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Le teorie di Jevons
Jevons elaborò due importanti teorie:
- La teoria dello scambio
- La teoria dell'offerta di lavoro
La teoria dello scambio si condensa in una formula: abbiamo due soggetti A e B e due merci X e Y. Per la legge dell'utilità marginale decrescente i due scambisti capiscono che possono aumentare le loro utilità marginali riducendo le loro merci: lo scambio migliora le utilità di A e di B e nel mercato si definisce un prezzo. I due beni devono essere inversamente proporzionali alle loro utilità marginali. Maggiore è l'utilità di un bene per un soggetto, minore è la quantità di quel bene che vogliamo offrire in cambio di qualcos'altro: quindi più è la quantità del bene che possiedo minore è l'utilità unitaria. Jevons con tale teoria cerca di arrivare alla causa dei prezzi con scarso successo; ci penserà Marshall.
Per la teoria dell'offerta di lavoro, mentre i...
Nell'aggregato, l'offerta di lavoro è data dagli occupati per le ore di lavoro ma l'offerta individuale non è uguale per tutti in quanto si tratta di una teoria individualistica fondata su criteri soggettivi.
Si tratta di una teoria che non vale per tutti ma per un solo lavoratore.
Secondo il principio di ottimizzazione, il lavoratore offre tanto lavoro fino a pareggiare la disutilità del lavoro con l'utilità del salario.
Le prime ore di lavoro sono penose ma, ad un certo punto, disutilità si trasforma in utilità fino a quando questa si riconverte di nuovo in disutilità: ci sarà un punto in cui l'utilità eguaglierà la disutilità e il lavoratore non lavora più (Aq = Qb).
Questa teoria dell'offerta di lavoro verrà
- Trovare il massimo piacere al minore dolore; dolorosità del lavoro all'aumentare del tempo.
- Crescente.
Così Jevons si pone di dimostrare il suo sapere astratto tramite la statistica, deduttivo.
LA DIFFUSIONE DELL'ANALISI MARGINALISTA E LA TRANSIZIONE VERSO L'ECONOMIA NEOCLASSICA
Ricardo con l'analisi della rendita fondiaria, studiò quelle che oggi sarebbero state chiamate le "funzioni di produzione" per il settore agricolo (relazioni tra la quantità fisica dei fattori la quantità fisica del prodotto ottenibile dalla terra). Nel fare ciò egli aveva ipotizzato che il rapporto tra il capitale e lavoro in ogni processo produttivo fosse fisso, ovvero data dalla tecnologia a disposizione, e che unità addizionale di capitale e lavoro aggiunte a una quantità fissa di terra si ottiene rendimenti.
marginali sempre minori via via che fossero aumentate le dosi di lavoro e capitale della produzione. La seconda generazione di teorici del marginalismo portarono a termine tale tesi, divenuta nota come la teoria della distribuzione basata sulla produzione. Gli economisti più importanti furono gli austriaci Friedrich von Wiesier, Bohm-Bawerd, Clark, Wicksell, Wickstees, Edgeworth. Critica alla teoria della produttività marginale l'impossibilità di misurare il prodotto marginale di un fattore della produzione. Secondo tale critica il prodotto finale è il risultato dello sforzo congiunto di lavoro, terra e capitale e quindi è impossibile tenere distinti i prodotti marginali dei vari fattori considerati singolarmente. In qualsiasi processo produttivo l'aggiunta di lavoro richiede normalmente la simultanea aggiunta di capitale, e questo rende difficile separare il prodotto marginale delLavoro addizionale da quello del capitale addizionale. I profitti e l'interesse.
I primi teorici che si dedicarono allo sviluppo della teoria della produttività marginale, in particolare Bohn-Bawerk, percepirono che essa non riusciva a spiegare quelle remunerazioni rappresentate dal profitto e interesse.
I classici non distinguevano il profitto e l'interesse, in quanto entrambi rendimenti da capitale, dall'impresa tipica di quel tempo combinava in un unico ruolo le figure del capitalista e momento che dell'imprenditore.
