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PARTE SECONDA – TRA LETTERATURA E SPETTACOLO
4. Il testo drammatico: un riesame
L'autore pone due domande: perché il testo drammatico viene oggi riproposto con grande
forza all'attenzione teorica di chi studia teatro? Si tratta davvero di una riproposta, e se si in
che senso? È indubbio che il testo, o meglio la drammaturgia scritta, stia tornando al
centro degli interessi di chi si occupa di teatro sul piano storico e teorico. (Ovviamente, ai
testi e alla drammaturgia non si è mai smesso di interessarsi anche negli anni 70 e 80 ma
negli ultimi 30-35 anni è profondamente cambiato il modo in cui gli studiosi di teatro se ne
sono occupati. Fino a quarant'anni fa, studiare la storia del teatro signifcava, o si riduceva,
a studiare ciò che del teatro rimane, cioè appunto i testi: la storia del teatro è stata per
tanto tempo dunque storia della letteratura drammatica. A partire dalla metà degli anni 70
anche in Italia si sviluppa una serie di ricerche che portano alla vera e propria fondazione
teorica dei nostri studi teatrali, attraverso una più adeguata defnizione e
concettualizzazione del loro oggetto: non più il testo, la letteratura drammatica, ma lo
spettacolo e, più ampiamente, il fenomeno (o evento) teatrale, di cui comunque il testo è
componente di primaria importanza. In poco tempo, la nuova teatrologia italiana si è
mostrata capace di afrontare criticamente molte delle difcoltà su cui si erano incagliate
le vecchie teatrologie di matrice europea. Non è che all'improvviso si è deciso di abrogare
l'indiscutibile importanza storica della drammaturgia scritta nel teatro europeo moderno e
non è nemmeno stata una conseguenza dei contraccolpi prodotti a livello scientifco delle
scelte artistiche radicali sviluppatesi nella sperimentazione teatrale tra gli anni 60 e gli anni
70...Semplicemente, è accaduto che la messa fuoco dell'oggetto teorico "spettacolo" e poi
dell'oggetto "teatro" (inteso come l'insieme dei processi produttivi e ricettivi che
circondano e fondano lo spettacolo) aveva fnalmente abrogato la metonimia su cui si
fondava metodologicamente la vecchia storia del teatro: pars pro toto, la parte per il tutto
e dunque il testo per lo spettacolo, per la messa in scena, per il teatro. A seguito della
rifondazione teorica, il testo cessava di essere la parte per il tutto e diventava una parte
del tutto. Ciò fu considerato da molti dovuto all'interferenza, a livello scientifco, di opzioni
estetiche estreme minoritarie. Del resto, è noto che gli anni 70, oltre a essere stati uno dei
decenni teatrale più ricchi e fecondi dell'intera 900, insieme agli anni 20, hanno
contrassegnato anche un'epoca di grandi intolleranze, radicalismi ideologici e dogmatismi.
In ogni caso, oggi, il testo drammatico e la drammaturgia scritta possono essere
nuovamente collocati al centro degli interessi degli studi teatrali. Questo perché, nel
frattempo, sono state piantate alcuni provvidenziali "paletti" teorico-metodologici:
1. I testi non sono ciò che più conta nel teatro, sono ciò che più rimane;
2. È indispensabile distinguere fra il testo drammatico come opera letteraria e il testo
drammatico come materiale dello spettacolo. Ogni testo è sempre l'uno e l'altro
insieme: essere materiale dello spettacolo, non gli vieta di essere anche opera
letteraria, autonomamente fruibile.
3. Fra testo e spettacolo va postulato un rapporto di reciproca autonomia (o di relativa
indipendenza): da un lato, lo spettacolo non è l'unico inevitabile destino del testo
drammatico; dall'altro, il testo drammatico non è l'unico, inevitabile punto di
partenza dello spettacolo teatrale.
4. Il rapporto testo drammatico-spettacolo non esaurisce il complesso delle relazioni
letteratura-teatro nella nostra cultura. A tal proposito, risultano utili le emozioni
proposte da Taviani di "spazio letterario del teatro" e di "teatro in forma di libro".
5. Per cogliere in tutta la sua ricchezza e complessità la reale dinamica storica dei
rapporti fra testo e spettacolo nel teatro occidentale moderno, bisogna passare da
un punto di vista incentrato esclusivamente sul prodotto, sul risultato, ad un punto
di vista prevalentemente incentrato sul processo, o meglio sui processi di
composizione drammatica e di composizione scenica, con la relativa utilizzazione di
materiali letterari.
Numerose e importanti sono le conseguenze prodotte da questo decisivo cambio di punto
di vista:
Va in crisi l'immagine un po' astratta, idealistica, troppo letteraria, che del testo
• drammatico è ancora molto difusa nella nostra cultura; la composizione
drammatica risulta basata su una serie di tecnica dipendenti, loro volta, da un gran
numero di condizionamenti e in particolare dalle modalità organizzative e
produttive del teatro professionistico dal XVI secolo in avanti. Si tratta di tecniche
organicamente radicate in dati strutturali del testo traumatico e del suo processo
generativo (composizione più fasi o a più livelli, in base a scansioni orizzontali e
verticali del testo; composizione è più umani, in équipe; composizione come
combinatoria o riscrittura di materiali preesistenti).
