potere nella società
moderne si è dimostrata uno degli aspetti del lavoro di Foucault che ha avuto maggior seguito.
Il XIX sec non ha avuto precedenti nello sforzo sociale di organizzare spettacoli allestiti per i tipi di pubblico.
La società stessa rivela la tendenza a lasciarsi presentare come spettacolo. Questa ambizione di realizzare
un dominio visivo su una totalità riesce ancora più evidente nella concezione delle Grandi esposizioni
internazionali.
I musei, le gallerie e, più sporadicamente, le esposizioni svolsero un ruolo fondamentale nella formazione
dello Stato moderno e nella sua concezione, come istanze fra le altre al servizio della promozione civile e
dell’istruzione.
Il complesso espositivo fornì un contesto per l’esibizione permanente di potere/conoscenza.
Gli studi dedicati alle Grandi esposizioni del XIX sec sottolineano tutti l’economia ideologica dei principi che
le informano, trasformando semplici mostre di macchinari e di processi industriali in significativi materiali di
progresso inteso come impresa nazionale collettiva.
L’evoluzione del complesso espositivo impone anche una nuova esigenza: che ciascuno possa vedere, non
soltanto le imponenti facciate, ma anche ciò che è contenuto dietro di esse.
In Inghilterra, Francia e Germania tra la fine del XVIII sec e gli inizi del XIX si ebbe un profluvio di concorsi
architettonici promossi per la progettazione di musei: l’accento andò spostandosi dall’organizzazione di
spazi espositivi per il piacere privato del principe o dell’aristocratico a un’organizzazione dello spazio e della
visione tale da consentire ai musei di funzionare come organi di educazione pubblica.
La peculiarità del complesso espositivo consiste nell’incorporazione di alcuni aspetti di quegli stessi principi
insieme con quelli del panorama, a formare una tecnologia della visione volta non ad atomizzare e
disperdere la folla ma a regolarla, rendendola visibile a se stessa, facendo della folla stesso lo spettacolo
supremo.
È questa per esempio la funzione della Tour Eiffel alla Grande esposizione di Parigi del 1889. Vedere ed
essere visti, sorveglire rimanendo sempre sotto sorveglianza.
Pur essendo considerato il primo museo pubblico, il British Museum si fondava su un’idea molto limitativa
di pubblico. I visitatori venivano fatti entrare solo a gruppi di quindici ed erano costretti a presentare le loro
credenziali, per vedersi accordare l’ingresso solo se giudicati “non inammissibili”. Quando furono proposte
alcune modifiche a questa regola, suscitarono resistenze da parte dei curatori, preoccupati che le folle
indisciplinate potessero danneggiare l’esposizione.
La svolta più significativa nell’evoluzione delle politiche museali inglesi venne dall’apertura del
South Kensington Museum nel 1857. Il museo infatti fu espressamente dedicato al servizio di un vasto
pubblico indifferenziato, per favorire l’afflusso delle classi lavoratrici ed esso conobbe grande successo.
Con l’aumentare delle prove che dimostravano il carattere ordinato del nuovo e più vasto pubblico accolto
nei musei, anche il British Museum rivide la sua posizione e, nel 1883, avviò un programma di
elettrificazione delle sale per consentire l’apertura serale.
Il South Kensington Museum costituì il nucleo intorno al quale il sistema museale londinese si sarebbe
sviluppato nei successivi decenni del secolo ed esercitò una forte influenza anche su gli altri musei.
La Grande esposizione e successivamente i musei pubblici nati sulla scia si trovarono a ereditare un
pubblico che era già formato da un insieme di rapporti pedagogici che sarebbero stati sempre
ulteriormente promossi all’interno del corpo sociale affidandosi alla direzione dello Stato.
Una storia non di internamento ma di apertura e visibilità al pubblico: è questa, la direzione del
movimento che ha portato alla formazione del complesso espositivo.
Lo spazio di rappresentazione costituito dal complesso espositivo era plasmato dai rapporti intercorrenti tra
un’ampia gamma di nuove discipline: storia, storia dell’arte, archeologia, geologia, biologia e antropologia.
Agli inizi del XIX sec, l’imporsi di un contesto storico per l’esposizione museale di manufatti umani costituì
un’importante innovazione. Fu in Francia che lo storicizzarsi dell’esposizione museale diede le prime prove.
L’influenza del Musée des monuments frrançais (1795) sulla presentazione di opere d’arte in spazi espositivi
dedicati a singoli periodi, dove il percorso del visitatore andava dai più antichi ai più recenti.
Le esposizioni di esemplari naturali o geologici non erano state ordinate in senso storico. Per gran parte del
XVIII sec, i principi di classificazione scientifica si erano ispirati a un sistema di pensiero composito. Tradotti
nei