Il profitto è il reddito complessivo percepito dal capitalista-imprenditore e lo distinguevano in tre elementi:
- Un pagamento finalizzato a remunerare l'uso del capitale (nell'economia moderna diventa interesse);
- Un pagamento finalizzato a remunerare l'imprenditore per la sua attività di direzione e di organizzazione;
- Un pagamento finalizzato a compensarlo dei rischi intrapresi con l'avviamento e la conduzione.
Della sua attività. Sorge il problema se si deve identificare l'imprenditorialità come quarto fattore della produzione? Dell'imprenditore in quanto manager non è una forma di profitto ma unoClark: la remunerazione stipendio: il profitto, o puro profitto, è la grandezza residua che rimane dopo che tutti i fattori della produzione impiegate da un'impresa sono stati remunerati in base a un prezzo uguale al loro costo-opportunità. L'esistenza di un profitto positivo non può essere spiegato altrimenti come una conseguenza o di mercati perfettamente concorrenziali che non si trovano nel loro punto di equilibrio di lungo periodo, o di mercati che non sono perfettamente concorrenziali. Quando gli imprenditori acquistato fattori della produzione per produrre si assumono dei rischi, poiché il prezzo finale dell'output può essere soltanto stimato. Se i ricavi totali dell'impresa ai fattori allora essa percepisce profitti.
Questi profitti generati all'interno dei mercati perfettamente concorrenziali potrebbero essere spiegati come il risultato del disequilibrio che si verifica nel passaggio del sistema economico verso una nuova posizione di equilibrio di lungo periodo. Quindi si parla di profitti di natura temporanea, risultanti dall'evoluzione dinamica del sistema economico, supportata da Clark, Marshall e Schumpeter.
In una situazione di equilibrio di lungo periodo, in cui tutti i fattori ricevono un rendimento pari al loro costo-opportunità e i ricavi dell'impresa rappresentativa sono uguali ai suoi costi, un cambiamento delle preferenze o del livello tecnologico fa sì che vi siano profitti positivi che tenderanno a ridursi e a sparire quando le forze concorrenziali muoveranno i capitali verso quei mercati che presentano saggi di rendimenti sopra la norma.
La teoria dell'interesse e del capitale aveva sottolineato il ruolo della moneta all'interno del
sistema economico. I mercantilisti avevano conseguentemente sviluppato alcune teorie monetarie dell'interesse dove immaginavano che incrementi della quantità di moneta non soltanto avrebbero alzato il livello generale dei prezzi e ridotto il valore della moneta, ma avrebbero anche condotto a una riduzione del livello generale dei tassi di interesse. I classici erano convinti che il tasso di interesse dipendesse dal tasso di rendimento sulle spese per investimento, ossia che le forze di natura monetaria avessero una loro rilevanza solo nel breve periodo, mentre nel lungo periodo sarebbe stata la produttività del capitale, cioè una forza reale, a determinare il tasso di interesse. Il problema dell'interesse Quando prevalgono condizioni di lungo periodo all'interno dei mercati caratterizzati da concorrenza perfetta, tutti i ricavi ottenuti dalla vendita di prodotti finali sono distribuiti ai diversi fattori della produzione. Questa era la conclusione dellateoria della produttività marginale, che lasciava però aperto un interrogativo: come si può spiegare quel particolare rendimento del capitale che chiamiamo interesse. Secondo tale teoria esso dovrebbe essere uguale al valore del lavoro e della terra impiegati per produrlo. Se è superiore si parla di plusvalore dal momento che il capitale è un fattore produttivo che crea interesse. Da tre diverse soluzioni al problema dell'interesse: Schumpeter 1- vi sono tre fattori della produzione originali (terra-lavoro-capitale che crea interesse); 2- i teorici della produttività marginale sbagliano nel ritenere che in una situazione di equilibrio concorrenziale di lungo periodo i ricavi eguagliano i costi; 3- la teoria della produttività marginale vale solo per i mercati concorrenziali e statici, ma dal momento che il mercato reale non lo è gli elementi che ostacolano la concorrenza o quelli che determinano cambiamenti dinamici possono produrre unTassi di interesse