vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
DOPO IL CENTRE POMPIDOU
La narrazione della storia del concetto di museo prende le mosse a Parigi, nell’ultimo decennio del XVIII
sec; verso la fine del XIX si sposta a Londra, quindi Berlino all’inizio del XX sec, per approdare in America
nel 1929 e ritornare a Parigi negli anni settanta del Novecento.
Le figure dei curatori più carismatici:
- Dominique-Vivant Denon
- Wilhelm Bode
- Alfred H.Barr
Non è altrettanto facile riassumere quanto è avvenuto dopo il Centre Pompidou. Il grandissimo numero
di musei nati dopo, fondati su concezioni diverse e spesso contraddittorie, rende impossibile proporre
generalizzazioni significative.
Il Pompidou è stato il primo museo ad adottare prospettive multiple per i propri contenuti, con
un’inversione di rotta rispetto al MoMA, aprendo così la strada ad altre istituzioni.
Tale cambiamento è stato sollecitato dalla consapevolezza che oggi il pubblico dei musei viaggi
dappertutto e che pertanto collezioni identiche in luoghi diversi non esercitano più alcuna atrattiva.
LA “SCOPERTA” DEL PUBBLICO
In seguito ai mutamenti culturali e domgrafici è cambiata la percezione che il pubblico ha del museo:
luogo destinato non soltanto all’apprendimento ma soprattutto al divertimento, orientato alla ricerca e
all’esposizione, attento al pubblico all’interno di una prospettiva di servizio.
Le collezioni permanenti e le mostre temporanee vengono considerate come un invito ad aprire il
dialogo tra curatore e visitatore.
Se i musei americani avevano sempre fatto affidamento sulla propria capacità di raccogliere fondi,
durante gli anni di Reagan anche quel poco che ricevevano dallo Stato è scomparso del tutto.
In Europa, l’ondata neoconservatrice ha avuto sulle istituzioni culturali un impatto ancora più
traumatico.
L’esempio classico è il Victoria and Albert Museum di Londra, uno dei più prestigiosi musei dal punto di
vista istituzionale, a navigare in cattive acque.
In generale, i grandi musei delle aree metropolitane se la sono cavata meglio delle piccole istituzioni;
molti musei si sono adattati a vivere alla giornata.
Per gran parte degli anni trascorsi sotto il governi Thatcher e Major, molti musei hanno lavorato con la
minaccia di un crollo finanziario imminente.
Nel 1993 viene annunciato che i musei avrebbero ricevuto finanziamenti dalla neonata lotteria di Stato
grazia a una nuova legge. Ha preso così avvio la tanto attesa rinascita di molti musei britannici.
Dal momento che non potevano più contare su stanziamenti governativi elargiti senza condizioni, i
musei hanno cominciato a rivolgere attenzione al loro pubblico.
Un numero elevato di presenza avrebbe portato denaro fresco, come i negozi interni ai musei e ad altre
attività commerciali.
Da allora in avanti il pensiero dei curatori si è concentrato sul modo migliore per far crescere il numero
delle presenze, al fine di giustificare la spesa pubblica e attirare sponsor.
Tuttavia soltanto negli anni ottanta il visitatore è finalmente diventato il punto focale assoluto
dell’impresa.
I musei si stanno trasformando in imprese produttive sempre più impegnate in attività commerciali e
nella ricerca di fondi. Tali cambiamenti rappresentano una vera e propria rivoluzione.
Da passatempo della classe media, andare al museo, si è trasformato in un’attività di massa.
In che modo sia possibile valutare efficacemente il rendimento di un museo è tutt’ora oggetto di molte
discussioni. I più praticabili indicatori di rendimento sono i red flag indicators, dispositivi d’allarme che
evidenziano, per esempio, la scoperta di crescenti passività finanziarie o un calo nel numero di
visitatori.
Oggi, direttori e curatori di musei parlano il linguaggio del management, del marketing, della contabilità
con la stessa disinvoltura con cui usano quello della museologia e della storia dell’arte.
Il primo e più clamoroso segnale del nuovo orientamento in direzione del pubblico, è stata la nomina di
Thomas Hoving a direttore del Metropolitan Museum of Art di NY.
Durante il suo regno durato undici anni, dal 1967 al 1977, il Met si è trasformato nel museo più
risplendente del tempo, con una spiccata propensione commerciale. Secondo la sua visione, il museo è
un luogo destinato al divertimento di massa.
Non si trattava più di esporre opere d’arte in modo da favorirne la visione al maglio, bensì di
trasformare l’arte in uno spettacolo visivo.
Hoving amava la baraonda e la pubblicità, mentre la ricerca passava al secondo posto. Sembrava non
riconoscere vincoli all’infuori del proprio gigantesco IO e faceva mostra di un patologico disprezzo nei
confronti di chiunque trovasse sulla sua strada.
Voleva soltanto che il Met rimanesse una “metropoli dell’arte, il museo più grande, più ricco e
chiassoso del mondo”.
Gli anni di Hoving sono un caso esemplare del modo in cui non si devono fare le cose e ricordano con
forza che è necessario mettere in atto controlli e rispettare gli equilibri tra le diverse sfere d’influenza
che costituiscono un museo.
Per capire con maggior chiarezza al servizio di chi l’istituzione di pone, i musei hanno adottato alcune
delle raffinate tecniche usate nelle ricerche di mercato, riuscendo così a valutare con relativa facilità
l’efficacia di mostre e allestimenti, e sanno identificare i desideri e le preferenze del pubblico,
consentendo ai curatori di calibrare con cura le attività da mettere in campo.