Vai in crisi l'idea di un testo drammatico a priori rispetto allo spettacolo ed emerge
• la consuntività come carattere tipico, strutturale della drammaturgia
professionistiche europea fra seicento e ottocento;
La drammaturgia cessa di essere un afare del solo motore per diventare "un
• oggetto mobile fra autore e attore". Per drammaturgia dell'attore non intendiamo
soltanto la scrittura drammatica dell'attore-autore ma anche il lavoro attoriale sulla
parte, visto come lavoro drammaturgico, cioè compositivo, basato su tecniche
fsiche, espressive e di montaggio analoghe a quelle della scrittura letteraria
drammatica. In efetti, sia l'attore che l'autore hanno a che fare con l'azione e con il
problema di come renderla viva, interessante ed efcace. Non a caso, già Aristotele
aveva colto nel segno teorizzando la nozione di "peripezia”,La quale, con le sue
varie implicazioni, è una tra quelle al centro dell'indagine attuali dell'antropologia
teatrale.
5. Pirandello: dalla novella al dramma
Nel 1899, nel saggio sull'Azione parlata, Pirandello afermò che " una favola di indole narrativa mal si
" avvalorando implicitamente l'idea di una diferenza
lascia tradurre e adattare al congegno delle scene
profonda fra novella e dramma. Tuttavia, come scrittore, egli cercò per tutta la vita di
smentire questa afermazione, dal momento che pochissimi testi teatrali suoi mancano di
almeno un lontano precedente novellistico: Nel 1894, aveva pubblicato un racconto con lo
stesso titolo della "commedia in tre atti un intermezzo", intitolata La signorina; Nel 1895
aveva steso una prima versione di un "dramma in quattro atti", il cui soggetto era tratto da
un racconto omonimo pubblicato il mese prima, che, dopo varie rielaborazioni, ebbe infne
il titolo della Ragione degli altri, commedia in tre atti; nel 1897 aveva pubblicato una novella
intitolata La paura sullo stesso soggetto di un testo drammatico breve, l'Epilogo, composto
nel 1892, per essere riproposto molti anni dopo con il titolo defnitivo La morsa, "epilogo in
un atto”. Bisogna aspettare il 1913 per trovare il primo soggetto di Pirandello concepito
originariamente per la scena, Cecè.
Pirandello dimostra che le diferenze tra le due forme non si situano sul piano della
struttura profonda ma sono legate a diferenti specifcazione discorsive ed enunciazionali
di un nucleo tematico e di una macrostruttura dello stesso tipo.
Anche in sede teorica lo scrittore siciliano ebbe modo di elaborare proposte più coerenti
con la sua pratica negatrice di specifci rigidi. Nel saggio Soggettivismo e oggettivismo
nell'arte narrativa, del 1908 scrive: “ Riferire un dialogo nel racconto o tutta una conversazione, non è errore
estetico, perché non offende la fantasia ma solo, semmai, la riflessione. I lunghi dialoghi o la conversazione possono non
offenderci affatto, se il raccontatore riesce a dare l'illusione di una rappresentazione: noi dimentichiamo la persona che
“. Nell'articolo Romanzo, racconto, novella, egli sostiene: "
racconta La novella e la tragedia classica, al
contrario del romanzo, pigliano il fatto per la coda e di questa estremità si contentano: intesi a dipingerci non le origini,
non i gradi della passione, non le relazioni di quella con i molti oggetti che circondano l'uomo, e servono a sospingerla, a
". Infatti, arriva ad
ripercuotere, a informarla in mille modi diversi, ma solo gli ultimi passi, l'eccesso insomma
intitolare Epilogo uno dei suoi primi atti unici.
Non pochi sono gli esempi di atti unici che ricalcano fedelmente, anche nei dialoghi, la
fonte narrativa: la morsa, il dovere del medico, la patente…
Col passare degli anni, si fanno invece più numerosi gli esempi di una sempre maggiore
autonomia, di una sempre più profonde originale rielaborazione.
Si tenta ora di abbozzare un elenco delle principali ragioni e le modalità delle diferenze
che Pirandello introduce nel passare da una novella a un dramma, e in particolare a un
atto unico.Gli interventi più macroscopici, cioè più strettamente drammaturgici, sono:
1. Necessità di "raggruppare l'azione" nello spazio e anche nel tempo: questo impone
una diversa dinamica degli eventi;
2. Necessità di introdurre nuovi personaggi, per il passaggio dell'antefatto a fatto o del
fatto a antefatto e/o per ritardare l'entrata in scena del protagonista, addensando il
clima di attesa del pubblico;
3. Necessità di concludere con un fnale drammatico o con un colpo di scena o con
una chiusa ad efetto;
4. Altre volte, lo stesso risultato di maggiore drammaticità viene raggiunto non
aggiungendo ma togliendo;
5. Necessità di tradurre lunghi brani descrittivi della novella in codici diversi da quello
linguistico: gestuali o prossemici (attraverso le didascalia) o attraverso trovate
sceniche che l' Altieri Biagi chiama di "semiologia degli oggetti". Ad esempio,
nell'incipit della Patente, per la lunga descrizione del giudice d'Andrea, Pirandello
escogita una soluzione molto brillante, di tipo visivo-oggettuale: “Il giudice d'Andrea
entra in scena recando in mano una gabbiola poco più grossa di un pugno. Va
avanti ad una gabbia più grande, ne apre lo sportello, poi apre lo sportellino della
gabbiola e fa passare da questa nella gabbia grande un cardellino”. La lunga
descrizione della novella si è concentrata