Oggi i musei sanno con molta maggior precisione chi sono i loro visitatori. Il controllo elettronico delle
scorte presenti nei negozi interni al museo consente l’analisi immediata dei modelli di spesa.
Esempio: al Museum of Modern Art si effettuano indagini settimanali per controllare la risposta dei
visitatori e vengono istituiti focus groups con il compito di analizzare ogni cosa.
Tutto questo ha portato a scoperte inattese: per il pubblico parametri importanti sono le proposte del
ristorante, la pulizia dei servizi, la gamma di prodotti in vendita nel negozio.
Oggi tutti riconoscono che il marketing è un fattore di vitale importanza per la sopravvivenza della
maggior parte dei musei.
Negli ultimi dieci anni, anche il marketing si è trasformato: da servizio marginale e mal tollerato, è
diventato parte integrante del museo moderno.
Pur mescolando assieme tutti gli ingredienti che hanno avuto successo in passato, nei musei si
verificano inspiegabili e costosi fallimenti. I peggiori insuccessi commerciali di recente memoria sono
due mostre allestite al Victoria and Albert nel 1992.
La mostra “Sovereign: a celebration of 40 years of service” voleva celebrare il quarantesimo
anniversario della salita al trono di Elisabetta II ed era esclusivamente finalizzata a interessi
commerciali. Il pubblico che era stato preso di mira non si è mai fatto vedere e nel contempo i visitatori
abituali del museo si sono sentiti oltraggiati da quello che consideravano giustamente essere un cinico
espediente commerciale.
Naturalmente, si è verificato anche il caso contrario.
Dipendere da mostre di questo genere può rivelarsi problematico: sono progetti che richiedono ai
curatori un tempo smisurato e spesso le risorse finanziarie del museo ne sono assorbite.
Non soltanto è cresciuto il numero di visitatori, ma oggi vi sono più musei di quanti ve ne siano mai stati
in passato; sta di fatto quindi che i musei devono lavorare sempre più duramente per attirare visitatori
in concorrenza con un numero crescente di istituzioni rivali.
GLI ARTISTI
Con l’apertura del MoMA nel 1929, per la prima volta un’istituzione si rivolgeva finalmente ad artisti
viventi con lo stesso rispetto e la stessa sensibilità riservate fino ad allora agli artisti scomparsi.
L’audacia creativa è sempre stata la sfida lanciata dal museo.
Qui è l’origine della notevole ambiguità che circonda il museo tra gli artisti, lo spettro del museo quale
sorta di recinto istituzionale in cui lasciare libero gioco al dissenso dell’avanguardia, e dagli anni
sessanta questo è il conflitto che gli artisti non riescono a togliersi dalla mente.
L’ultima generazione di artisti moderni ad accettare di venire coinvolti dalla cultura museale furono gli
espressionisti astratti. Consideravano il museo una loro casa spirituale.
Avevano voltato le spalle al mondo e aderivano di fatto a un’immagine di museo quale tempio. Il museo
dava testimonianza della genealogia in cui essi stessi ambivano di iscriversi e rappresentava un luogo di
pace e contemplazione monastica.
Gli anni sessanta sono stati un periodo straordinariamente fertile nel campo dell’arte.
La fine di cornici e basamenti, che ha fatto seguito a tali trasformazioni, ha modificato per sempre il
ruolo del curatore.
Donald Judd ha creato un’arte che privilegia i rapporti spaziali e interagisce con l’architettura in cui è
ambientata. Lo spazio doveva funzionare soprattutto in quanto spazio.
Più l’arte contemporanea era accettata dall’istituzione, più gli artisti trovavano difficile venire a patti
con tale accettazione. Da una parte, l’interesse istituzionale era gradito ma, dall’altra, la paura che il
museo divenisse l’usurpatore del potere artistico continuava ad assillare gli artisti.
Nel momento in cui rendono impossibile installare opere all’interno di sale “miste”, gli artisti
sconvolgono il ritmo e la cronologia delle esposizioni museali.
Tutti questi cambiamenti hanno modificato radicalmente il ruolo del curatore. Oggi egli si trova a
dover spesso inventare nuove soluzioni per determinate installazioni e certi problemi di spazio in un
dialogo serrato con l’artista, assumendo il ruolo più di collaboratore che di curatore.
Venendo a mancare la capacità dell’artista di prendere decisioni ad hoc o di modificare le cose sul
momento, il curatore deve per forza riferirsi all’esempio di installazioni precedenti.
Abbandonando la pittura ad olio per i nuovi materiali sintetici prodotti dopo la guerra, i pittori hanno
creato una bomba a orologeria per la conservazione.
L’uso di materiali non convenzionali, la velocità con cui la tecnologia si modifica, la precarietà di molte
installazioni e la natura effimera di gran parte dell’arte contemporanea sono destinate a porre problemi
sempre più complessi ai curatori.
I curatori hanno reagito approntando un’ampia documentazione di opere che potrebbero essere
installate in vari modi. Si tratta di documentazioni spesso molto ampie e, sebbene non riescano a
coprire l’intera casistica, quanto meno stabiliscono parametri rispetto i quali una certa opera potrà
essere esposta o restaurata in futuro.
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
- E molto altro ancora...
Per termini, condizioni e privacy, visita la relativa pagina.